processo-telematicoA quasi quindici anni dalla prima formulazione teorica, rimangono parecchi nodi da risolvere. Tecnici, normativi. Fino a competenze e risorse umane che scarseggiano. Facciamo il punto della grande riforma incompiuta.

 

La storia infinita del Processo Civile Telematico. Previsto da un decreto del Presidente della Repubblica che risale addirittura al 2001, ha preso davvero piede sul territorio nazionale soltanto negli ultimi anni, peraltro in maniera non uniforme e non priva di complicazioni. È un accavallarsi continuo di polemiche, a un occhio esterno di volta in volta più o meno giustificate o più o meno pretestuose.

 

L’ultima, pochi giorni fa, da parte dell’Associazione Nazionale Magistrati: secondo Anm, l’ultima riforma estiva, che ha esteso la possibilità di depositare telematicamente tutti gli atti del processo, compresi quelli introduttivi, avrebbe “ridotto i giudici a cancellieri”, sovraccaricandoli di lavoro extra. Altri parlano di uno scontro generazionale, fra una parte di avvocati anziani, che non riescono a fare a meno della carta. e le nuove leve.

 

Insomma, il PCT sarebbe, secondo alcuni, un mezzo fallimento, o al meglio, un’inutile complicazione. Come spesso accade, la realtà appare molto più sfumata e meno manichea. “Ci sono parecchi vantaggi – spiega ad Agendadigitale.eu l’avvocato Carlo Piana, che da parecchi anni si occupa di informatica e diritto – come poter depositare gli atti e conoscere l’andamento del processo senza doversi recare in tribunale; inviare le notifiche con PEC anziché a mano, e ricevere le ordinanze maniera integrale, non parziale come accadeva  prima. Rimagono però ancora problemi di non poco conto”.

 

Si tratta di questioni in parte squisitamente tecniche, legate al tipo di tecnologie adottate, in parte più collegate invece al fattore umano; in particolare, alla diversa interpretazione  delle norme applicative che viene fornita in luoghi diversi. “In tribunali diversi, spesso ci sono diversi modi di interpretare le regole – spiega Piana – Alcune volte è obbligatorio fornire la copia di cortesia, altre volte no. In alcuni casi la consegna degli atti deve essere fatta attraverso portali diversi da quello del processo civile. È difficile per noi avvocati sapersi come regolare”. A ciò si aggiungono malfunzionamenti legati ai sistemi informatici, che se di scarsa rilevanza in altri campi, in ambito giudiziario rischiano di produrre effetti particolarmente gravi. Per esempio, per quanto riguarda il deposito via PEC degli atti.

 

“È capitato spesso che il gestore Pec non fosse disponibile e in grado di erogare il servizio, col risultato che il deposito degli atti era bloccato per giorni – racconta l’avvocato”.  Poi c’è il problema dei controlli sulla correttezza formale degli atti, effettuati sia manualmente che con un sistema automatico.  Il controllo automatico dovrebbe scattare solo nel caso di errori gravi, “Nella realtà, non è così. Sono stati rifiutati depositi perché il soggetto che aveva depositato gli atti non era lo stesso che aveva depositato la notifica. Ma dove sta scritto che sia obbligatorio che coincidano?”.

 

E l’elenco delle lamentale e dei reclami potrebbe continuare: dai rifiuti per motivi non documentati, ad esempio, l’eccessiva lunghezza del nome del file, all’assenza, ai tempi ballerini di elaborazione degli atti, che vengono resi disponibili online a volte, quando sono scaduti i termini per un’eventuale replica, alla scarsità, per non dire la quasi totale assenza della documentazione tecnica per l’utilizzo dei Web Server, il canale privilegiato di accesso ai siti dei tribunali.

 

Anche dall’altra parte della barricata, fra cancellerie e magistrati, i problemi legat alla riforma del processo civile non mancano. Più che di scontro generazionale, qui si potrebbe parlare forse di mancanza di avvicendamento. ” Tanto è stato fatto, ma restano ancora tanti problemi. I mali derivano dalla situazione più generale del paese dell’informatica e dal fatto che si è voluto fare tanto, con poco, dal punto di vista finanziario – spiega ad Agenda Digitale il referente distrettuale per l’informatica del Tribunale di Milano, Enrico Consolandi – Ma il problema principale è che nel Ministero della Giustizia non si assume da 10 anni, e il personale è vecchio”.

 

Mancano, o sono troppo pochi, i tecnici, le figure che potrebbero dare il maggiore contributo per aiutare avvocati e giudici a cogliere tutte le opportunità del PCT. Se a Milano, racconta il magistrato, fino a due anni fa, c’erano tre tecnici in sala sever, ora ce n’e solo uno. In altre parti del territorio nazionale, invece, di personale informatico ce n’è in sovrannumero. Esiste quindi una questione di ripartizione disomogenea e diseguale delle risorse.

 

C’è poi un problema più generale, legato all’adattamento didascalico di una procedura pensata per la carta al digitale, con tutte le contraddizioni e i paradossi che questo può a volte comportare. “Ancora adesso – racconta Consolandi – i diritti di segreteria si pagano con marca da bollo. C’è un altro sistema, che però è molto complicato e macchinoso. Perché non si può usare, ad esempio, carta di credito e PayPal?”.

 

O ancora: “In alcuni casi, la procedura prevede che il provvedimento del giudice sia in calce all’atto. Ma nella versione telematica, chiaramente, non si può scrivere in calce, altrimenti si perde la firma”. Resta insomma la sensazione che l’innesto puro e semplice  del processo telematico su quello ordinario, abbia generato una sorta di chimera, riproducendo inutilmente certi formalismi tipici della gestione cartacea, quando si sarebbe dovuto forse ripensare tutta la procedura.

 

D’altra parte, per quanto imperfetta, la riforma ha semplificato molti adempimenti, e aperto spazi di trasparenza al cittadino, che oggi può ad esempio, collegarsi al Portale Servizi Telematici del Ministero della Giustizia, e vedere come procede la propria causa. “Restano molti nodi aperti – dice Piana – ma non parlerei di occasione persa. Tanto è stato fatto, anche se lo si sarebbe potuto fare molto meglio, prendendo ad esempio spunto, per quanto riguarda l’invio delle comunicazioni, dalle procedure previste dall’Unione Europea, molto più semplici e lineari delle nostre”.