Un commento sulle proposte di legge che vorrebbero il ricalcolo delle pensioni superiori a 5mila euro lordi al mese sulla base del sistema contributivo, cioè in rapporto ai versamenti effettuati durante tutta la vita lavorativa.
Tramonta l’ipotesi di un ricalcolo con il contributivo delle pensioni superiori a 5mila euro lordi al mese. L’audizione giovedì in commissione Lavoro alla Camera del direttore per la previdenza dell’Inps, Antonello Crudo, ha sostanzialmente bocciato da un punto di vista tecnico la possibilità di attuare il ricalcolo in chiave contributiva delle prestazioni attualmente erogate dall’Inps nei confronti dei cd. pensionati d’oro, almeno secondo la definizione data da Fratelli d’Italia, nel progetto di legge in discussione alla Camera dei Deputati (AC 1253) da diversi mesi ormai. Crudo ha indicato che in un certo numero di casi il ricalcolo potrebbe portare ad aumentare dell’assegno anziché tagliare l’importo delle pensioni perché nel sistema retributivo ci sono aliquote di rendimento dei contributi decrescenti al salire delle retribuzioni. Inoltre il ricalcolo potrebbe non avere effetti per i lavoratori che hanno avuto retribuzioni importanti ad inizio a carriera, poi diminuite a causa della crisi dato che nel retributivo si tengono conto solo degli ultimi anni di carriera lavorativa nella quantificazione dell’assegno. “Il sistema retributivo – ha detto Crudo – contiene in sé un forte meccanismo solidaristico di riequilibrio che consiste nel fatto che il cosiddetto coefficiente di rivalutazione annua della pensione quando i redditi superano i 45.000 euro scende al di sotto del 2% sino a ridursi allo 0,9 per cento per redditi superiori a 90.000 euro”.
In sostanza chi ha percepito in passato redditi alti non può raggiungere l’80% della base retributiva, come chi vantava retribuzioni inferiori a 45mila euro annui e 40 anni di contributi, ma cifre oscillanti tra il 40 e il 50%, un meccanismo redistributivo in grado di compensare gli eventuali effetti di promozioni molto generose ottenute, tipicamente nel pubblico, negli ultimi anni di lavoro. Il passaggio al contributivo, oltre ad annullare tale effetto, comporterebbe anche la valorizzazione delle anzianità contributive versate in eccedenza del 40° anno di servizio, ipotesi non remota per chi ha rivestito posizioni di dirigenza sino al 70° o addirittura a 75° anno potendo vantare di limiti ordinamentali di servizio molto più elevati rispetto ai lavoratori “normali”. E dato che nel contributivo non c’è il tetto di anzianità a 40 anni in sostanza le pensioni di questi soggetti potrebbero addirittura aumentare se si procedesse nel senso indicato dalla Meloni.
A parte queste osservazioni, conseguenze più che altro del confronto tra i due sistemi di calcolo, Crudo indica “molto complesso” ricostruire la storia contributiva delle pensioni liquidate molti anni fa, in particolare prima del 1992 e nel settore pubblico, perchè non ci sono archivi informatici e la pensione si calcolava su una quota dell’ultima retribuzione. “Ci sarebbe quindi il rischio di un diffuso contenzioso”, ha sottolineato Crudo che ha avvertito anche come le risorse umane a disposizione dell’Inps per lo svolgimento di queste operazioni sono molto risibili. Soprattutto in questo periodo in cui l’istituto deve conformare i propri sistemi operativi alle innovazioni prodotte dal Jobs Act che ha riformato il sistema degli ammortizzatori sociali.
La posizione di Crudo corrobora in verità l’opinione della maggioranza Dem che non ha visto di buon’occhio, sin dall’inizio delle discussioni, la proposta di Fratelli d’Italia tacciata più che altro di essere un’operazione demagogica. E che produrrebbe peraltro, per gli effetti sopra esposti, pochi risparmi, nell’ordine di qualche centinaia di milioni di euro. La presa di posizione dell’Inps rende, pertanto, ora più difficile il cammino di approvazione della proposta.