ricorsoIn materia di società di comodo o non operative, vale a dire quelle società che non esercitano un’effettiva attività commerciale e che non rispondono a esigenze di tipo imprenditoriale, spetta al contribuente fornire la prova contraria, dimostrando l’esistenza di oggettive situazioni di carattere straordinario, specifiche e indipendenti dalla sua volontà, che hanno impedito il raggiungimento della soglia di operatività e del reddito minimo presunto.

 

Questo il principio di diritto affermato dalla Cassazione nella sentenza n. 21358 del 21 ottobre 2015.

 

La vicenda nasce dall’impugnazione, da parte di una società, di un avviso di accertamento Ires, anno d’imposta 2006, emesso dall’Amministrazione finanziaria, ai sensi dell’articolo 41-bis del Dpr 600/1973, sul presupposto della natura “non operativa” della società accertata, ai sensi dell’articolo 30 della legge 724/1994, nella versione vigente ratione temporis.

 

La Commissione tributaria provinciale rigettava il ricorso con sentenza, che veniva confermata in sede di appello. In particolare, i giudici di secondo grado rilevavano che dall’affitto dell’unica azienda da parte della società ricorrente era possibile desumere la natura non operativa della stessa e, dunque, la legittimità dell’avviso di accertamento impugnato.

 

Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione la società, lamentando la violazione dell’articolo 30 della legge 724/1994, nonché l’insufficiente e l’illogicità della motivazione.
 

La Corte suprema respinge la doglianza, in quanto – attesa la ratio della normativa sulle società non operative, finalizzata a disincentivare il fenomeno dell’uso improprio dello strumento societario, utilizzato come involucro per raggiungere scopi, anche di risparmio fiscale, diversi da quelli previsti dal legislatore per tale istituto – la semplice affermazione per cui l’affitto dell’unica azienda la escludeva dall’ambito della normativa in esame (rendendola quindi operativa) non è di per sé sufficiente.

 

Infatti, spetta al contribuente fornire la prova contraria – circostanza non avvenuta nel caso di specie – dimostrando l’esistenza di oggettive situazioni di carattere straordinario, specifiche e indipendenti dalla sua volontà, che hanno impedito il raggiungimento della soglia di operatività e del reddito minimo presunto (Cassazione, sentenze 8125/2015 e 7534/2015).

 

Considerazioni

 

L’articolo 30 della legge 724/1994 – più volte modificato negli anni, con l’obiettivo di contrastare maggiormente i fenomeni elusivi ed evasivi – contiene la disciplina delle società non operative, intendendosi per tali quei soggetti, aventi la forma societaria (di capitali e/o di persone) che, salvo prova contraria, conseguono un ammontare di ricavi inferiore alla somma degli importi risultanti dall’applicazione dei coefficienti stabiliti dalla medesima disposizione.

 

Trattasi, in sostanza, di una norma antielusiva – basata sul presupposto che alcuni beni patrimoniali siano in grado, in modo oggettivo, di generare un livello minimo di reddito – atta a disincentivare il ricorso all’utilizzo dello strumento societario come schermo per nascondere l’effettivo proprietario di beni, avvalendosi delle più favorevoli norme dettate per le società.

 

In pratica, la richiamata disciplina intende penalizzare quelle società che, al di là dell’oggetto sociale dichiarato, sono state costituite per gestire il patrimonio nell’interesse dei soci anziché per esercitare un’effettiva attività commerciale.

 

Tali soggetti, quindi, al ricorrere dei presupposti previsti dalla norma, sono considerati “di comodo” e, di conseguenza, sono assoggettati alla disciplina delle società non operative e ai relativi adempimenti, compresi la liquidazione e, qualora siano soggetti Ires, al versamento dell’imposta con aliquota maggiorata del 10,5%, passando dal 27,5% al 38%; ai fini Iva, invece, la non operatività comporta l’impossibilità di chiedere a rimborso, utilizzare in compensazione o di cedere l’eccedenza di credito risultante dalla dichiarazione (cfr, circolare n. 7/E del 2013, paragrafo 6).

 

Dal punto di vista soggettivo, la norma citata definisce non operative le società e gli enti che, in presenza anche dei presupposti di carattere oggettivo, rivestono la forma giuridica di società per azioni, società in accomandita per azioni, società a responsabilità limitata, società in nome collettivo, società in accomandita semplice e società a esse equiparate, società ed enti di ogni tipo non residenti, con stabile organizzazione nel territorio dello Stato.

 

Con riferimento al presupposto oggettivo, invece, sono qualificate non operative le società che hanno conseguito un ammontare complessivo di ricavi, incrementi di rimanenze e proventi, esclusi quelli straordinari, risultanti dal conto economico, ove prescritto, inferiore a un ricavo presunto calcolato applicando determinati coefficienti percentuali al valore dello stato patrimoniale (test di operatività).

 

È fatta salva la possibilità, per il contribuente – presentando istanza di disapplicazione ai sensi dell’articolo 37-bis, comma 8, del Dpr 600/1973 (interpello disapplicativo), almeno 90 giorni prima della scadenza del termine ordinario per presentare la dichiarazione dei redditi (cfr, circolare n. 32/E del 2010) – di fornire prova contraria e di dimostrare all’Amministrazione finanziaria le situazioni oggettive che hanno impedito il raggiungimento della soglia di operatività ovvero le cause che hanno determinato il verificarsi di perdite fiscali sistematiche.

 

Da ultimo, si fa presente che, con riferimento al caso di specie, l’Amministrazione finanziaria ha già avuto modo di precisare che l’affitto di azienda non configura di per sé una causa di esclusione della società concedente dalla disciplina delle società non operative, anche nell’ipotesi in cui l’azienda sia l’unica posseduta (cfr, circolare n. 25/E del 2007 e n. 55/E del 2002).