verbali gdfL’Amministrazione finanziaria, nell’attività di contrasto e accertamento dell’evasione fiscale, può avvalersi, senza effettuare ulteriori riscontri, dei dati contenuti nel verbale della Guardia di finanza che non siano stati contestati dal contribuente.

 

Sono perciò utilizzabili nell’accertamento tutte le dichiarazione del contribuente o del suo legale rappresentante, le quali costituiscono prova – non già indiziaria, ma diretta – del maggior imponibile eventualmente accertato. Sono questi i principi che si desumono dalla sentenza n. 20979 del 16 ottobre 2015, con cui la Cassazione, ribadendo i propri precedenti giurisprudenziali (cfr sentenza 5628/1990 e 1286/2004), ha attribuito valore di confessione stragiudiziale all’accettazione da parte del contribuente, in contraddittorio con i verbalizzanti, di una data percentuale di ricarico.

 

La vicenda processuale

 

L’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per cassazione, avverso una sentenza della Ctr della Campania che, in accoglimento dell’appello del contribuente, aveva annullato un avviso di accertamento volto al recupero di maggiori imposte dirette, con correlata imposizione sul valore aggiunto (le rettifiche delle singole componenti reddituali erano state operate, con applicazione di una diversa percentuale di ricarico). Secondo i giudici di appello, infatti, erano inutilizzabili, sic et sempliciter, le considerazioni sviluppate dalla Guardia di finanza nel processo verbale di constatazione, poiché l’applicazione della diversa percentuale di ricarico, posta a fondamento delle pretese erariali, era stata desunta dai verbalizzanti da un documento extra contabile (un tabulato riportante la situazione delle merci destinate alla rivendita e giacenti in azienda dedotta dai dati contabilizzati) non allegato al processo verbale, né agli atti di causa.

 

La pronuncia della Cassazione

 

La Cassazione, nell’accogliere il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, ha dato continuità ai principi di diritto enunciati nelle pronunce 20009/2009, 28316/2005, 9320/2003 e 7964/1999. Nella sentenza in commento, la Corte ha ribadito il principio logico-giuridico che l’accettazione da parte del contribuente, in contraddittorio con i verbalizzanti, di una data percentuale di ricarico può essere apprezzata come confessione stragiudiziale risultante dal processo verbale sottoscritto che, quindi, è sufficiente a legittimare l’accertamento dell’ufficio.

 

In particolare, nel caso di specie, dalle parti salienti del processo verbale di constatazione trascritte nel ricorso, risultava con sufficiente chiarezza che il volume d’affari della società contribuente fosse stato determinato considerando la percentuale di ricarico concordata in contraddittorio con l’amministratore unico della società. Il concordamento, dunque, emergeva dal processo verbale della Guardia di finanza, sottoscritto senza riserve dell’amministratore unico della società e costituente atto fidefacente sino a querela di falso, riguardo alla effettività delle operazioni dei verbalizzanti e di quanto accaduto e/o dichiarato alla loro presenza.

 

L’argomentazione utilizzata dalla Cassazione per legittimare l’accertamento è stata, dunque, quella secondo cui ogni dichiarazione del legale rappresentante può costituire prova non già indiziaria, bensì diretta, del maggior imponibile accertato nei confronti della società e dunque non bisognevole, in quanto tale, di ulteriori riscontri.

 

In ordine a quest’ultimo aspetto va precisato che, secondo la consolidata giurisprudenza citata, sono utilizzabili le dichiarazioni del legale rappresentante rilasciate in sede di verifica, non essendo violato in tali casi il divieto di prova testimoniale contenuto nell’articolo 7 del Dlgs 546/1992, a causa dell’immedesimazione organica che lega il rappresentante legale alla società rappresentata: tale elemento, infatti, esclude che il primo possa essere qualificato testimone in riferimento ad attività poste in essere dalla seconda.

 

Pertanto, dichiarata la legittimità dell’utilizzazione di tali dichiarazioni, la giurisprudenza di legittimità ha specificato nelle pronunce indicate, come le stesse siano qualificabili come confessione stragiudiziale, quindi come prova diretta che non necessita di altri riscontri sul fatto su cui verte, a differenza di quanto avviene invece per gli elementi indiziari. In altri termini, le dichiarazioni sfavorevoli del legale rappresentante della società farebbero piena prova contro la società stessa, per il combinato disposto degli articoli 2733 e 2735 del codice civile.