Affinché si possa sostenere la continuazione del reato di omesso versamento dell’Iva, non è sufficiente che il contribuente evochi la reiterazione della condotta criminosa a causa della profonda crisi economica in cui versa il settore commerciale: il disegno criminoso e i suoi eventi debbono essere previsti ab origine dal reo.
A sostenerlo, nella sentenza 35912 del 3 settembre 2015, la Corte di cassazione, chiamata a giudicare in merito al rigetto dell’istanza presentata da un’imprenditrice, che vantava il riconoscimento del requisito della continuità del reato di omesso versamento del tributo, con conseguente riduzione della pena, adducendo nel ricorso presentato al tribunale di non aver potuto adempiere all’obbligo del versamento dell’Iva, per più annualità, perché costretta delle gravissime difficoltà economiche in cui versava la propria azienda.
Inoltre, per espressa ammissione dell’imprenditrice, la decisione di non adempiere all’obbligo fiscale era stata presa in distinte e separate tranche, constatando di anno in anno l’aggravarsi delle condizioni economiche della società optando, pertanto, di volta in volta, di evadere l’imposta dovuta ai fini delle indirette.
Nel ricorso di legittimità, dunque, venne ribadito dalla contribuente, al fine del riconoscimento della continuazione dei reati perpetrati, che le diverse omissioni erano dipese da un unico momento volitivo derivato dalla gravissima situazione economica in cui la sua società si era trovata e che, pertanto, era fuor di dubbio l’unicità del disegno criminoso pensato fin dall’inizio, non individuato dal giudice di merito in sede di giudizio, il quale non aveva riconosciuto, neppure in astratto, la continuazione che vi era tra le diverse violazioni tributarie in dipendenza della grave difficoltà economica in cui versava l’impresa.
Secondo la ricorrente, considerando il carattere doloso del reato di mancato versamento dell’Iva, il giudice non riconobbe l’unicità del reato che, invece, si era chiaramente manifestato a partire dalla prima evasione del primo anno di imposta, continuato poi nei successivi due periodi, perpetuandosi lo stato di crisi economica aziendale. Doveva essere ravvisata, pertanto, fin dall’inizio il disegno criminoso del contribuente di evadere l’imposta per più esercizi.
Di parere opposto sono invece i giudici di piazza Cavour che, cassando il ricorso presentato dall’imprenditrice, hanno espressamente chiarito che al fine del riconoscimento dell’istituto della continuazione del reato è necessaria “un’unica complessa deliberazione preventiva, definita nei suoi dati essenziali, alla quale segua, per ogni singola azione, una deliberazione specifica, mentre deve escludersi che un programma solo generico di attività delinquenziale da sviluppare nel tempo secondo contingenti opportunità o un mero sistema di vita siano idonei a far riconoscere il rapporto descritto nell’art. 81 cod. pen.“.
Ciò sta a significare che nel reo deve essere riconosciuta un’attitudine soggettiva a violare la legge (cfr Cassazione 10917/2012).
Pertanto, continua la Corte di cassazione, il trattamento più favorevole deve essere riconosciuto verso colui che delinque commettendo più illeciti derivati da un unico impulso criminale e diversamente deve essere punito chi pone in essere vari comportamenti antigiuridici spinto da ogni singolo impulso, poiché attiene alla “inesplorabile interiorità psichica” del soggetto, da indici esteriori significativi, alla luce dell’esperienza, del dato progettuale sottostante alle condotte poste in essere (Cassazione 16066/2008).
Se è vero, come è vero, che la contribuente ha violato per più esercizi l’obbligo di versamento dell’Iva, il che potrebbe far pensare a una continuazione del reato, essendo questo elemento riconosciuto dalla stessa Corte di cassazione come “indice esteriore” che caratterizza il reato continuato (Cassazione 44862/2008), è altrettanto vero che l’omogeneità delle violazioni e la contiguità temporale di alcune di esse, seppure indicative di una scelta delinquenziale, non consentono da sole di ritenere che i reati sono frutto di determinazioni volitive risalenti a un’unica deliberazione di fondo (Cassazione, sentenze 21496/2006 e 3111/2013).
In sostanza, al fine del riconoscimento della continuità del reato, la Cassazione impone che venga verificata l’unitarietà progettuale degli illeciti penali, la cui valutazione viene rimessa all’apprezzamento del giudice di merito, ma che è sindacabile in sede di giudizio di legittimità, nel caso non sia sorretta da adeguata motivazione (Cassazione, sentenze 25094/2007 e 49969/2012).
In conclusione, come affermato dalla stesso collegio di legittimità, non è sufficiente addurre le gravi e difficili condizioni economiche in cui versa l’impresa, nei periodi di imposta evasi, al fine di riconoscere la continuità del reato, essendo carente la dimostrazione dell’unicità del programma criminoso.
La speranza di una futura ripresa economica è essa stessa causa del frazionamento del disegno criminoso compiuto dal reo, spingendolo a effettuare scelte sistematiche, di anno in anno, volte alla consumazione del reato di evasione dell’imposta, mancando, dunque, l’elemento essenziale della previsione unitaria, ab initio, del reato che non può essere considerato continuato ma reiterato.