Nella sentenza 6509/2015, la Corte di cassazione torna a occuparsi degli obblighi che sorgono in capo al cedente nell’ambito delle cessioni intracomunitarie effettuate nei confronti di esportatori abituali all’atto del ricevimento della dichiarazione d’intenti, cui è correlata la non imponibilità dell’operazione ai fini Iva.
In particolare, la Corte è stata chiamata a pronunciarsi sulle condizioni che determinano l’insorgere in capo al cedente dell’obbligo di assolvere l’Iva su operazioni ritenute non imponibili a fronte della dichiarazione di responsabilità resa dal cessionario in ordine alla destinazione dei beni fuori dal territorio della Comunità europea e al possesso dei requisiti soggettivi e oggettivi previsti dall’articolo 8, comma 1, lettera c), del Dpr n. 633/1972. Il tutto nell’ipotesi in cui risulti che i beni non siano stati effettivamente esportati e che la dichiarazione è ideologicamente falsa e possa essere ipotizzata la partecipazione del cedente a una frode Iva.
Ebbene, nella sentenza in rassegna, il Collegio, nell’esprimere il proprio convincimento, è partito dal testo della norma (articolo 8) e ha evidenziato come dallo stesso si evinca in modo chiaro che il contenuto precettivo non è rivolto al solo cessionario ma anche al cedente, che in regime ordinario dovrebbe agire come sostituto d’imposta per l’Erario e che, nel caso di “cessione all’esportazione” è esonerato dall’applicazione delle disposizioni in tema di esigibilità dell’imposta (Dpr n. 633/1972, articolo 6) e di versamento (Dpr n. 633/1972, articolo 17 e seguenti).
A fronte di tale quadro normativo, la Corte suprema, nella sentenza in commento, ha ritenuto di dare continuità al più recente indirizzo interpretativo assunto dalla giurisprudenza di legittimità sull’onere di “verifica” riconosciuto in capo al cedente che riceve la dichiarazione d’intento del cessionario, necessaria per la non imponibilità ai fini Iva delle cessioni intracomunitarie.
Con tale ultimo indirizzo è stata superata la precedente interpretazione in tema di cessione all’esportazione, in ragione della quale il soggetto cedente, una volta riscontratane la conformità alle disposizioni di legge, non è tenuto a eseguire alcun altro controllo, rimanendo totalmente a carico di chi emette tale dichiarazione la responsabilità, anche penale, derivante da un’eventuale falsità. Per l’effetto, secondo il richiamato precedente indirizzo, quando la dichiarazione stessa esista e non sia ideologicamente falsa o, comunque, il cedente non sia consapevole di tale falsità (cioè non abbia la consapevolezza che l’operazione non è destinata all’esportazione, ma ha una destinazione nazionale), per quest’ultimo l’operazione deve ritenersi non imponibile, a prescindere dalla prova dell’effettiva avvenuta esportazione della merce (cfr Cassazione 10 dicembre 2010, n. 24964; 24 giugno 2011, n. 13951; 24 febbraio 2012, n. 2845; 5 giugno 2013, n. 14186; 11 settembre 2013, n. 20782; 15 ottobre 2013, n. 23331; 21 ottobre 2013, n. 23735; 14 marzo 2014, n. 5679; 25 giugno 2014, n. 14405).
Con il più recente indirizzo assunto dalla giurisprudenza di legittimità – cui il Collegio nel caso di specie ha aderito pienamente – è stato, invece, riconosciuto al cedente, che riceve la dichiarazione di intento, l’onere di provare di aver adottato tutte le misure ragionevoli in suo potere, per assicurarsi che la cessione effettuata non lo conducesse a partecipare alla frode. Ciò per evitare di dover rispondere del successivo obbligo di pagamento dell’imposta a fronte di dichiarazioni di intento risultate false ed esportazioni non effettuate (Cassazione 10 giugno 2011, n. 12751; 21 gennaio 2015, n. 984; 11 maggio 2012, n. 7389; 27 settembre 2013, nn. 22178, 22179, 22181).
Alla luce di quanto sopra, la Corte ha cassato la sentenza resa dai giudici di seconde cure, nella quale tali principi interpretativi erano stati trascurati e, in particolare, non era stata verificata l’effettiva adozione da parte del cedente di tutte le misure ragionevoli in suo potere al fine di assicurarsi che la cessione effettuata non lo conducesse a partecipare a una frode.