Dopo un periodo di lunga gestione, ha ricevuto la definitiva approvazione da parte del Consiglio dei ministri lo schema di decreto delegato in materia di riordino della disciplina dell’interpello, cui, nel contesto delle linee guida di riforma del sistema fiscale, il legislatore della legge 11 marzo 2014, n. 23 (Delega per la realizzazione di un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita) aveva dedicato, all’articolo 6, comma 6, uno spazio importante.
Vero è che quello dell’interpello è un istituto relativamente “nuovo”, nato già – come evidenzia anche la relazione illustrativa al testo del decreto – nel contesto di un’amministrazione moderna quale quella riorganizzatasi, appunto, dopo la “storica” rivoluzione rappresentata dalla approvazione della legge generale sul procedimento amministrativo (legge 241/1990) che ha segnato il primo importante passo verso l’abbandono di un’amministrazione arcaica e l’approdo verso un’amministrazione illuminata.
Nella valorizzazione dei principali punti di riordino dell’interpello, che rappresenteranno una significa novità, vanno preliminarmente sottolineati due aspetti essenziali, tutti agevolmente desumibili dai testi normativi e dai documenti che, nell’accompagnarli, lasciano storicamente traccia delle riflessioni che hanno condotto all’ormai (prossimo) futuro assetto di interessi.
In primo luogo, non va considerata casuale la collocazione dei criteri direttivi di riforma dell’istituto da parte della legge delega nell’articolo 6, nell’ambito, cioè, delle misure volte a rafforzare la cooperazione tra amministrazione e contribuenti nel quadro della costruzione di un rapporto fondato sul dialogo e sulla reciproca collaborazione. È evidente, quindi, che la valorizzazione dell’intrinsecaratio partecipativa dell’istituto si coglie già solo dalla collocazione, nel testo della delega, dei principi informatori del suo riordino.
Non meno significativo, come sopra accennato, appare poi il collegamento, valorizzato dalla relazione illustrativa, della genesi e del riordino dell’istituto col percorso di trasformazione del ruolo e delle funzioni della pubblica amministrazione, che, abbandonato il modello tradizionale e autoritativo di un ’amministrazione “controllore”, si è rivolta, nel tempo, al prototipo, più moderno e illuminato, di un’amministrazione collaborativa, propensa al dialogo con i cittadini e incline a supportarli nell’adempimento dei loro obblighi, non ultimi quelli tributari, fin dalla fase embrionale della costituzione del rapporto fiscale.
Sempre in questa direzione, come si dirà a breve, non va neanche dimenticato che l’istituto ha assunto una portata generale e un ruolo essenziale solo per effetto dello “Statuto dei diritti del contribuente”, ossia per effetto di quella legge che, per la prima volta, ha sistematizzato, in maniera inequivocabile, diritti e garanzie del cittadino/contribuente di fronte all’amministrazione finanziaria.
Nel percorso ricostruttivo della nuova disciplina, c’è una prima domanda che giova porsi e cioè perché, a distanza di pochi anni dalla comparsa dell’interpello nel sistema tributario, il legislatore ha ritenuto opportuno demandare al Governo un’opera di modernizzazione di un istituto non solo storicamente giovane, ma anche perfettamente in linea con i principi ispiratori di una amministrazione moderna.
La domanda sorge naturale tenuto conto che, al di là delle prime episodiche manifestazioni dell’interpello (in seno alla legge 413/1991 e all’articolo 37-bis, comma 8, del Dpr 600/1973), come si diceva sopra, è stato lo Statuto dei diritti del contribuente a compiere una importante opera di valorizzazione dello strumento, quale occasione di contatto “anticipato” con l’amministrazione, finalizzato a conoscerne il parere in ordine alla interpretazione di norme di legge in relazione ai casi concreti e personali.
La risposta va ricercata nel fatto che, proprio a partire dal riconoscimento della centralità dell’istituto e delle sue potenzialità, si è venuto sviluppando un fenomeno parallelo e per certi versi patologico nei suoi esiti conclusivi, quello della proliferazione delle tipologie di interpello.
Se da un lato non può sottacersi che la finalità del legislatore, negli anni, è stata quella di adattare e meglio declinare il modello “generale” dello Statuto alle peculiarità delle singole fattispecie, non tutte agevolmente sussumibili nel prototipo dell’interpello “puro”e non tutte riconducibili alla semplice richiesta di un parere sulla interpretazione delle norme in relazione a un caso concreto, non può nemmeno nascondersi che tutto questo ha portato – nel tempo – alla creazione di modelli di riferimento plurimi. Questi modelli, in particolare, si sono andati progressivamente ad allontanare dal prototipo dell’interpello statutario sia nella definizione dei presupposti applicativi sia, soprattutto, nella individuazione degli effetti, creando in tal modo un sistema complesso e talora confuso, che ha reso necessario un riordino della disciplina, anche tenendo presente il rischio di possibili strumentalizzazioni dell’istituto.
Proprio tenendo a mente ciò, l’articolo 6 della legge delega ha individuato alcune linee guida essenziali di riforma:
- l’esigenza di garantire omogeneità, non tanto nel senso di limitare le forme di interpello invocabili dai contribuenti – tutte realmente rispondenti a diverse esigenze meritevoli di tutela – quanto nel senso di individuare regole procedurali e soprattutto processuali, oltre che effetti, uniformi
- la maggiore tempestività nella redazione dei pareri che, unita al riconoscimento della certezza dei tempi della risposta oggi estesa a ogni forma di interpello, intende valorizzare ancora di più la natura dell’istituto come strumento di dialogo, veloce e tempestivo, con i contribuenti.
Una notazione a sé merita l’ulteriore criterio guida consistente nella “tendenziale eliminazione delle forme di interpello obbligatorio” che – involgendo una delicata valutazione delle fattispecie di riferimento – sarà oggetto di successiva autonoma trattazione.
Chiarito questo in termini generali, la struttura del decreto si compone dei seguenti articoli:
- l’articolo 1 contiene importanti modifiche all’articolo 11 dello Statuto dei diritti del contribuente, tutte finalizzate a dare compiuta attuazione ai principi sopra illustrati
- gli articoli da 2 a 5 sono dedicati, rispettivamente, alla legittimazione alla presentazione delle istanze, alla definizione del contenuto delle stesse, alle regole dell’istruttoria e alla definizione delle ipotesi di inammissibilità
- l’articolo 6 è specificamente dedicato al coordinamento con le successive fasi amministrativa e contenziosa
- l’articolo 7 contiene una serie di modifiche alle norme vigenti, resesi necessarie per effetto delle novità introdotte dal decreto
- l’articolo 8 prevede, infine, un rinvio a specifici provvedimenti attuativi per la definizione delle eventuali ulteriori regole procedurali riguardanti la presentazione delle istanze e la lavorazione delle medesime da parte delle amministrazioni interessate.
Coerentemente alla struttura del decreto e tenendo conto delle criticità che sono emerse nel corso dell’elaborazione dello stesso in seno alla Commissione Gallo appositamente costituita e dell’analisi dello stesso nelle successive sedi parlamentari e governative, il presente contributo è diviso essenzialmente in tre capitoli, il primo dedicato agli interpelli facoltativi, il secondo a quelli obbligatori e il terzo alle principali criticità dell’istituto, soprattutto quelle di coordinamento con la tutela giurisdizionale.