societa spese locali trasferteLa Cassazione, con la sentenza n. 24007 del 25 novembre 2015, si è pronunciato sulle norme di spesa e utilizzo, per le Società, dei locali utilizzati per le trasferte.

 

La Spa deve versare le ritenute alla fonte se concede al proprio amministratore, quale compenso in natura (fringe benefit), un immobile a titolo gratuito e per ragioni di lavoro, salvo che riesca a dimostrare l’uso sporadico dei locali da parte del dipendente. Lo ha affermato la Cassazione, con la sentenza n. 24007 del 25 novembre 2015.
 

I fatti

 

A seguito di processo verbale di constatazione, l’Agenzia delle Entrate ha emesso un avviso di accertamento, contestando a una spa le omesse ritenute alla fonte (articolo 23, Dpr 600/1973) per 3.690 euro sui compensi in natura, ascrivibili alla categoria del reddito di lavoro dipendente (ex articolo 48, comma 4, lettera c), Tuir – fringe benefit).

 

La contribuente ha impugnato l’avviso eccependo che i locali a uso foresteria erano stati presi in locazione a favore dell’amministratore e legale rappresentante della stessa società per le sue trasferte. In particolare, come si desumeva dal contratto di assunzione presso una delle società del gruppo e dalla lettera di trasferimento alla Spa, parte della controversia, la concessione a titolo gratuito del locale riguardava le trasferte del dipendente, dalla sede di sua residenza (Firenze) a quella di lavoro (Milano).
 

La Commissione tributaria provinciale di Milano respingeva il ricorso della contribuente sulla base delle dichiarazioni rese in sede di verifica, secondo le quali doveva presumersi un uso dell’appartamento esclusivo e permanente in occasione delle trasferte da Firenze a Milano. La società, infatti, non aveva dimostrato che, nei periodi di assenza del dipendente, l’appartamento rimaneva a sua disposizione e che, quindi, era utilizzato dall’amministratore solo in modo saltuario.

 
La sentenza veniva confermata dal giudice d’appello e anche in Cassazione le doglianze della contribuente non hanno avuto sorte migliore. La Corte, infatti, ha affermato che “… La ripresa a tassazione… per omesse ritenute alla fonte su compensi in natura (c.d. fringe benefits)… risulta espressamente fondata sul disposto dell’art. 48, comma 4, lett. c), D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, nel testo vigente ratione temporis (c.d. vecchio Tuir)…” (Cassazione, 24007/2015).
 

Osservazioni

 

I giudici di legittimità sono stati chiamati a verificare che la concessione a titolo gratuito di un immobile al dipendente di una società rientrava nell’accezione di “compensi in natura”, concorrenti a formare il reddito di lavoro dipendente come fringe benefit. Nessuna disposizione del Tuir individua, in modo specifico, tutti i possibili compensi in natura che possono concorrere a formare il reddito di lavoro dipendente.

 

Al riguardo, la Corte ha ritenuto che vi rientra anche il locale preso in locazione dalla società, datrice di lavoro, e concesso a titolo gratuito al dipendente per le sue esigenze di vita quotidiana. E cioè vi rientra anche tale utilità che si caratterizza, rispetto alle altre attribuzioni patrimoniali corrisposte ai dipendenti, per la natura del servizio cui consegue un risparmio per il lavoratore.
 

In particolare, i giudici hanno chiarito che, dalla lettera dell’articolo 48, comma 1, vecchio Tuir, emergeva chiaramente l’esistenza di un principio di riconducibilità alla sfera reddituale delle erogazioni a qualsiasi titolo corrisposte al dipendente (Cassazione, 1905/2007). La disposizione, infatti, faceva esplicito riferimento a “tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro” e specificava, nel successivo comma 4, lettera c), anche i “fabbricati concessi in locazione, in uso o in comodato”.

 

In più, lo stesso comma 4, sanciva che, ai fini della determinazione del compenso in natura, “per i fabbricati concessi in locazione, in uso o in comodato, si assume la differenza tra la rendita catastale del fabbricato aumentata di tutte le spese inerenti il fabbricato stesso, comprese le utenze non a carico dell’utilizzatore e quanto corrisposto per il godimento del fabbricato stesso”. Distingueva, poi, i fabbricati concessi con obbligo di dimorare nell’alloggio (per i quali si assumeva il 30% della differenza) da quelli non iscritti nel catasto (per i quali si assumeva la differenza tra il valore del canone di locazione determinato in regime vincolistico o, in mancanza, quello determinato in regime di libero mercato, e quanto corrisposto per il godimento del fabbricato).
 

Tuttavia, nessuna indicazione sulla determinazione del compenso è stata fornita dalla Corte, poiché quest’ultima non ha costituto oggetto di contestazione.
I giudici di legittimità, invece, sono stati chiamati a pronunciarsi sulla ripartizione dell’onere della prova – frequenza e modalità di utilizzo del bene – tra ufficio e contribuente che, entrambi, sostenevano l’uno a carico dell’altro. Solo un uso non saltuario, infatti, rendeva la concessione del locale un fringe benefit da assoggettare a ritenuta.

 

Di conseguenza, la Corte doveva valutare se il giudice d’appello aveva violato l’articolo 2697 cc, in materia di onere della prova. Doveva stabilire, cioè, se spettava o meno all’Agenzia provare che la concessione in uso al dipendente era di tipo continuativo ed era indipendente dalle ragioni di permanenza nella città di ubicazione dell’immobile. Solo se la verifica aveva esito positivo, tale compenso in natura concorreva a formare reddito di lavoro dipendente.
 

La Cassazione ha chiarito che non spettava all’Amministrazione finanziaria, bensì alla società, l’onere di dimostrare che, in concreto, sia le modalità di utilizzo a titolo gratuito dell’immobile, in connessione al rapporto di lavoro, sia la specifica frequenza del suo uso, comportavano un’eccezione alla previsione normativa generale. A tale riguardo, risultava dagli atti di causa l’attestazione della società che il dipendente era stato assunto in una sede situata in una regione diversa da quella di ubicazione dell’immobile e che rivestendo, nell’esercizio accertato, la carica di amministratore della società, era tenuto a partecipare alle riunioni/assemblee che si tenevano presso la sede legale della stessa società, nel medesimo comune in cui era situato l’immobile.

 

Ma, a parere dei giudici di merito e anche della Corte non bastava asserire che l’immobile era stato utilizzato dal dipendente solo in occasione delle trasferte effettuate per partecipare alle riunioni organizzate a Milano presso la sede legale della società. Né era sufficiente fare riferimento generico alla lettera di assunzione e al successivo trasferimento presso altra società del gruppo.