Una volta accertato il profitto o il prezzo del reato, la confisca per equivalente può colpire (sempre nel rispetto del limite costituito dall’importo individuato come prezzo o profitto) non soltanto i beni già individuati nella disponibilità dell’imputato, ma anche quelli che vi entrano o vi sono ritrovati dopo l’emanazione del provvedimento. È quanto affermato dalla Corte di cassazione, con la sentenza n. 33765 del 30 luglio 2015.
La vicenda processuale
Il Gip del tribunale di Venezia applicava nei confronti di un soggetto imputato del reato di corruzione la pena concordata tra le parti in relazione ai reati a lui ascritti, disponendo contestualmente la confisca del denaro, dei beni e ogni altra utilità di cui l’imputato risulti titolare anche per interposta persona fino alla concorrenza dell’importo costituente il prezzo del reato. L’imputato ricorreva in Cassazione lamentando il vizio di violazione di legge nonché il difetto di motivazione del provvedimento impugnato. In particolare, eccepiva la violazione dell’articolo 322-tercp, nonché la mancanza, contraddittorietà ovvero manifesta illogicità della motivazione in ordine alla quantificazione del valore dei beni confiscati. Per la difesa privata, non si comprenderebbe attraverso quale ragionamento il giudice sia pervenuto alla quantificazione dell’importo del profitto né su quali beni la misura sia da eseguire, al di là dell’importo sul conto corrente sequestrato. La prospettiva secondo la quale la confisca sarebbe destinata a beni dei quali il ricorrente acquisirà la disponibilità disattenderebbe il parametro della pertinenzialità al reato del profitto.
La pronuncia della Cassazione
I supremi giudici investiti della questione hanno statuito che “in tema di confisca per equivalente non è necessaria la specifica individuazione dei beni oggetto di ablazione. Accertato il profitto o il prezzo del reato per il quale essa è consentita, la confisca potrà avere ad oggetto non solo beni già individuati della disponibilità dell’imputato, ma anche quelli che in detta disponibilità si rinvengono o comunque entrino successivamente al provvedimento di confisca, fino alla concorrenza dell’importo determinato“.
Osservazioni
La Cassazione, in via preliminare, ha delineato le caratteristiche essenziali dell’istituto della confisca per equivalente di cui all’articolo 322-ter cp. In particolare, è stato ribadito che “qualora il prezzo o il profitto derivante dal reato sia costituito da denaro, la confisca delle somme di cui il soggetto abbia comunque la disponibilità deve essere qualificata come confisca diretta: in tal caso, tenuto conto della particolare natura del bene, non occorre la prova del nesso di derivazione diretta tra la somma materialmente oggetto della confisca e il reato“.
Le stesse sezioni unite, con la sentenza 31617/2015, hanno infatti chiarito che, ove il prezzo o il profitto del reato sia rappresentato da una somma di danaro, questa non soltanto si confonde automaticamente con le altre disponibilità economiche dell’autore del fatto, ma perde – per il fatto stesso di essere ormai divenuta una appartenenza del reo – qualsiasi connotato di autonomia quanto alla identificabilità fisica. Pertanto, secondo il massimo consesso di legittimità, non avrebbe alcuna ragion d’essere, né sul piano economico né su quello giuridico, la necessità di accertare se la massa monetaria percepita quale profitto o prezzo dell’illecito sia stata spesa, occultata o investita: ciò che rileva è che le disponibilità monetarie del percipiente siano accresciute di quella somma, legittimando, dunque, la confisca in forma diretta del relativo importo, ovunque o presso chiunque custodito nell’interesse del reo.
Costituisce jus receptum, invero, che la confisca obbligatoria prevista dall’articolo 322-ter cp, anche per equivalente, ossia anche nei confronti di beni dei quali il reo ha la disponibilità per un valore corrispondente al prezzo o al profitto del reato, non necessita di alcuna dimostrazione sul nesso di pertinenzialità tra delitto e cose da confiscare, essendo sufficiente la perpetrazione del reato.
Le sezioni unite hanno altresì osservato che la natura strutturalmente sanzionatoria della confisca di valore deriva dal fatto che è l’imputato che viene a essere direttamente colpito nelle sue disponibilità economiche (e non la cosa in quanto derivante dal reato) e ciò proprio perché autore dell’illecito, restando il collegamento tra la confisca, da un lato, e il prezzo o profitto del reato, dall’altro, misurato solo da un meccanismo di equivalenza economica e detta natura esclude qualsiasi nesso di pertinenzialità col reato, rappresentandone soltanto la conseguenza sanzionatoria: né più né meno, dunque, della pena applicata con la sentenza di condanna.
Ne deriva che “in tema di confisca per equivalente non è necessaria la specifica individuazione dei beni oggetto di ablazione. Accertato il profitto o il prezzo del reato per il quale essa è consentita, la confisca potrà avere ad oggetto non solo beni già individuati della disponibilità dell’imputato, ma anche quelli che in detta disponibilità si rinvengono o comunque entrino successivamente al provvedimento di confisca, fino alla concorrenza dell’importo determinato“.
Ogni questione che dovesse sorgere, all’atto dell’apprensione dei beni (ivi compresi frutti derivanti da essi) sulla disponibilità di essi in capo all’imputato o sul rispetto del limite costituito dall’importo individuato come prezzo o profitto, sarà demandata alla cognizione del giudice dell’esecuzione.
Rebus sic stantibus, la Corte di cassazione ha rigettato il ricorso dell’imputato, ritenendolo infondato.