societàIl 17 luglio scorso la Camera dei Deputati ha approvato, in seconda lettura e con modifiche, il disegno di legge recante “Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche“, meglio noto come “riforma della pubblica amministrazione”. Il provvedimento torna ora all’esame del Senato dove è altamente probabile che venga approvato senza modifiche (e quindi definitivamente) prima della pausa estiva.

 

Non pare quindi azzardata, a questo punto, una lettura del provvedimento finalizzata a comprendere quali saranno gli impatti della legge sulle amministrazioni e sui cittadini in materia di innovazione.

 

Il primo elemento che balza agli occhi è che la riforma della PA – provvedimento  assai complesso e articolato – si apre proprio con le previsioni in materia di digitalizzazione: l’art.1, infatti, contiene la delega al Governo ad adottare nei dodici mesi successivi all’entrata in vigore uno o più decreti che modifichino il D. Lgs. n. 82/2005 (CAD – Codice dell’Amministrazione Digitale). Si tratta di un elemento non casuale e dal valore evidentemente simbolico: nella riforma della PA è centrale il ruolo delle tecnologie e il punto di partenza deve essere il Codice dell’Amministrazione Digitale.

 

Il CAD – che proprio nel 2015 compie dieci anni –  rappresentò il tentativo di dotare l’Italia di strumenti giuridici all’avanguardia rispetto a quelli vigenti negli altri Paesi: il legislatore decise, infatti, di imporre normativamente l’innovazione alla pubblica amministrazione. Tuttavia, questa norma è stata in larga parte disapplicata dagli uffici pubblici che, quindi, non hanno saputo cogliere le incredibili opportunità in termini di aumento di efficienza e migliore allocazione delle risorse. A ciò si aggiunga la rapidissima evoluzione delle tecnologie che ha fatto si che il Codice divenisse obsoleto senza essere stato davvero applicato.

 

Non v’è dubbio, quindi, che la scelta di mettere mano al quadro normativo in materia di e-government appaia particolarmente azzeccata: senza nuove regole non è pensabile una nuova amministrazione (digitale by default).

 

In proposito, il legislatore sembra aver imparato dagli errori del passato e, nel dettare i principi che dovranno essere osservati nella stesura dei decreti delegati, attua un rovesciamento di prospettiva: per rendere effettiva la digitalizzazione non insiste ulteriormente sugli obblighi nei confronti delle, ma rafforza i diritti di cittadini e imprese a relazionarsi con la PA e a fruire dei servizi di quest’ultima in modalità telematica.

 

Alcuni di questi diritti sono timidamente previsti nella normativa attuale, ma – nel caso in cui vengano negati – gli utenti sono costretti ad affrontare contenziosi lunghi e costosi.

 

Ecco perché nella sua nuova formulazione l’art. 1 DDL è dedicato alla definizione di una “carta della cittadinanza digitale”, attraverso la delega al Governo all’adozione di norme che:

 

a) definiscano un livello minimo dei diritti digitali degli utenti nei confronti di tutti i livelli amministrativi (accesso a internet presso gli uffici pubblici, possibilità di effettuare qualsiasi pratica e comunicazione in modalità telematica, e-democracy);

 

b) consentano di adeguare l’organizzazione delle amministrazioni alle sfide della digitalizzazione (ad esempio, ridefinendo le competenze di un dirigente unico responsabile delle attività di digitalizzazione e agevolando la collaborazione tra le diverse amministrazioni).

 

La “carta della cittadinanza digitale”, oltre ad ampliare i diritti di cittadinanza alla luce dell’evoluzione tecnologica, rappresenta anche lo strumento per garantire – finalmente – la piena attuazione delle disposizioni in materia di dematerializzazione e abbandono delle modalità analogiche di gestione dei procedimenti amministrativi.

 

Una PA in grado di semplificare l’accesso ai propri servizi, riducendo la necessità della presenza fisica degli utenti presso gli sportelli è, infatti, una PA “digital first” che forma i propri atti in modalità digitali e utilizza le tecnologie come strumenti principali per tutte le proprie attività.

 

Nel corso dei prossimi mesi, quindi, sarà adottata la terza versione del CAD (la precedente opera di revisione era stata attuata con il D. Lgs. n. 235/2010) che conterrà anche le disposizioni necessarie per garantire l’effettività del domicilio digitale, la piena operatività di SPID e dei pagamenti elettronici, oltre all’adeguamento alle norme europee (con particolare riferimento al Regolamento (UE) n. 910/2014 del 23 luglio 2014 che si applicherà a decorrere dal 1° luglio 2016)

 

La sfida che attende chi sarà impegnato nella scrittura del CAD 3.0 è duplice: da un lato attuare gli impegnativi principi dettati dal legislatore, dall’altro recepire le indicazioni contenute nella delega volte ad una migliore qualità delle norme in materia di PA digitale. È infatti previsto che il nuovo CAD debba contenere esclusivamente principi di carattere generale (in omaggio a un principio di semplificazione normativa) e che tutti i profili di attuazione debbano essere definiti in regole tecniche da adottare secondo un iter semplificato.

 

Molto spesso, in passato, il patologico ritardo nell’attuazione delle regole tecniche – oltre a frenare il processo di innovazione del settore pubblico – ha rappresentato un alibi per quelle amministrazioni che volevano sottrarsi all’adeguamento normativo in materia di digitalizzazione.

 

Norme più semplici e tempestive, quindi, sono necessarie per agevolare gli enti nella fase più difficile e delicata, quella dell’attuazione. E per evitare che, per l’ennesima volta, le regole sulla PA digitale siano destinate a “rimanere sulla carta”.