universita regno unitoSul sito dell’UCU, University and College Union, si legge di un conflitto che si è aperto tra i docenti e le Università anglosassoni, con la formazione di movimenti di protesta e con uno sciopero di due giorni. Qual è la posta in gioco anche nel Regno Unito, dopo le manifestazioni di protesta e gli scioperi che hanno attraversato le università di mezza Europa, e soprattutto in Francia e in Italia?

 

Intanto, va detto che l’UCU è il sindacato che rappresenta il personale delle università britanniche. Le motivazioni delle proteste e degli scioperi di questi giorni sono condensate in quattro specifici punti:

 

 

  1. Incertezza dell’occupazione come problema di massa. 75.000 dipendenti delle università sono contrattualizzati attraverso la formula dei contratti cosiddetti “casualised” (e ben 21.000 a “zero hours”). L’UCU considera che l’istruzione di qualità elevata e che ottimali condizioni di lavoro dipendano da contratti che forniscano al personale stabilità e continuità di impiego. La cosiddetta “casualisation”, ovvero la massima precarizzazione possibile, è una forma contrattuale pessima per il personale e pessima per gli studenti, per quanto sia diventata virale ed endemica nelle università britanniche. Non solo. Accanto a queste forme di precariato, l’UCU solleva anche il problema dei contratti cosiddetti “zero hours”, introdotti dal premier conservatore Cameron con una legge del 2015. Oggi, sostiene l’UCU, il 46% delle università e il 60% dei college utilizza contratti “zero hours” per la docenza. Il 68% dei ricercatori è assunto con contratti a termine, ma la maggioranza di loro con durate ridotte, da sei mesi a un anno. “Stamp out casualisation”, Estirpare la casualisation è la campagna dell’UCU che invece propone contratti nazionali che consentano continuità dell’occupazione e stabilità del personale.
  2. Ineguaglianza di genere come enorme problema da risolvere. Nel Regno Unito, secondo le stime dell’UCU, il personale maschile guadagna in media il 12,6% più delle colleghe.
  3. Il crollo dei salari universitari: dal 2009 il valore dei salari è crollato in media del 14,5% annuo.
  4. L’enorme distanza tra i redditi. Secondo l’UCU, i vice-chancellors, vice-rettori, hanno uno stipendio che supera di 6.4 volte il salario medio del personale universitario. E ciò è considerato fattore di notevole diseguaglianza.

 

 

Il ricorso allo sciopero non è stato deciso a cuor leggero. Anzi. L’UCU si rivolge ai 2.3 milioni di studenti britannici scusandosi, ma, dicono, ne va della sopravvivenza dei docenti, dei ricercatori, dei lettori, e di tutto il personale universitario. L’UCU scrive: “nessun nostro iscritto vuole danneggiare l’istruzione dei nostri studenti. Tuttavia, non possiamo sederci a guardare l’erosione del nostro salario, a osservare le diseguaglianze che crescono e l’occupazione che diventa sempre più incerta ogni anno”. L’UCU prosegue, sempre rivolgendosi agli studenti: “le tasse aumentano e voi giustamente vi chiedete dove finiscano i soldi. Il settore ha un surplus di più di un miliardo di sterline. Le università ne spendono tanto in immobili, ma non investono nel personale”. E ovviamente chiedono agli studenti di sostenere le loro lotte.

 

L’intervento di Academics Anonymous sul Guardian

 

A sostegno delle iniziative di mobilitazione dell’UCU interviene anche il prestigioso quotidiano progressista The Guardian, che pubblica uno splendido intervento di Academics Anonymous. Anche l’Anonimo Accademico si rivolge direttamente ai suoi studenti e chiede loro: “Perché dovreste pagare voi le conseguenze di questo sciopero? Dopo tutto, i docenti hanno un posto di lavoro carino e ben pagato. Possono perfino trascorrere le vacanze senza far nulla. Cosa vogliono di più?”. E procede a spiegare, molto efficacemente, le ragioni dello sciopero e del sindacato, così come le abbiamo esposte prima. Ma dopo, ed è qui la sorpresa, l’Anonymous racconta della vita quotidiana di un docente o di un ricercatore in università. Ecco cosa scrive: “cominciamo dalla situazione familiare. Avete presentato un vostro elaborato, e comprensibilmente volete” che il docente “vi dedichi ogni attenzione. Credetemi, qui siamo sulla stessa barca: è proprio questo che vogliamo fare. Ma non possiamo concentrarci sul vostro lavoro nel migliore dei modi. Dobbiamo pensare ai nostri contratti, che scadono tra una settimana, tra due settimane. Ci costringono a pensare a cos’altro fare, o a cosa vendere su eBay, per pagare l’affitto”.

 

Dopo aver inquadrato la sua “vita da precario”, questo geniale anonimo accademico parla della ricerca. Ecco cosa scrive: “il prospetto della vostra università vi dice che vi siete iscritti a una istituzione che dedica particolare attenzione alla ricerca. Incoraggia il personale a integrare la ricerca nell’insegnamento. È lieta di annunciare ottimi risultati nell’ultima Ref (Research Assessment Framework)”. La verità, dice il nostro docente, è un’altra, perché “invece di completare le mie monografie e i miei articoli, sarò costretto a trovare lavoro in un’altra università”. Egli rivela che non gli resterà un solo secondo da dedicare alla scrittura e alla ricerca. Quando parla delle ineguaglianze di genere, finalmente svela la sua identità: è una lettrice originaria di una minoranza etnica, con tutti i titoli accademici giusti, 13 anni di esperienza di insegnamento, ma la cui sopravvivenza “è decisa da un sistema che di me non gliene importa nulla, né gli importa dei lettori e degli studenti, e che mi costringe ad elemosinare l’ennesimo contratto a tempo determinato”. In realtà, conclude, siamo dipendenti precari, sottopagati e talvolta al limite della sopravvivenza (quasi dei senza dimora). Questo sciopero vale sia per docenti, ricercatori e lettori che per gli studenti. “Sono certa che non vorrete che la vostra prestigiosa istruzione venga impartita da gente senza diritti e senza futuro”.