In base a una interpretazione costituzionalmente orientata della normativa processuale e atta a dare attuazione ai principi di tutela del diritto di azione e di difesa nonché di economia processuale (articoli 24 e 111 della Costituzione), la procura alle liti, conferita in termini ampi e comprensivi (nella specie, “con ogni facoltà”), è idonea ad attribuire al difensore il potere di esperire tutte le azioni necessarie o utili per il conseguimento del risultato a tutela dell’interesse della parte assistita. Lo hanno chiarito le sezioni unite della Corte di cassazione, con la sentenza n. 4909 del 14 marzo 2016.
I fatti
Un condominio, sulla base di una generica procura alle liti rilasciata dall’amministratore a margine del ricorso, ha ottenuto dal tribunale il decreto ingiuntivo a carico di due condòmini per il pagamento della somma da loro dovuta a titolo di quota di pertinenza della spesa per lavori compiuti nello stabile.
Proposta opposizione avverso il decreto, all’esito della lite nella quale era stata chiamata in giudizio dall’opposto condominio l’impresa appaltatrice dei lavori quale terza in garanzia, il tribunale adito, da una parte quantificava il risarcimento danni dovuto dai condòmini per i danni subìti al loro appartamento in seguito all’esecuzione delle predette opere e li condannava al pagamento della differenza tra gli importi dei contrapposti crediti, dall’altra condannava la ditta appaltatrice, chiamata in causa in garanzia dal condominio, a tenere quest’ultimo indenne da quanto spettante agli opponenti.
La sentenza di primo grado, impugnata dalla ditta appaltatrice (terza chiamata in causa), veniva confermata dalla Corte d’appello. In particolare, il giudice di secondo grado disattendeva anche l’eccezione di inammissibilità della chiamata in causa del terzo sul presupposto che il difensore del condominio chiamante fosse sfornito di apposita procura.
La ditta proponeva ricorso in Cassazione, che veniva assegnato alla seconda sezione civile.
L’ordinanza di rimessione
Con ordinanza interlocutoria n. 24959 del 24 novembre 2014, la seconda sezione rilevava che, nell’ambito della giurisprudenza di legittimità, emergeva un contrasto di orientamenti in relazione alle questioni processuali sollevate: se la eventuale carenza di potere rappresentativo fosse eccepibile solo dalla parte o rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio e, nel primo caso, se la relativa nullità dovesse considerarsi sanata in caso di costituzione del terzo chiamato in causa che inizialmente accetti il contraddittorio sul merito o possa essere dedotta anche nell’ulteriore corso del procedimento, compreso il profilo dell’individuazione del contenuto necessario della procura alle liti per l’attribuzione al difensore anche del potere di chiamare un terzo in giudizio a titolo di garanzia.
Di conseguenza, rimetteva gli atti al primo presidente per l’eventuale assegnazione alle sezioni unite civili al fine di risolvere il contrasto esistente.
La sentenza
Le sezioni unite sono state chiamate a individuare i poteri attribuiti dalle parti al difensore mediante l’uso, nel mandato alla lite, di una formula generica, quale la locuzione “con ogni facoltà”. In particolare, i giudici di legittimità dovevano valutare se era possibile ricomprendervi anche la facoltà di chiamare in causa un terzo in garanzia impropria ovvero se, piuttosto, tale facoltà doveva essere conferita espressamente al difensore nella procura stessa o nel contesto dell’atto cui essa accedeva, considerando che, nella fattispecie, il condominio si era limitato ad attribuire genericamente al proprio difensore “ogni facoltà” nel mandato a richiedere l’emissione del decreto ingiuntivo.
Da subito, la Corte ha ricordato che la procura alle liti è l’atto formale con il quale si attribuisce al difensore lo ius postulandi, il “ministero” di rappresentare la parte nel processo (cfr sezioni unite n. 4814/2005). La procura ad litem ex articolo 83 del codice di procedura civile è negozio unilaterale processuale, formale e autonomo (cfr Cassazione, 6113/1979), che investe il difensore della rappresentanza in giudizio e si distingue dal presupposto rapporto interno, il quale ha fonte nel contratto di prestazione d’opera professionale stipulato tra quest’ultimo e la parte (cfr Cassazione, 4489/2010, 2910/1997), restando insensibile alla sorte del contratto di patrocinio (cfr Cassazione, 8388/1997).
Poi, la Corte ha affermato che la facoltà del difensore di una parte di proporre tutte le domande utili alla parte rappresentata, ricollegabili all’interesse del suo assistito e riferibili all’originario oggetto della causa, gli è attribuita direttamente dall’articolo 84 cpc e non dalla volontà della parte che conferisce la procura alle liti (volontà che può assumere rilievo solo al fine dell’eventuale limitazione dei “poteri del procuratore derivanti dalla legge” – cfr sezioni unite, 19510/2010). Tale conferimento, infatti, non rappresenta un’attribuzione di poteri, ma solo una scelta e una designazione, tanto che la natura dell’atto con il quale viene conferita o all’interno del quale è contenuta e la sua collocazione formale non costituiscono elementi idonei a limitare l’ambito dei poteri del difensore.
Con riferimento a questi ultimi, la Corte ha osservato che la legge non determina il contenuto necessario della procura, limitandosi a distinguere tra procura generale e speciale (articolo 83, comma 2, cpc) e a stabilire che il difensore può compiere e ricevere, nell’interesse della parte, tutti gli atti del processo che dalla legge non sono a essa espressamente riservati, mentre non può compiere atti che importano disposizione del diritto in contesa, se non ne ha ricevuto espressamente il potere (articolo 84 cpc).
I giudici di legittimità hanno ritenuto, quindi, che, in assenza di specifica regolamentazione, deve applicarsi la disciplina codicistica sulla rappresentanza e sul mandato (in particolare, il principio generale ex articolo 1708 del codice civile, secondo cui il mandato comprende tutti gli atti necessari al compimento dell’incarico conferito), avente carattere generale rispetto a quella processualistica (cfr sezioni unite, 10209/2006, 15783/2005 e 11759/2002).
La Corte, tuttavia, con riferimento al potere del difensore di proporre tutte le domande non eccedenti l’ambito della lite originaria, ha registrato orientamenti interpretativi non univoci su domanda riconvenzionale, appello incidentale e chiamata in causa di un terzo. I riflessi della sentenza in ambito tributario riguardano solo l’appello incidentale.
Per la domanda riconvenzionale (non applicabile nel processo tributario, non solo perché non espressamente prevista dal Dlgs 546/1992, ma anche perché non risulta applicabile l’articolo 36 cpc, in quanto non compatibile con la natura impugnatoria del processo tributario, che richiede, per esperire la domanda, l’esistenza di un provvedimento espresso o tacito, ex articolo 19 del Dlgs 546/1992), la Corte ha ritenuto che tale domanda, anche quando introduce un nuovo tema di indagine e mira all’attribuzione di un autonomo bene della vita, resta sempre connotata dalla funzione difensiva di reazione alla pretesa della controparte.
Per l’appello incidentale, i giudici di legittimità hanno riconosciuto al difensore dell’appellato il potere di proporre il gravame anche nel caso in cui la procura sia stata apposta in calce a uno degli atti previsti dall’articolo 83, comma 3, cpc (cfr sezioni unite, 19510/2010).
Infine, con riferimento al rapporto di garanzia, la Corte ha ritenuto il difensore abilitato a chiamare in causa un terzo sia in garanzia “propria” (e cioè quando la causa principale e quella accessoria hanno lo stesso titolo, ovvero quando ricorre una connessione oggettiva tra i titoli delle due domande – cfr Cassazione, 8898/2014 e 17688/2009) al fine di sollevare il proprio assistito dall’eventuale soccombenza, sia in garanzia “impropria”.
Con riferimento al processo tributario, il principio enunciato non potrebbe trovare applicazione né per la chiamata in garanzia propria né per quella impropria. Ciò in quanto tale chiamata, non solo non è prevista dalla lettera dell’articolo 14, comma 3, Dlgs 546/1992 (possono essere chiamati in giudizio i soggetti che, assieme al ricorrente, sono destinatari dell’atto impugnato o parti del rapporto tributario controverso), ma anche perché è incompatibile col processo tributario, in quanto consentirebbe di ammettervi soggetti estranei a quelli che hanno partecipato direttamente all’emissione dell’atto impositivo o che ne sono i diretti interessati (cfrCassazione, 20854/2007).