calendarioL’articolo 2, comma 1, del Dl n. 59/2008, ha introdotto nel contenzioso tributario, con l’articolo 47-bis del Dlgs n. 546/1992, una peculiare disciplina sia sulla sospensione giudiziale dell’efficacia degli atti di recupero di aiuti di Stato dichiarati incompatibili in esecuzione di una decisione adottata dalla Commissione europea ai sensi dell’articolo 14 del regolamento del Consiglio Ce n. 659/1999, sia sui termini temporali entro i quali il giudice deve pronunciarsi. Per quanto in questa sede interessa, nel quarto comma è stato previsto che le controversie relative agli atti di recupero indicati nel primo comma sono definite, nel merito, nel termine di sessanta giorni dalla pronuncia dell’ordinanza di sospensione di cui al cennato primo comma, che la proroga della sospensione è possibile per ulteriori sessanta giorni e, infine, che “Non si applica la disciplina sulla sospensione feriale dei termini”.

 

La questione posta all’attenzione della Corte di cassazione (sentenza n. 10880/2015) attiene alla portata dell’esclusione della sospensione feriale dei termini (oggi decorrenti dal 1° al 31 agosto) nel senso di doverla riferire solamente all’efficacia della sospensione di efficacia dell’atto di recupero impugnato oppure anche ai termini per impugnare la conseguente decisione del giudice di primo grado. La sentenza del Supremo collegio ritiene limitata l’esclusione della sospensione feriale dei termini alla sola efficacia della misura cautelare chiesta dal contribuente impugnante l’atto di recupero, traendo conferma dal proprio precedente espresso nella sentenza, citata da questa in commento, 29 dicembre 2010, n. 26285.

 

In tale pronuncia, la Corte di legittimità aveva rilevato come l’articolo 47-bis del Dlgs n. 546/1992 (introdotto con effetto dal 9 aprile 2008, dall’articolo 2, comma 1, del Dl n. 59/2008) devesi interpretare vuoi in considerazione della sedes materiae in cui è stato inserito, vuoi della finalità di accelerare le controversie in materie di aiuti di Stato, vuoi della disciplina transitoria contenuta nei commi 2 e 3 dell’articolo 2 del Dl n. 59 citato. La Corte regolatrice del diritto ne aveva tratto, in tale occasione, la conseguenza che i termini dimidiati per la costituzione nel giudizio di appello (nel caso di specie, proposto dall’Amministrazione finanziaria) sono solamente quelli previsti per la sospensione cautelare dell’atto di recupero impugnato e non anche quelli previsti per la proposizione dell’appello.

 

Nella stessa sentenza n. 10880/2015, la Cassazione si occupa dell’articolo 5-sexies del Dl n. 282/2002. Tale disposizione aveva previsto alcune agevolazioni fiscali a favore delle imprese che avessero operato investimenti nei comuni colpiti da calamità naturali nel 2002, ma la Commissione Ce, con la decisione n. 315/2004, pur aveva ritenuto tale disciplina di favore – di per sé – incompatibile col divieto di aiuti di Stato, al contempo aveva ritenuto non potersi escludere, in casi specifici d’applicazione della misura, che gli aiuti concessi in base a tale regime potessero soddisfare le condizioni per essere considerati compatibili con il mercato comune.

 

Pertanto, era stato previsto un controllo caso per caso dell’Amministrazione finanziaria italiana su ogni impresa beneficiaria per verificare l’esistenza di un nesso chiaro e diretto tra le calamità naturali e l’aiuto di Stato, al fine di escludere con certezza ogni sovracompensazione dei danni subiti dalle singole imprese.

 

In tale situazione normativa, l’articolo 24 della legge n. 29/2006, comma 2, aveva previsto che i soggetti beneficiari di tali aiuti presentassero in via telematica all’Agenzia delle entrate un’attestazione contenente gli elementi necessari per l’individuazione dell’aiuto illegittimamente fruito sulla base delle disposizioni contenute nel provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate. Il quinto comma del mentovato articolo 24, a sua volta, stabiliva che, nel caso di omessa presentazione dell’attestazione di cui al comma 2 (la quale doveva essere inviata, ai sensi del terzo comma, anche in caso di autoliquidazione negativa), l’Agenzia delle entrate provvedesse al recupero sia dell’importo dell’agevolazione dichiarata sia dei relativi interessi.

 

La questione oggetto dell’intervento della Cassazione concerne la sussistenza della facoltà per l’impresa beneficiaria degli aiuti di valutare la necessità o meno di presentare l’attestazione al fine di poter adire il giudice tributario, in ipotesi di notifica dell’atto di recupero, per la verifica della legittimità o meno della fruizione del beneficio fiscale sospettato di essere un aiuto di Stato da recuperare in quanto incompatibile con la disciplina comunitaria.

 

Il giudice di seconda istanza ha accolto la domanda di annullamento dell’avviso di recupero, ritenendo che l’agevolazione non costituisse aiuto di Stato in quanto non eccedente il massimale di 100mila euro su un periodo di tre anni che, ai sensi del Regolamento Ce 69/2001 rientra nel regimede minimis, ma i giudici di legittimità hanno opposto che l’obbligo di presentazione dell’attestazione prescinde dalla circostanza che, in concreto, il beneficiario dell’aiuto abbia il diritto di trattenerlo o debba invece, in tutto o in parte, restituirlo.

 

In buona sostanza, la pronuncia del Supremo collegio afferma che la violazione dell’obbligo di attestazione preclude la verifica giudiziale dell’applicabilità del limite de minimis, costituendo la presentazione dell’attestazione espressione di “un dovere formale, propedeutico e strumentale alle attività di controllo che l’Amministrazione deve svolgere ai sensi dell’art. 24, comma 4”, come già statuito nella sentenza 16 maggio 2012, n. 7662. Nello stesso senso si veda la decisione di legittimità 30 dicembre 2014, n. 27495, secondo cui il mancato rispetto del predetto obbligo ricade nell’ambito di applicazione dell’articolo 11, comma 1, lettera a), del Dlgs n. 471/1997, che punisce con la sanzione amministrativa l’inosservanza dell’obbligo di comunicazione che sia prescritto dalla legge tributaria, per l’esercizio dei poteri di verifica e accertamento, in materia di imposte dirette (come nella specie) e Iva.