Le vicende estintive della qualità di imprenditore individuale non sono subordinate alla formalità della cancellazione dal registro delle imprese come previsto, dall’articolo 2495 cc per le società di capitali e per le cooperative, bensì all’effettivo svolgimento o al reale venir meno dell’attività d’impresa. Lo ha ribadito la Cassazione, con l’ordinanza n. 98 del 7 gennaio 2016.
I fatti
Un imprenditore ha proposto reclamo presso la Corte d’appello avverso la pronuncia con la quale il Tribunale aveva dichiarato il fallimento della propria impresa individuale. In particolare, per sottrarsi al fallimento, l’uomo aveva sostenuto che aveva cessato la sua attività imprenditoriale e che era stato già cancellato dal registro delle imprese. Di conseguenza, piuttosto che fallire, avrebbe potuto liquidare il proprio patrimonio personale, capiente rispetto ai debiti complessivi accumulati.
La Corte ha rigettato il reclamo e ha confermato il fallimento. Quindi, il fallito ha proposto ricorso per cassazione, ribadendo, tra l’altro, l’avvenuta cancellazione dal registro delle imprese, e sostenendo la riferibilità, alla propria vicenda estintiva, della giurisprudenza in materia di liquidazione e cancellazione della società di capitali e di persone.
I giudici di legittimità hanno respinto il ricorso, affermando il principio secondo il quale “la disciplina di cui all’art. 2495 cod. civ. (nel testo introdotto dall’art. 4 del d.lgs. n. 6 del 2003) … non è estensibile alle vicende estintive della qualità di imprenditore individuale…”.
Osservazioni
La Cassazione si pronuncia sulla diversa disciplina della cessazione della qualità di imprenditore individuale, ispirata al principio di effettività, rispetto a quella degli imprenditori collettivi, fondata sul principio del rispetto di specifiche formalità; poi, chiarisce che il differente regime estintivo ha riflessi anche sull’accertamento dello stato di insolvenza.
I giudici di piazza Cavour, interpretando l’articolo 2495 cc, nel testo introdotto dall’articolo 4, Dlgs 6/2003, hanno sottolineato che l’iscrizione della cancellazione delle società di capitali e delle cooperative (e dei consorzi con attività esterna – Cassazione, n. 19347/2007) dal registro delle imprese, avendo natura costitutiva, estingue le società, anche se sopravvivono rapporti giuridici dell’ente.
Come già chiarito dalle Sezioni unite, la norma, per la sua portata innovativa rispetto alla disciplina previgente, mentre trova applicazione anche alle cancellazioni iscritte prima della sua data di entrata in vigore (1° gennaio 2004) nei confronti degli imprenditori collettivi (con determinati limiti, per le società di persone), non disciplina le vicende estintive dell’imprenditore individuale. Per le società di persone, infatti, la Corte ha ritenuto che l’efficacia dichiarativa della cancellazione dal registro delle imprese e la conseguente opponibilità ai creditori (ex articoli 2312 e 2324 cc), solo dal 1° gennaio 2014, fanno comunque presumere il venir meno della loro capacità e legittimazione, anche se perdurano rapporti giuridici o azioni nelle quali esse sono parti (Cassazione, sezioni unite, n. 4060/2010).
Per l’imprenditore individuale, invece, la Cassazione ha ritenuto che la nuova disciplina non può trovare spazio. Mentre, infatti, con l’estinzione dell’impresa collettiva viene meno la duplicità dei centri di imputazione dei rapporti giuridici, individuati, da un lato, nelle persone fisiche che partecipano all’attività d’impresa (e sulle quali, dopo l’estinzione, ricadono, nei limiti della loro partecipazione, gli effetti della precedente attività sociale) e, dall’altro, nel soggetto collettivo (dotato di personalità giuridica o di sola autonomia patrimoniale), l’imprenditore individuale si identifica con la persona fisica che compie l’attività d’impresa.
La Corte, nella fattispecie al suo esame, ha ribadito tale identità (cfr Cassazione, nn. 14571/2012 e 9744/2011) e ha ancorato la vicenda estintiva al concreto venir meno dell’effettivo svolgimento dell’attività d’impresa. Ha giustificato tale conclusione sul piano delle esigenze di tutela dei terzi creditori.
Nel caso di impresa collettiva, l’inizio e la fine dell’impresa collettiva sono subordinate al perfezionamento delle formalità di iscrizione nel registro delle imprese (anche se tale iscrizione ha natura costitutiva per le società di capitali e dichiarativa per quelle di persone), poiché i creditori devono poter conoscere da quale momento e fino a quale momento possono contare sul patrimonio dell’ente e quando invece possono aggredire il patrimonio dei soci.
Rispetto all’imprenditore individuale, che non costituisce un centro di imputazione di rapporti giuridici diverso dalla persona fisica, invece, la Corte ha evidenziato che l’inizio e la fine della qualità di imprenditore non sono subordinati alla realizzazione di specifiche formalità, ma all’effettivo svolgimento o al reale venir meno dell’attività imprenditoriale.
Infine, la Corte suprema ha affermato che il differente regime estintivo ha riflessi anche sull’accertamento dello stato di insolvenza richiesto ai fini della pronunzia dichiarativa del fallimento dell’imprenditore. Ha precisato che tale stato non è escluso dalla circostanza che “… l’attivo superi il passivo e che non esistano conclamati inadempimenti esteriormente apprezzabili”.
In particolare, la Cassazione ha ribadito che l’insolvenza, rilevante ex articolo 5, legge fallimentare, si identifica con uno stato di impotenza funzionale non transitoria a soddisfare le obbligazioni inerenti all’impresa, e si esprime nell’incapacità di produrre beni con margine di redditività da destinare alla copertura delle esigenze di impresa (prima fra tutte, l’estinzione dei debiti) nonché nell’impossibilità di ricorrere al credito a condizioni normali, senza rovinose decurtazioni del patrimonio (Cassazione, n. 7252/2014).