La Corte di cassazione, con la sentenza 13494 del 1° luglio 2015, ha statuito che “la discordanza tra le somme riscosse dalla contribuente tramite carta di credito e p.o.s. ed i ricavi risultanti dalle scritture contabili dichiarati dalla società” integra, senz’altro, una presunzione legale di maggiori ricavi.
Evoluzione processuale della vicenda
Con avviso di accertamento, l’Agenzia delle Entrate contestava a una società ricavi non contabilizzati e costi non deducibili, determinando un maggior reddito imponibile ai fini Irpeg, Iva e Irap per l’anno 2002. La società ricorreva alla Commissione provinciale tributaria chiedendo l’annullamento dell’atto. La Ctp accoglieva solo parzialmente il ricorso della contribuente.
L’Agenzia delle Entrate, in via principale, e la contribuente, in via incidentale, proponevano appello alla Commissione tributaria regionale che, in accoglimento dell’appello incidentale della seconda, annullava integralmente l’avviso di accertamento.
La Ctr, in particolare, affermava che l’ufficio “non aveva assolto all’onere di provare i (presunti) maggiori ricavi, fondati sulla discordanza tra ricavi dichiarati e quelli risultanti dalle operazioni attive derivanti dall’utilizzo di carte di credito o bancomat e documentate dagli scontrini emessi dall’apposito apparecchio”.
Avverso detta sentenza l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, eccependo:
- violazione e falsa applicazione degli articoli 39 del Dpr 600/1973, 52 e 54 del Dpr 633/1972, nonché degli articoli 2697 e 2729 cc, deducendo che la Ctr aveva erroneamente escluso la legittimità dell’avviso di rettifica. Censurabile, a giudizio dell’Amministrazione finanziaria, la statuizione della Ctr secondo cui l’ufficio non aveva assolto all’onere probatorio di quantificare il numero di movimentazioni di cassa, affermando altresì essere irrilevante la presunzione in base alla quale a un’operazione tramite carta di credito doveva necessariamente ricollegarsi un incasso non dichiarato
- violazione e falsa applicazione dell’articolo 75 del Tuir, censurando specificamente il capo della sentenza che ha riconosciuto la deducibilità di talune spese, ordinarie e straordinarie, sostenute sull’immobile adibito ad attività alberghiera, condotto in locazione dalla contribuente.
Pronuncia della Cassazione
La Corte di cassazione ha confermato la consolidata giurisprudenza, secondo la quale, ai sensi dell’articolo 39, comma 1, lettera d), del Dpr 600/1973, “l’esistenza di attività non dichiarate può desumersi anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e concordanti (Cass.20060/2014), e che l’inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione può, in particolare, derivare dalla incompletezza, inesattezza e non veridicità delle registrazioni contabili, desumibile anche da altri documenti relativi all’impresa”. Nel caso di specie, “la discordanza tra le somme riscosse dalla contribuente tramite carta di credito e p.o.s. ed i ricavi risultanti dalle scritture contabili dichiarati dalla società” integra senz’altro una presunzione legale di maggiori ricavi, corrispondenti alle rimesse attive della carta di credito e del bancomat, conformemente a quanto già affermato in materia di accrediti su conto correnti bancari (Cassazione, sentenza 17953/2013), salvo l’onere, non assolto, a carico del contribuente, di provare specificamente una diversa destinazione di detti accrediti (Cassazione, sentenza 14045/2014, in tema di conto correnti bancari). Già nella sentenza 17953/2013 il Collegio aveva ritenuto legittimo l’accertamento induttivo operato dall’ufficio all’esito di indagini finanziarie svolte sui conti correnti, concernenti movimentazioni non giustificate dal contribuente.
In riferimento al secondo motivo di ricorso, a giudizio della Cassazione, la Ctr ha genericamente affermato la deducibilità integrale delle spese di manutenzione “su beni di terzi”, affermando che “per questo tipo di beni non esiste il limite di deducibilità in riferimento all’ammontare dei cespiti ammortizzabili”, senza specificare né la natura della spesa, se di manutenzione ordinaria o straordinaria, né il titolo in forza del quale tali beni di terzi venissero utilizzati dalla società.
Per quanto concerne gli immobili di proprietà di terzi, la Corte suprema aveva già affermato, con le sentenze 6936/2011e 2939/2006, che “i costi di manutenzione straordinaria non sono deducibili, in quanto privi di requisito dell’inerenza all’attività d’impresa, ex art. 75 del TUIR, se effettuati su beni detenuti in locazione”, non essendo ravvisabile la correlazione tra la spesa e l’esercizio effettivo dell’attività economica dell’imprenditore: il beneficiario dei miglioramenti apportati all’immobile locato, conseguenti al sostenimento delle spese di manutenzione straordinaria, rimane esclusivamente il locatore.