redditometro 2Il nuovo redditometro, introdotto dal Dl 78/2010, ha effetto solo per gli accertamenti relativi ai periodi di imposta 2009 e seguenti. Ciò, in virtù della chiarissima norma di diritto transitorio prevista dal decreto stesso: l’articolo 22 statuisce, infatti, che le modifiche apportate all’articolo 38 del Dpr 600/1973 producono effetti “per gli accertamenti relativi ai redditi per i quali il termine di dichiarazione non è ancora scaduto alla data di entrata in vigore del presente decreto”. Lo ha ribadito la Cassazione, con la pronuncia n. 1772 del 29 gennaio 2016 (non a caso resa in forma di ordinanza), che ha anche condannato il contribuente alla refusione delle spese di lite.

 

La vicenda processuale

 

Un contribuente proponeva ricorso per cassazione avverso una sentenza della Ctr, che aveva accolto soltanto parzialmente le sue doglianze avverso un avviso di accertamento sintetico emesso per l’anno 2006. L’atto impositivo si basava, in particolare, su diversi indici di capacità contributiva, quali l’acquisto in compartecipazione al 50% con la moglie di un’imbarcazione a motore (al netto di alcuni disinvestimenti), nonché le spese di mantenimento della predetta imbarcazione, di un’autovettura, di un motociclo e della casa di residenza. Con il ricorso in Cassazione, il contribuente lamentava, tra l’altro, l’errore in cui era incorsa la Ctr per non aver applicato retroattivamente il nuovo articolo 38 del Dpr 600/1973, come risultante dalle modifiche apportate dall’articolo 22 del Dl 78/2010.

 

La pronuncia della Cassazione

 

La Corte suprema, nel rigettare il ricorso del contribuente, ha deciso di dare seguito al proprio precedente rappresentato dalla sentenza 21041/2014 secondo cui, in tema di redditometro, la normativa applicabile è “questione di diritto intertemporale che, appunto, va a identificare, nella successione fra più norme, quella da dover applicare”. Nel caso di specie, l’articolo 22, comma 1, del Dl 78/2010, quale norma di diritto transitorio, è chiaro nell’affermare che le nuove disposizioni abbiano “effetto per gli accertamenti relativi ai redditi per i quali il termine di dichiarazione non è ancora scaduto alla data di entrata in vigore del presente decreto” (ovvero dall’anno 2009 e seguenti).

 

Ulteriori osservazioni

 

Sin dalla sua introduzione, il “nuovo redditometro” ha posto problemi riguardanti soprattutto la sua applicabilità retroattiva ovvero ai rapporti ancora pendenti al momento del suo debutto e, secondo l’orientamento che ormai può dirsi consolidato, non sarebbe suscettibile di applicazione retroattiva per una serie di ragioni. In primo luogo, è necessario sottolineare che lo stesso legislatore ha precisato l’ambito temporale di applicazione. Il richiamato articolo 22 stabilisce, infatti, che le modifiche apportate all’articolo 38 del Dpr 600/1973 sono efficaci “per gli accertamenti relativi ai redditi per i quali il termine di dichiarazione non è ancora scaduto alla data di entrata in vigore del presente decreto”, vale a dire con esclusione degli accertamenti relativi a periodi d’imposta anteriori al 2009.

 

Inoltre, nel sistema attualmente vigente, come delineato dal Dm 24 dicembre 2012, non si riscontra una disposizione analoga a quella prevista – sempre in tema di accertamento sintetico – dall’articolo 5, comma 3, ultimo periodo, del Dm 10 settembre 1992, il quale – nel far salvi gli accertamenti emanati sulla base del precedente Dm 21 luglio 1983 – ha previsto che “Il contribuente può,tuttavia, chiedere, qualora l’accertamento non sia divenuto definitivo, che il reddito venga rideterminato sulla base dei criteri indicati nell’art. 3 del presente decreto”. Al contrario, anche il Dm 24 dicembre 2012 – emanato in attuazione delle nuove norme in materia di accertamento sintetico – ribadisce che le disposizioni in esso contenute “si rendono applicabili alla determinazione sintetica dei redditi e dei maggiori redditi relativi agli anni d’imposta a decorrere dal 2009”. In definitiva, sia il limite temporale individuato dallo stesso Dl 78 sia l’assenza di una previsione analoga a quella contenuta nel Dm del 1992 inducono, di per sé, a escludere un’applicazione retroattiva del “nuovo redditometro”.

 

Non possono essere applicati al nuovo redditometro, inoltre, i principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità sull’applicazione retroattiva dei provvedimenti che modificano gli studi di settore. Secondo la Corte suprema, “la procedura di accertamento tributario standardizzato, mediante l’applicazione dei parametri e degli studi di settore, costituisce un sistema unitario, frutto di un processo di progressivo affinamento degli strumenti di rilevazione della normale redditività, per categorie omogenee di contribuenti. L’unitarietà del sistema giustifica – di conseguenza – la prevalenza, in ogni caso, e la conseguente applicazione retroattiva dello strumento più recente rispetto a quello precedente, proprio perché più affinato e, pertanto, più affidabile (Cass. S.U. 26635/09, 23602/08)” (Cassazione 10 giugno 2011, n. 12786). Va osservato, infine, che, nella fattispecie, le sentenze dei giudici di merito avevano accolto l’eccezione del contribuente in ordine alla illegittimità dell’applicazione dei criteri presuntivi di cui al Dm 19 settembre 1992 ad accertamenti relativi ad annualità di imposta anteriori alla sua emanazione.

 

Le modifiche apportate al sistema di accertamento da redditometro, ai sensi del combinato disposto di cui all’articolo 22 Dl 78/2010 e Dm 24/12/2012, in ragione degli effetti incisivi e deteriori apportati alla sfera giuridica del contribuente, sono tutt’altro da considerarsi quali mere norme di carattere procedimentale, non potendo qualificarsi tout court come un’evoluzione dello strumento precedente. Ed è proprio la sostanziale differente metodologia adottata al fine della determinazione sintetica del reddito, infatti, a escludere la possibilità di applicare retroattivamente il “nuovo redditometro”. Infatti, mentre il vecchio redditometro esprimeva, attraverso dei valori predefiniti (da moltiplicare per dei coefficienti) attribuiti ad alcuni beni e servizi indicativi, non la spesa sostenuta in relazione al possesso dello specifico bene o servizio, quanto piuttosto il reddito complessivo induttivamente espresso dalla disponibilità del medesimo bene o servizio, con il nuovo strumento il reddito complessivo accertabile del contribuente è determinato quale somma dell’ammontare di ciascuna tipologia di spesa.

 

Da ultimo, è intervenuta sul punto la Cassazione con l’ordinanza n. 22744 del 6 novembre 2015 che, in continuità con l’arresto del 2014, ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, riconducendo la questione nell’alveo di una problematica di diritto intertemporale. Secondo i giudici di legittimità, “il richiamo alla retroattività è inconferente, giacché la giurisprudenza della Corte, nell’affermare l’applicabilità degli indici previsti dai decreti ministeriali del 10 settembre e 19 novembre 1992 ai periodi d’imposta precedenti alla loro adozione, non sulla retroattività ha fatto leva, bensì sulla natura procedimentale delle norme dei decreti, che ne comporta l’applicabilità in rapporto al momento dell’accertamento (vedi, fra varie, Cass. 19 aprile 2013, n. 9539)”.

 

Allo stesso modo inconferente è l’invocazione del principio del favor rei, “perché l’applicazione di tale principio è predicabile unicamente al cospetto di norme sanzionatorie, non già allorquando si tratti dei poteri di accertamento oppure della formazione della prova, che sono appunto i piani coinvolti dal redditometro. Ed ancor prima, ad ogni modo, va rilevato che la questione su quale sia la norma applicabile è questione di diritto intertemporale che, appunto, va a identificare, nella successione fra più norme, quella da dover applicare”. E, nel caso di specie, la disposizione di diritto transitorio appare chiarissima sul punto.