5 per milleSempre più spesso, anche su testate nazionali, si dà evidenza di dati e comparazioni, in tema di finanza locale, che meritano una precisa puntualizzazione. Talvolta non si tiene conto di importanti cambi di regime normativo. Al riguardo, il noto decreto «Salva Italia» del dicembre 2011 ha aumentato la pressione fiscale sulla casa a tutto e solo vantaggio delle casse statali.

 

Un lungo periodo di tagli

 

Il periodo 2010-2015, ad esempio, è stato caratterizzato da un ingente taglio di risorse subito dai Comuni e da uno rivolgimento dei tributi locali. Si è iniziato con il decreto dell’estate del 2010 che, in piena enfasi da federalismo fiscale, ha inferto un colpo esiziale alla sua stessa attuazione, operando un ingente taglio alle risorse comunali di 2 miliardi e mezzo, assolutamente inaudito.

 

Poi, nell’incalzare della gravissima crisi finanziaria di fine 2011, il Governo ha deciso di introdurre nel 2012 l’Imu, estesa anche alla prima casa. E con quella manovra poderosa, non solo si è reintrodotta la tassazione sulla prima casa ma sono stati aumentati anche i coefficienti su tutti gli immobili, con un guadagno necessario a favore dello Stato. Quella operazione è stata a saldo zero per i Comuni ma a saldo positivo per le casse erariali, manovra richiesta, come sappiamo, dall’Europa.

 

Le perdite dei Comuni

 

Un cospicua parte degli aumenti di prelievo locale – in questi giorni, abbiamo letto i dati relativi ad alcune delle città maggiori dove si vota nel 2016 – deriva dunque da un’imposta statale sugli immobili “travestita” da nuovo pilastro della finanza locale:

 

• passando dall’Ici all’Imu aumentano i moltiplicatori e l’aliquota di base, con un aumento interamente “compensato” dallo Stato con un prelievo/taglio sui trasferimenti statali ai Comuni, di oltre 3 miliardi di euro;

 

• l’Imu concede maggiori margini di aumento delle aliquote? Vero. E, infatti nel periodo 2011-2015 lo Stato taglia di ulteriori 9 miliardi i trasferimenti residui (ormai azzerati) e impone criteri più restrittivi al patto di stabilità, per 3,5 miliardi.

 

Complessivamente i Comuni italiani hanno perso 3 miliardi di euro nel passaggio Ici-Imu-Tasi-abolizione dei trasferimenti e, peraltro Anci ha vinto un contenzioso con il Mef, dove il Consiglio di Stato ha stabilito che i conteggi di stima nel passaggio Ici/Imu sono stati errati.

 

Lo Stato non mette più un euro dei 15 miliardi di trasferimenti del 2010 e, fatti salvi i ristori dei gettiti aboliti nel 2016, i Comuni dal 2015 finanziano loro direttamente lo Stato per 340 milioni all’anno. In conclusione, gran parte del preteso aumento delle tasse locali degli ultimi anni, è andato in realtà allo Stato sia come nuove entrate che come tagli ai Comuni.

 

In questo quadro, i Comuni hanno assistito a continui cambi di politica sull’abitazione principale, con i conseguenti spostamenti obbligati di tassazione, prima a carico dell’abitazione principale (Imu 2012), poi parzialmente sulle seconde case e sugli immobili commerciali, avvenuti in seguito alla Tasi nel 2014-15.

 

Conti sotto controllo

 

È bene però dire che nello stesso periodo è anche successo questo: si è ridotta la spesa corrente; la spesa di personale è scesa di oltre il 10%, anche per effetto di vincoli specifici stabiliti da leggi contraddittorie, con una situazione attuale di grave criticità a garantire alcuni servizi e competenze essenziali; la spesa in conto capitale fortemente contratta negli anni considerati a causa dei vincoli del Patto di stabilità finalmente ha ripreso a crescere (+16% nel 2015), in corrispondenza al progressivo abbandono delle regole di patto – traguardo realizzato grazie alla battaglia dell’Anci – e allo sblocco degli avanzi forzosi di bilancio accumulati nel tempo, che costituiscono uno dei più rilevanti contributi alla crescita di cui il Paese può disporre; i conti dei Comuni sono sotto controllo attraverso una riforma della contabilità molto incisiva, cui i Comuni non si sono sottratti, nonostante le difficoltà che comporta e come spesso è accaduto in Italia sono i sindaci ad aver accettato questa nuova sfida. Anche nelle grandi città le stesse dinamiche hanno agito in profondità. Il confronto con il 2010 risulta falsato se consideriamo inoltre, che l’abitazione principale nel 2010 era esclusa per legge dai tributi immobiliari, oltre a ciò che abbiamo già suesposto. Sono processi più complessi da spiegare, ma spetta a tutti noi e al mondo dell’informazione fornire ai cittadini e all’opinione pubblica dati che tengano conto dei percorsi reali, imputando correttamente le responsabilità ed evitando raffigurazioni sommarie.

 

Il cambio di rotta

 

In questa vicenda lo Stato deve assumere decisioni certo difficili e la testimonianza è data anche dal successivo e continuo balletto sulle tasse sulla casa; una verità è certa, i Comuni alla fine della storia hanno solo subito nuovi tagli, in un contesto peraltro di trasferimento di nuove competenze e oneri. Solo il 2016 è l’anno senza tagli e deve continuare così, anzitutto il nostro impegno è affinché i Comuni recuperino entrate per migliorare i servizi ai cittadini, e poi c’è tanto da fare per sostenere lo sviluppo del Paese. Siamo lontani dal poter esercitare una autonomia sana e responsabile pienamente conforme alla nostra Costituzione. I sindaci non mollano e se qualche volta arretrano, questo avviene per forza maggiore, e quando ciò accade arretra anche il Paese, è bene che chi decide e sceglie ne sia sempre consapevole.