causaleIl vizio di sottoscrizione di un avviso di accertamento non può essere proposto per la prima volta in appello, in quanto non rientra nel novero delle nullità, rilevabili in ogni stato e grado del giudizio. Il sistema tributario, infatti, si pone in un rapporto di genus a species rispetto a quello amministrativo, prevedendo regole peculiari che riconducono tutti i vizi incidenti sulla validità dell’atto tributario nello schema della invalidità – annullabilità, con conseguente onere per il contribuente di farli valere attraverso la tempestiva proposizione del ricorso giurisdizionale, pena il consolidamento dell’atto.

 

Lo ha stabilito la Cassazione con la sentenza n. 381 del 13 gennaio 2016, confermando l’orientamento della giurisprudenza di legittimità inaugurato dalla pronuncia n. 18448 del 2015 e ribadito dalle successive nn. 21307 e 22810 dello stesso anno.
 

La vicenda processuale

 

L’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per cassazione contro una sentenza con cui la Ctr della Sardegna aveva dichiarato la nullità di un avviso di accertamento per difetto di sottoscrizione. In particolare, il contribuente contestava all’Agenzia la mancata notifica della delega unitamente all’avviso, nonché di non aver provato l’appartenenza alla carriera direttiva del funzionario sottoscrittore. Ad avviso della Ctr, tale motivo di appello era da ritenersi non soltanto fondato ma anche, e prima ancora, ammissibile in quanto, pur trattandosi di un motivo “nuovo”, ovvero proposto per la prima volta in sede di appello, farebbe valere una nullità rilevabile (anche d’ufficio) in ogni stato e grado.
 

La pronuncia

 

La Cassazione, nell’accogliere il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, ha sottolineato come la sentenza impugnata si pone in contrasto con la giurisprudenza di legittimità, che ha escluso l’applicabilità del regime normativo (sostanziale e processuale) dei vizi di nullità alle ipotesi di nullità contemplate in ambito tributario, tra cui ricade quella del difetto di sottoscrizione di cui all’articolo 42, comma 3, del Dpr 600/1973.

 

La specialità della materia tributaria rispetto al diritto amministrativo ha legittimato il legislatore “a ricomprendere nella categoria unitaria della “nullità tributaria” indifferentemente tutti i vizi ritenuti tali da inficiare la validità dell’atto tributario, riconducendoli, indipendentemente dalla peculiare natura di ciascuno, nello schema della invalidità – annullabilità, dovendo essere gli stessi tempestivamente fatti valere dal contribuente mediante impugnazione da proporsi, con ricorso, entro il termine di decadenza di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21 in difetto del quale il provvedimento tributario – pure se affetto da vizi “nullità” – si consolida, divenendo definitivo e legittimando l’Amministrazione finanziaria alla riscossione coattiva della imposta”. Ne consegue che il vizio di sottoscrizione va fatto valere esclusivamente con il ricorso di primo grado, non essendo nemmeno ammesso un potere suppletivo del giudice mediante la sua rilevabilità d’ufficio.
 

Osservazioni

 

Per quanto concerne la questione della rilevabilità d’ufficio della nullità dell’avviso di accertamento per vizio di sottoscrizione, si segnala l’ordinanza n. 21307, dello scorso 20 ottobre, con cui la Cassazione ha stabilito che nel giudizio di legittimità non può trovare ingresso, per la prima volta, l’eccezione riguardante la sottoscrizione dell’avviso d’accertamento, sia per le preclusioni previste nel rito tributario (in tema di eccezioni proponibili e di divieto di proporre eccezioni nuove) sia per i principi che regolano il giudizio in Cassazione che è giudizio di legittimità e non sui “fatti”. La Corte suprema ha quindi dichiarato inammissibili i motivi nuovi formulati dal contribuente con una memoria illustrativa.
 

Il contribuente aveva lamentato, ma solo nell’ultimo grado di giudizio, la carenza del “potere di firma” in capo al sottoscrittore dell’atto oggetto di lite, “siccome incaricato di funzioni dirigenziali e non dirigente a seguito di concorso pubblico”.

 

Secondo la Cassazione, “quand’anche si trattasse, invero, di argomenti deducibili, indipendentemente dalle preclusioni che regolano il rito tributario (artt. 18 e 24; 57 del D.Lgs. n. 546/1992), essi sarebbero stati comunque introdotti in violazione dei principi che regolano il rito in Cassazione, non potendo in nessun caso la Corte apprezzare le circostanze di fatto che costituiscono il presupposto sostanziale degli assunti del contribuente, il cui onere di allegazione e prova in ordine a detti fatti appare comunque manifesto e imprescindibile”.
 

La pronuncia faceva seguito all’importante sentenza della Cassazione 18448/2015, secondo cui la “nullità” degli atti tributari non può essere rilevata dal giudice d’ufficio, in quanto occorre una specifica eccezione sollevata sin dal ricorso introduttivo tempestivamente proposto.

 

La Corte di legittimità ha ribadito che l’oggetto del giudizio tributario è circoscritto ai motivi di ricorso fatti valere dal contribuente e può essere modificato esclusivamente con la presentazione di motivi aggiunti “nel solo caso di ‘deposito di documenti non conosciuti ad opera delle altre parti o per ordine della commissione’ (cfr. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 19337 del 22/09/2011)”.
 

La questione della rilevabilità ex officio è stata molto dibattuta: secondo un primo orientamento, l’atto firmato dal dirigente decaduto è affetto da nullità assoluta ed è rilevabile d’ufficio (cfr Ctr Lombardia nn. 2842/1/15 e 2184/13/15). Secondo l’altra tesi, sostenuta dall’Agenzia delle Entrate, in assenza di tale eccezione nel ricorso introduttivo, la doglianza non può essere esaminata (cfr Ctp Milano n. 6021/26/15).
 

La sentenza della Cassazione 18448/2015 nonché la più esplicita ordinanza 21307/2015 hanno risolto definitivamente tale contrasto in senso favorevole all’Agenzia delle Entrate. A conferma di tale orientamento (e prima ancora della pronuncia in commento), si segnala anche la recentissima sentenza 22810/2015, con cui la Cassazione, prima di passare all’esame della questione principale sulla validità degli atti sottoscritti da funzionari di terza area delegati privi di qualifica dirigenziale, ha sostenuto che le forme di invalidità dell’atto tributario, ove anche dal legislatore indicate sotto il nomen di nullità, non sono rilevabili d’ufficio, né possono essere fatte valere per la prima volta nel giudizio di cassazione. Si tratta, in altri termini, di una forma di annullabilità rilevabile nei modi tipici di un processo di tipo impugnatorio, ovvero con il ricorso di primo grado.
 

Il giudizio tributario, difatti, è caratterizzato da un meccanismo d’instaurazione di tipo impugnatorio, circoscritto alla verifica della legittimità della pretesa effettivamente avanzata con l’atto impugnato, alla stregua dei presupposti di fatto e di diritto in esso indicati, e avente un oggetto rigidamente delimitato dalle contestazioni mosse dal contribuente con i motivi specificamente dedotti nel ricorso introduttivo di primo grado (Cassazione n. 25756/2014).