In assenza di abitualità, i compensi, erogati da una Pa ai dipendenti pubblici che rendono consulenze tecniche d’ufficio, non costituiscono oggetto di fatturazione elettronica È questa, in estrema sintesi, la conclusione cui è giunta l’Agenzia delle Entrate con la risoluzione 88/E del 19 ottobre 2015.
Il caso
Un medico geriatra alle dipendenze di una Azienda sanitaria locale svolge l’attività di consulente tecnico d’ufficio (Ctu) nel corso di una causa giudiziaria.
L’ente pubblico sul quale grava l’onere di erogare il relativo compenso (nella specie, l’Inps) pone il dubbio se lo stesso debba essere assoggettato a Iva e, nell’eventualità, stanti gli obblighi sorti nel nostro ordinamento a seguito del Dm 55/2013, se vada documentato a mezzo di fattura elettronica. A ciò aggiunge la richiesta di chiarimenti sul tipo di reddito (da lavoro dipendente o autonomo) generato da tale compenso.
Le risposte dell’Agenzia
Il caso in esame è l’occasione per richiamare quelli che l’Agenzia delle Entrate, anche in ragione di precedenti chiarimenti forniti (ad esempio, allo stesso Inps, in merito ai medici che eseguono le visite domiciliari di controllo dei lavoratori assenti per malattia, di cui al messaggio n. 7842 del 20 ottobre 2014, consultabile sul sito istituzionale dell’ente di previdenza), considera principi ormai acquisiti quando si parla di fatturazione elettronica.
In particolare:
- il fatto che la relativa disciplina – secondo le modifiche recate al Dpr 633/1972 dalla legge 228/2012 – non ha creato una categoria sostanziale nuova o diversa dalla fattura “ordinaria”. Dunque, seppure nel limite della compatibilità con gli elementi che caratterizzano lo strumento elettronico, continuano a trovare applicazione tutti i chiarimenti già in precedenza emanati in riferimento generale alla fatturazione, nonché le deroghe previste da specifiche disposizioni normative di settore
- quanto detto al punto precedente vale anche nei rapporti con la Pa, dove la fatturazione elettronica è l’unica modalità ammessa (cfr Dm 55/2013 e Dl 66/2014). L’Amministrazione finanziaria osserva, infatti, che le norme emanate, pur avendo previsto una modalità obbligatoria di fatturazione, non hanno introdotto nuove ipotesi di operazioni soggette a obbligo di fatturazione ex articolo 21, Dpr 633/1972, né abrogato le disposizioni previgenti che già consentivano forme alternative di documentazione delle operazioni imponibili (quali il Dm 31 ottobre 1974 in riferimento ai medici oggetto del richiamato messaggio Inps).
Pertanto, per stabilire se è necessario o meno ricorrere alla fatturazione elettronica quando si ha a che fare con una Pa, bisognerà verificare se l’operazione è rilevante ai fini Iva e, in caso affermativo, considerare la natura del committente/cessionario: se si tratta di una pubblica amministrazione (vedi circolare n. 1/Df del 2015), si dovrà procedere alla fatturazione elettronica, a meno che la legge non preveda espressamente forme alternative di documentazione.
Tanto premesso, l’Agenzia delle Entrate, in primo luogo, rammenta quanto chiarito in passato con la risoluzione 42/2007, ossia che per i medici, dipendenti in rapporto esclusivo, autorizzati a espletare consulenze medico-legali a titolo personale al di fuori dell’attività intramuraria, occorre distinguere l’ipotesi in cui le prestazioni sono rese all’autorità giudiziaria nell’ambito di un procedimento penale da quella in cui sono espletate nel quadro di un giudizio civile o effettuate per finalità assicurative, amministrative e simili.
Nella prima ipotesi (giudizio penale), l’attività di consulenza prestata costituisce esercizio di pubblica funzione e, in base all’articolo 50, comma 1, lettera f), del Tuir, non è di per sé idonea a configurare il presupposto soggettivo ai fini Iva, potendo essere ricondotta all’esercizio di attività professionali o all’esercizio d’impresa solo se posta in essere da un soggetto che svolge altre attività di lavoro autonomo o d’impresa. Eventualità nella quale l’attività di consulenza tecnica d’ufficio, assumendo rilievo ai fini Iva, sarebbe da assoggettare a imposta e da documentare con fattura elettronica.
Non solo. I redditi derivanti, normalmente da assimilarsi a quelli di lavoro dipendente, perderebbero tale qualificazione e sarebbero attratti nella categoria reddituale propria del soggetto esercente la pubblica funzione, dovendosi dunque qualificare di lavoro autonomo o di impresa.
Quanto alla seconda ipotesi (giudizio civile), l’Agenzia delle Entrate osserva che, se la consulenza è svolta con carattere di abitualità, il relativo reddito dovrà essere assoggettato al regime del reddito di lavoro autonomo (articolo 53 del Tuir).
Ne consegue l’applicabilità della disciplina prevista per i redditi di natura professionale (articolo 54 del Tuir), che obbliga non solo il possesso della partita Iva, ma anche alla fatturazione elettronica quando chi eroga i compensi è una Pa.
Mancando l’abitualità, da valutarsi in concreto caso per caso (ad esempio, l’iscrizione volontaria in apposito albo professionale può costituirne indizio – cfr Cassazione 2297/1987), e dunque qualora l’attività di consulenza sia prestata in maniera occasionale, i relativi onorari saranno qualificati come redditi diversi (articolo 67, comma 1, lettera l), del Tuir).
In quest’ultima ipotesi, considerato l’esercizio non abituale, le operazioni saranno escluse dal campo di applicazione dell’Iva per carenza del presupposto soggettivo previsto dall’articolo 5 del Dpr 633/1972. Pertanto, il medico dipendente, in rapporto esclusivo, dell’Azienda sanitaria, allorché effettui solo in via occasionale prestazioni medico-legali – ma lo stesso deve dirsi per qualunque altro dipendente che esegua consulenze tecniche d’ufficio – non è obbligato ad aprire la partita Iva né a emettere fattura elettronica.