Risponde di concorso nel reato di emissione di fatture false il professionista che suggerisce ai propri clienti di utilizzare tali documenti per abbattere il carico fiscale. È quanto ribadito dalla Corte di cassazione, con la sentenza n. 17418 del 28 aprile 2016.
La vicenda processuale
Un professionista, incaricato di curare la contabilità di varie aziende, è stato condannato nei gradi di merito per il concorso nell’emissione di fatture per operazioni inesistenti, per aver prospettato a due dei propri clienti la possibilità di inserire dei costi al fine di ridurre il carico fiscale. L’imputato, dunque, impugnava in Cassazione la decisione della Corte d’appello, lamentando, oltre al vizio di motivazione, il travisamento del fatto e della prova. In particolare, si doleva della circostanza che il giudice territoriale aveva posto, a fondamento della condanna, il ritrovamento presso il suo studio delle fatture false nonché degli assegni emessi in favore del fornitore, non attribuendo rilevanza alla circostanza che detto ritrovamento fosse funzionale all’incarico di tenuta della contabilità affidatogli dal soggetto emittente dette fatture.
La pronuncia della Cassazione
I supremi giudici, investiti della questione, hanno ritenuto la decisione impugnata adeguatamente motivata e, dunque, il ricorso inammissibile per manifesta infondatezza.
Osservazioni
La sentenza in argomento, a parere dei giudici di legittimità, ha motivato puntualmente i profili di doglianza sollevati dalla difesa, evidenziando una serie di elementi rilevanti ai fini della condanna. Come la circostanza che i numerosi assegni rinvenuti, intestati “a me medesimo”, erano materialmente nella disponibilità del commercialista incolpato, che non vi apponeva alcuna firma di gira, così da evitare di apparire come intermediario e prenditore formale dei titoli. Ma anche il fatto che l’imputato, in quanto tenutario della contabilità, conoscesse il soggetto emittente le fatture incriminate e sapesse che fosse un imprenditore edile dimostrava la sua consapevolezza in relazione alla falsità delle fatture attestanti operazioni commerciali d’argento.
In tale contesto, quindi, è stato confermato l’orientamento di legittimità in ordine alla configurabilità del concorso nel reato di frode fiscale di coloro che, pur essendo estranei e non rivestendo cariche nella società cui si riferisce l’emissione di fatture per operazioni inesistenti, abbiano, in qualsivoglia modo, partecipato a creare il meccanismo fraudolento che ha consentito alle utilizzatrici delle fatture emesse da società cartiera di potersi procurare documenti contabili passivi da inserire in dichiarazione per abbattere l’imponibile societario.
Pertanto risponde, quale concorrente del reato di utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, sussistendone gli elementi oggettivo e soggettivo, il consulente fiscale il quale, ancorché consapevole del fatto che una fattura versi in tali condizioni, rediga ugualmente la dichiarazione dei redditi (Cassazione, sentenza n. 19335/2015).
Considerata, infatti, la natura di pericolo del reato di cui all’articolo 8 del Dlgs 74/2000 (che punisce la sola emissione o rilascio delle fatture o altri documenti per operazioni inesistenti), ai fini della configurabilità del concorso, non rileva la prova dell’effettivo inserimento in dichiarazione delle fatture inesistenti, a differenza della speculare previsione di cui all’articolo 2 dello stesso decreto legislativo che, oltre all’avvalersi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, richiede altresì l’indicazione in dichiarazione di detti elementi passivi fittizi.
Riguardo alla responsabilità del commercialista, già la sentenza 1684/2013 della suprema Corte aveva affermato che il possesso di fatture false e del timbro, presso lo studio del professionista, è una prova inequivocabile della sua partecipazione alle condotte criminose contestate, ancorché non costituisca l’unica prova ammissibile in tal senso.
Risponde invece del concorso per il reato di dichiarazione fraudolenta mediante l’uso di fatture per operazioni inesistenti (articolo 2 del Dlgs 74/2000) il commercialista che contabilizza nelle dichiarazioni del cliente fatture che sapeva essere false. È quanto precisato dalla Cassazione nella sentenza 39873/2013, che ha confermato la responsabilità del commercialista a titolo di concorso, considerato che egli era ben consapevole del ruolo di “mera cartiera” svolto dalla società emittente le fatture inesistenti, la cui sede sociale coincideva con il proprio ufficio. Senza considerare che, nella fattispecie in esame, le fatture in questione erano oggettivamente tali da indurre sospetto in un commercialista avveduto, poiché in esse le attività fornite, a fronte di importi considerevoli, erano solo genericamente descritte.