paradosso-italiano-lavorare-guadagnare.jpgL’impoverimento dei lavoratori dei comparti pubblici della conoscenza – e più in generale del pubblico impiego – è un dato di fatto ormai incontrovertibile, certificato con tanto di cifre e tabelle perfino dall’Aran nel suo ultimo Rapporto semestrale sulle retribuzioni dei pubblici dipendenti (dicembre 2015)*.

 

Da questo Rapporto emerge con chiarezza che dal 2010 (anno in cui furono introdotti dal governo Berlusconi i vari blocchi retributivi) la dinamica retributiva del lavoro pubblico relativa ai 4 anni successivi (2010-2013) è risultata decisamente negativa: complessivamente le retribuzioni procapite di fatto** sono scese – all’incirca dell’1,2% – nel quadriennio considerato.

 

Questo esito negativo certifica che non solo non ci sono stati aumenti retributivi ma che addirittura le retribuzioni procapite sono diminuite in conseguenza dei numerosi provvedimenti adottati nei confronti dei pubblici dipendenti: dalla sospensione della contrattazione nazionale, al blocco e alla revisione delle dinamiche di carriera (ad es. per i neo assunti della scuola), dal taglio delle risorse per la contrattazione integrativa, ecc.

 

Questo andamento negativo dei livelli retributivi certifica, come è costretto a riconoscere lo stesso Aran, l’importanza del contributo dato dai lavoratori pubblici nell’arginare gli effetti della crisi finanziaria avviatasi alla fine del decennio scorso.

 

Dal Rapporto Aran, inoltre, emerge come nello stesso periodo considerato (2010-2013) ladinamica retributiva dei settori privati abbia avuto un andamento diverso dal pubblico impiego, facendo registrare un incremento di tipo positivo (all’incirca del 6%). Tale esito contribuisce a sfatare il luogo comune che vuole il pubblico impiego beneficiario di una dinamica retributiva più favorevole rispetto a quella dei settori privati. La realtà è diversa, poiché il blocco della contrattazione subita dai lavoratori pubblici ha determinato un peggioramento tale per cui se si prende a riferimento anche un periodo medio-lungo (compreso tra il 2000 e il 2013) tra i due settori emerge una situazione complessiva più favorevole per il settore privato.

 

Consideriamo ora le retribuzioni contrattuali, cioè quelle riconducibili specificatamente alle tabelle contrattuali nazionali*** con riferimento al periodo 2008-2015, ovvero dall’inizio della crisi economica all’ultimo anno disponibile. Secondo quanto evidenziato nel Rapporto Aran sulla base dei dati Istat nel periodo considerato si assiste ad una crescita cumulata delle retribuzioni contrattuali per l’intera economia (ovvero comprensiva dei comparti sia pubblici che privati) pari al +16,4%. Tale crescita però va così scomposta: il 9,5% riguarda i comparti della Pubblica Amministrazione e il 19,4% i settori privati. Per la Pubblica Amministrazione tutto l’incremento si concentra nei primi anni poiché dal 2011 in poi le retribuzioni sono ferme a zero per effetto del blocco contrattuale. Appare pertanto evidente come la variazione nulla del complesso della Pubblica Amministrazione incide al ribasso sulla crescita dell’intera economia.

 

Inoltre, tale blocco delle retribuzioni va letto in confronto con l’inflazione, che nel periodo considerato seppur lentamente è cresciuta. Dal confronto tra l’andamento delle retribuzioni contrattuali della Pubblica Amministrazione con quello dei valori dell’inflazione appare evidente la perdita del potere d’acquisto dei salari pubblici. Infatti, a fronte di aumenti retributivi complessivi del 9,4% dal 2008 al 2015, la crescita cumulata dell’inflazione nel periodo considerato è stata del 13,6%, con un perdita di ben 4,2% del potere d’acquisto dei salari pubblici in rapporto all’inflazione. Come afferma l’Aran: “il valore di crescita delle retribuzioni della pubblica amministrazione è completamente eroso dalla crescita dei prezzi”.

 

Allora se lo dice anche l’Aran, a quando i rinnovi dei contratti nazionali per i lavoratori pubblici?