studioCon l’autunno inizia la conta dei disastri e dei costi delle emergenze. 7,9 miliardi di euro spesi per emergenze idrogeologiche negli ultimi 16 mesi. “Invertiamo le voci di spesa, investiamo in prevenzione”.

 

Col maltempo è di nuovo emergenza in Sardegna e le aree a rischio sono quelle già colpite dall’alluvione di due anni fa. Precipitazioni intense anche in Sicilia, mentre la Protezione civile ha emesso uno stato di allerta per i prossimi giorni su Liguria e Piemonte.

 

Con l’autunno e la pioggia, insomma, arrivano puntuali gli stati di emergenza per rischio idrogeologico, che vanno a sommarsi a quelli già dichiarati e non ancora chiusi. Da maggio 2013, secondo i dati di Italia Sicura, sono infatti 40 gli stati di emergenza aperti, di cui 14 ancora in corso. E i danni legati alle emergenze idrogeologiche degli ultimi 16 mesi ammontano a 7,9 miliardi di euro.

 

“Numeri che stanno aumentando rapidamente viste le numerose emergenze che si stanno succedendo e le allerte previste per i prossimi giorni – dichiara Giorgio Zampetti, responsabile del settore scientifico di Legambiente -. Nei mesi scorsi il governo è riuscito a rendere disponibili 600 milioni di euro, su un primo piano operativo di 1,3 miliardi di euro, per avviare i cantieri in alcune delle aree metropolitane a maggior rischio. Sono un’importante e positiva novità, ma rischiano di essere insufficienti rispetto all’ingente mole di danni e alla diffusa presenza di territori a rischio in Italia ”.

 

Sono 6 milioni gli italiani che vivono o lavorano in aree ad alto rischio idrogeologico. Una condizione che interessa il 10% della superficie del territorio nazionale e l’82% dei comuni italiani.

 

“Bisogna invertire le voci di spesa – prosegue Zampetti – destinando maggiori fondi alla prevenzione per diminuire i costi delle emergenze. Questo si può fare solo mettendo al primo posto la qualità nella progettazione e con un nuovo approccio. Gli interventi strutturali di difesa passiva devono lasciare il posto a misure di rinaturalizzazione o riqualificazione, delocalizzazione delle strutture presenti in aree di pertinenza fluviale o a rischio frana, favorire l’esondazione naturale dei fiumi, incrementare la permeabilità dei suoli, laddove è stata compromessa, mantenere quanto più possibili le condizioni di naturalità degli ecosistemi o azioni di rimboschimento di versanti per la gestione delle frane. In questo modo gli interventi garantiscono anche una migliore risposta agli eventi climatici estremi, mettendo in campo quella politica di adattamento che nel nostro Paese stenta ancora a partire”.