PERSONALE_PA--258x258L’introduzione nel nostro ordinamento della Legge 7 agosto 2015, n. 124 Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche (GU Serie Generale n.187 del 13-8-2015) apre allo sviluppo della cittadinanza digitale nei rapporti con la Pubblica Amministrazione.

 

Sicuramente l’iter che seguirà dovrà tenere conto di aspetti non secondari per la massima riuscita degli obiettivi che ci si pone. Intanto è necessario focalizzare alcune questioni che non possono essere dimenticate:

 

Primo: la cittadinanza digitale, quale prodotto dello sviluppo della rete e della fruibilità di molti servizi pubblici e privati, è una possibilità, un’opportunità, una nuova forma e dimensione della cittadinanza.

 

Secondo: tale estensione del concetto di cittadinanza rende sicuramente più denso di significato il concetto stesso da un lato ma, dall’altro pone indubbiamente problemi rilevanti in quanto a reale attuazione, esigibilità piena dei diritti e rapporto tra vecchi e nuovi diritti.

 

Terzo: l’evoluzione della tecnologia comporta una analoga evoluzione di “competenze” digitali che diventano, da questo punto di vista, elementi caratterizzanti la cittadinanza digitale.

 

Su questi tre aspetti si gioca molto del futuro, non solo dei servizi, ma soprattutto dell’esercizio pratico della cittadinanza. Proprio per questi motivi allora diventa necessario un approccio diverso, innovativo e ancora in larga parte poco esplorato, sia da parte degli addetti ai lavori che da parte delle organizzazioni civiche.

 

Un approccio che deve fare perno sull’ultimo comma dell’art. 118 della Costituzione che recita: “Stato, Regioni, Province, Città Metropolitane e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio della sussidiarità” .

 

Perché fare perno su questo assunto? Perché la P.A. dovrebbe ripensare se stessa alla luce di quanto la Costituzione indica nell’u.c. dell’art.118 della Costituzione? Perché si deve andare oltre la così detta “amministrazione partecipata”? Intanto bisogna evidenziare come la rete, proprio per la sua natura, è tale in quanto ognuno può contribuire a sviluppare processi partecipativi, inclusivi e innovativi. Basti pensare alle migliaia di iniziativa civiche che nascono su problemi singoli e possono diventare oggetto di interventi di politiche pubbliche.

 

E l’attore, il motore, il soggetto agente spesso non è la P.A. ma il cittadino che, utilizzando la rete nei suoi diversi strumenti (social network, chat, mailing list etc etc), produce quello che definiamo “informazione civica”: cioè “la produzione, da parte dei cittadini e sulla base del loro punto di vista, di informazioni a partire dai dati raccolti direttamente o indirettamente e orientata alla trasformazione della realtà nella direzione di un aumento della effettiva tutela dei diritti dei cittadini e di una realizzazione delle condizioni a ciò connesse”. (Manuale di cittadinanza attiva, G. Moro, 1998, pag 143).

 

La così detta “amministrazione partecipata” è invece un processo messo in atto dalla P.A. alla quale le organizzazioni civiche sono chiamate a partecipare ma non ne sono i principali attori. E’ evidente che è meglio avere a che fare con amministrazioni pubbliche che aprono ai cittadini attraverso questo tipo di coinvolgimento attivo, piuttosto che avere pubbliche amministrazioni che procedono come se il mondo intorno a loro finisca nel chiuso delle proprie stanze. Ma la situazione del nostro paese è oggettivamente molto variegata da questo punto di vista.

 

E il processo di riforma della P.A., pur apprezzabile per diversi aspetti, sconta tale situazione guardando l’articolato della legge dove la parte relativa al personale pubblico è di gran lunga più esteso, dettagliato e preciso rispetto alla parte in cui si “tratta” dei cittadini.

 

Qui non si tratta però di avere o si sperare di avere una classe di amministratori pubblici “illuminata” aperta al contributo dei cittadini singoli o organizzati. Si tratta della madre di tutte le battaglie: un cambiamento culturale profondo che deve necessariamente coinvolgere tutte le persone, prima che le categorie professionali, nel quale ogni soggetto può diventare attore, motore, soggetto agente in prima persona di un cambiamento facilitato dagli strumenti e dalle innovazioni tecnologiche consapevoli anche di diversi target: le persone “nativi digitali”, il “mondo di mezzo” rappresentato dai tanti che lavorano con le nuove tecnologie e che devono per necessità diventare competenti su questi strumenti e “i sapiens” quelli cioè a rischio di digital divide che nel nostro paese sono probabilmente una fetta considerevole di popolazione.

 

Ecco questo è un assaggio di quelle che sono le sfide che pone a tutti, non solo alla P.A., la cittadinanza digitale. E’ però la sfida del futuro e del presente che deve passare necessariamente attraverso la formazione, l’inclusione e l’intelligenza di tutti dove lo sforzo, l’apporto e la carica di ogni contributo può fare la differenza.

 

In fondo, se pensiamo alla cittadinanza come concetto, non basta più “essere nati in” per sentirsi parte. Per sentirsi parte di una comunità, piccola o grande, si deve vivere in quel contesto. La sfida primaria quindi diventa, in una parola, l’accesso per tutti.

 

Questa è una grande opportunità che il nostro paese, con le sue variegate forme di competenze, deve saper cogliere negli aspetti problematici e complessi per poter diventare un’opportunità per ogni persona, per ogni amministratore, per ogni soggetto che intende chiamarsi oggi cittadino.