rivalutazione beni omogeneiLe disposizioni contenute nell’articolo 131-bis del codice penale sono applicabili anche ai procedimenti in corso al momento della sua entrata in vigore e anche nel giudizio di legittimità laddove non sia stato possibile proporre la questione in grado di appello (nella specie, non essendo ancora entrata in vigore la relativa disciplina). In ogni caso, nel giudizio di legittimità, deve essere preventivamente verificata la sussistenza, in astratto, delle condizioni di applicabilità del nuovo istituto e, in caso affermativo, va annullata la sentenza impugnata con rinvio al giudice di merito affinché valuti se dichiarare il fatto non punibile. Nel caso concreto, la causa di non punibilità è stata ritenuta manifestamente non sussistente dalla Corte di cassazione in ragione dell’ammontare del debito (omesso versamento dell’Iva che supera di oltre 20mila euro la soglia di punibilità fissata ora a 250mila euro). Lo ha affermato la sezione penale della Corte di cassazione, con la sentenza 13218 del 1° aprile 2016.

 

La vicenda

 

Con sentenza del 9 ottobre 2014, la Corte d’appello di Catanzaro ha confermato la pronuncia emessa dal Tribunale di Cosenza, con la quale l’imputato era stato condannato alla pena di otto mesi di reclusione, oltre le sanzioni accessorie, per il reato di cui all’articolo 10-ter del Dlgs 74/2000, ossia l’omesso versamento dell’Iva dovuta in base alla dichiarazione annuale entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo. In presenza di tale reato, in particolare, l’articolo 10-ter, ratione temporis, stabiliva che è applicabile la disposizione dettata dal precedente articolo 10-bis, il quale, a sua volta, prevedeva la reclusione da sei mesi a due anni per l’omesso versamento di ritenute per un ammontare superiore a 50mila euro per ciascun periodo d’imposta.

 

Avverso la sentenza della Corte d’appello, l’imputato ha proposto impugnazione in Cassazione, sollevando numerose questioni. Con memoria depositata in prossimità dell’udienza, tenutasi nel novembre 2015, la sua difesa ha rilevato che l’omissione contestata supera la nuova soglia di rilevanza penale – fissata a 250mila euro dal testo riformulato dell’articolo 10-ter, in vigore dal 22 ottobre 2015 (l’attuale testo dice, infatti, che “è punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta successivo, l’imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione annuale, per un ammontare superiore a euro duecentocinquantamila per ciascun periodo d’imposta”) – di soli 20.703 euro; tale circostanza, a parere della difesa renderebbe applicabile l’articolo 131-bis del codice penale, in presenza di una speciale tenuità del fatto.

 

La decisione

 

Con la pronuncia 13218 del 1° aprile 2016, la Corte di cassazione ha preso posizione su questo motivo di doglianza, affermando alcuni principi di carattere generale circa l’ambito applicativo dell’articolo 131-bis del codice penale (“esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto”, inserito dall’articolo 1, comma 2, del Dlgs 28/2015), il quale, al primo comma, recita: “nei reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’articolo 133, primo comma, l’offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale” – al secondo dispone che “l’offesa non può essere ritenuta di particolare tenuità, ai sensi del primo comma, quando l’autore ha agito per motivi abietti o futili, o con crudeltà, anche in danno di animali, o ha adoperato sevizie o, ancora, ha profittato delle condizioni di minorata difesa della vittima, anche in riferimento all’età della stessa ovvero quando la condotta ha cagionato o da essa sono derivate, quali conseguenze non volute, la morte o le lesioni gravissime di una persona”, mentre il comma 3 stabilisce che “il comportamento è abituale nel caso in cui l’autore sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza ovvero abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità, nonché nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate”.

 

Più specificamente, la Corte suprema ha statuito preliminarmente che:

 

 

  • la natura sostanziale dell’istituto di nuova introduzione implica la possibilità di applicarlo “anche ai procedimenti in corso al momento della sua entrata in vigore, per la retroattività della legge più favorevole, secondo quanto stabilito dall’art. 2 c.p., comma 4”, secondo cui, “se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile
  • la questione della particolare tenuità del fatto può essere proposta anche nel giudizio di legittimità, tenendo conto di quanto disposto dall’articolo 609 cpp, comma 2, ovvero che si tratta di questione che non sarebbe stato possibile dedurre in grado di appello, non essendo ancora entrata in vigore la relativa disciplina.
    Ciò premesso, la Cassazione ha evidenziato che l’applicabilità dell’istituto presuppone valutazioni di merito, oltre che la necessaria interlocuzione dei soggetti interessati e, quindi, nel giudizio di legittimità, “dovrà preventivamente verificarsi la sussistenza, in astratto, delle condizioni di applicabilità del nuovo istituto, procedendo poi, in caso di valutazione positiva, all’annullamento della sentenza impugnata con rinvio al giudice del merito affinché valuti se dichiarare il fatto non punibile”.

 

 

In particolare, la causa di non punibilità potrà ritenersi sussistente solo in presenza del duplice requisito della particolare tenuità dell’offesa e della non abitualità del comportamento, “dovendosi desumere la particolare tenuità dell’offesa dalle modalità della condotta e dall’esiguità del danno o del pericolo, da valutarsi sulla base dei criteri indicati dall’art. 133 c.p., ovvero: natura, specie, mezzi, oggetto, tempo, luogo ed ogni altra modalità dell’azione, gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato intensità del dolo o grado della colpa (sez. 3, 8 aprile 2015, n. 15449, rv. 263308; sez. 3, 22 aprile 2015, n. 21474, rv. 263693)”. L’articolo 133 del cp dispone, infatti, che “… il giudice deve tener conto della gravità del reato, desunta:

 
1. dalla natura, dalla specie, dai mezzi, dall’oggetto, dal tempo, dal luogo e da ogni altra modalità dell’azione;
2. dalla gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato [c.p. 626];
3. dalla intensità del dolo o dal grado della colpa”.
 

Nel caso sottoposto alla sua attenzione, la Cassazione penale, esaminato il motivo di doglianza, lo ha ritenuto inammissibile (e ha quindi cassato senza rinvio), poiché manifestamente insussistente la causa di non punibilità in ragione dell’ammontare del debito, che supera “di ben euro 20.703,00 la soglia di punibilità di euro 250.000,00 fissata dalla disposizione incriminatrice nella, più favorevole, formulazione attualmente vigente introdotta dal D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158, art. 8, comma 1, (entrato in vigore il 22 ottobre 2015)”. A parere della suprema Corte, “si tratta, dunque, di una fattispecie non particolarmente tenue sul piano oggettivo, anche in considerazione del fatto che il grado di offensività che dà luogo a sanzione penale è già stato valutato dal legislatore nella determinazione della soglia di punibilità; cosicché potrebbe essere ritenuta di particolare tenuità solo un’omissione di ammontare vicinissimo a tale soglia (sez. 3, 5 maggio 2015, n. 40774, rv. 26507)”.

 

Osservazioni

 

Con riferimento al reato di omesso versamento dell’Iva, la sezione penale della Corte di cassazione si era espressa già negli stessi termini con sentenza 40774 del 12 ottobre 2015, nella quale aveva affermato che la causa di non punibilità risultava manifestamente insussistente anche “in ragione dell’ammontare del debito stesso, di Euro 112.124,00, che supera di circa Euro 9000,00 la soglia di punibilità di Euro 103.291,38 fissata dalla disposizione incriminatrice con riferimento ai fatti commessi sino al (OMISSIS), a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 80 del 2014”. Anche in tale pronuncia, la Corte ha evidenziato la rilevanza dell’entità delle soglie fissate dal legislatore ai fini della punibilità dei reati fiscali, che manifesterebbero una valutazione preventiva circa il grado di offensività della condotta o dell’omissione, così che solo scostamenti veramente minimi (“vicinissimi alla soglia”) potrebbero legittimare l’applicazione della disposizione.

 

Sulle tematiche di carattere generale affrontate dalla sentenza 13218/2016, si segnala, invece, che la Cassazione – con tre ordinanze del 7 maggio 2015, nn. 21014, 21015 e 21016 – aveva trasmesso gli atti al primo presidente per l’eventuale rimessione alle sezioni unite, tra le altre, della questione circa la possibilità di dedurre l’applicabilità dell’articolo 131-bis cp anche ai giudizi in corso e per la prima volta in sede di legittimità, nonché con quali modalità. In particolare, nell’ordinanza 21016, la terza sezione si era posta la questione “se il giudizio della Corte sull’applicabilità dell’istituto e sulla meritevolezza debba essere espresso solo su richiesta della parte che vi abbia interesse o anche di ufficio (posto che il ricorrente D. non ha formulato alcuna richiesta in tal senso)” e, inoltre, “se rientri nei poteri della Corte di Cassazione la valutazione di meritevolezza ai fini dell’applicabilità dell’istituto e se tale giudizio debba in ogni caso essere espresso attraverso un annullamento con rinvio della sentenza impugnata ovvero possa farsi luogo ad un annullamento senza rinvio…”. In particolare, secondo la Cassazione “ferma restando allora la necessità di una valutazione astratta circa le condizioni legittimanti il ricorso all’istituto in esame, con stretto riferimento al profilo concernente la fase processuale del giudizio di legittimità, la complessità della valutazione (che esige un giudizio globale collegato anche al tipo di reati da prendere di volta in volta in considerazione nella loro struttura intrinseca) importerebbe sempre un giudizio di merito, impossibile da esprimere da parte della Corte di Cassazione che deve invece, quanto meno allo stato attuale, indicare criteri di massima al giudice di merito cui informare una futura decisione sulla meritevolezza ai fini dell’applicabilità della causa di non punibilità, sulla base delle allegazioni dell’imputato e nel rispetto del contraddittorio con gli altri protagonisti processuali”. Tuttavia, il primo presidente ha ritenuto insussistenti le condizioni per la rimessione e, in particolare, l’assenza di un contrasto nella giurisprudenza di legittimità.

 

Recentemente, poi, la stessa Corte, con sentenza 5800 dell’11 febbraio 2016, ha ritenuto compatibile con il giudizio di legittimità la valutazione della “meritevolezza”: “deve ritenersi che la particolare tenuità del fatto possa essere rilevata anche ex officio dalla Corte di Cassazione, con annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, laddove questa – come pacificamente si riscontra nella fattispecie odierna – consenta di ravvisare ictu oculi la sussistenza dei presupposti richiesti dall’art. 131-bis c.p.: l’attività richiesta al giudice di legittimità, in tal caso, non può intendersi verifica di merito, ma piuttosto semplice valutazione della corrispondenza del fatto, nel suo minimum di tipicità, al modello legale di una fattispecie incriminatrice, come la disciplina del nuovo istituto impone nella fase del giudizio …”.

 

Si segnala, infine, sull’argomento la recente sentenza 5504 del 10 febbraio 2016, nella quale la Cassazione ha preso posizione sui poteri del giudice del rinvio a seguito dell’annullamento della sentenza impugnata per la verifica della sussistenza dei presupposti per l’applicazione della causa di non punibilità, in particolare in ordine alla dichiarazione dell’estinzione del reato per sopravvenuta prescrizione, chiarendo che “il giudice non può dichiarare l’estinzione del reato per sopravvenuta prescrizione in quanto l’accertamento della responsabilità e l’irrogazione della pena possono intervenire in momenti distinti giacché la punibilità non è elemento costitutivo del reato e dunque non è “extra ordinario” la concezione di una definitività decisoria che, attenendo all’accertamento della responsabilità dell’autore del fatto criminoso e ponendo fine all’iter” (cfr sentenza 50215/2015).