22 mila euro, giustizia, istruttoria, causeLa sentenza 2616/2015 della Corte di cassazione ha confermato l’estensione della tutela del contribuente destinatario di un atto dell’Amministrazione finanziaria non ricompreso tra quelli impugnabili secondo l’elenco contenuto nell’articolo 19 del Dlgs n. 546/1992, di revisione organica del contenzioso tributario, confermando che nel giudizio avverso l’atto di riscossione è ammesso contestare le ragioni della pretesa fiscale enunciata coi predetti atti.

 

Infatti, la sentenza della Corte regolatrice del diritto che si annota ha ritenuto che la mancata impugnazione da parte del destinatario di un atto non espressamente indicato dall’articolo 19 “non determina, in ogni caso, la non impugnabilità (e quindi la cristallizzazione) di quella pretesa, che va successivamente reiterata in uno degli atti tipici espressamente previsti dall’art.19” (nel caso di specie, la cartella di pagamento). In tal senso, vengono citate le decisioni della suprema Corte a sezioni unite n. 10672/2009, n. 16100/2011 e n. 17010/2012, secondo le quali l’impugnativa a opera del contribuente di un atto non espressamente contemplato dall’articolo 19, ma idoneo a esprimere compiutamente la pretesa impositiva, è da qualificarsi in termini di facoltà e non di onere.

 

Tale soluzione ermeneutica offerta dalla giurisprudenza di legittimità esprime un ottimo equilibrio avendo qualificato avvisi di accertamento o di liquidazione di un tributo tutti quegli atti coi quali l’Amministrazione finanziaria evidenzi una pretesa tributaria compiuta e non condizionata, ancorché accompagnata dalla sollecitazione a pagare spontaneamente al fine di evitare spese ulteriori. In tal senso, si veda la pronuncia delle sezioni unite della Corte di legittimità n. 16293/2007, che da questa premessa ha desunto l’effetto che gli avvisi bonari (a differenza delle comunicazioni di cui all’articolo 36-bis, comma 3, del Dpr n. 600/1973, in tema di imposte dirette, e all’articolo 54-bis, comma 3, del Dpr n. 633/1972, in tema di imposta sul valore aggiunto) devono essere impugnati nel termine di sessanta giorni, a nulla rilevando che tale atto fosse accompagnato dalla sollecitazione a pagare spontaneamente per evitare spese ulteriori.

 

In tal modo risulta superato il contrario orientamento giurisprudenziale di legittimità – espresso nelle pronunce di legittimità nn. 1791, 653, 2302 e 2829 del 2005 – secondo cui l’articolo 19 del Dlgs n. 546/1992 enuncia gli atti impugnabili innanzi alle Commissioni tributarie provinciali in maniera tassativa, con l’effetto dell’inammissibilità del ricorso avverso gli inviti bonari al pagamento coi quali si preannuncia la successiva emanazione dell’atto di riscossione.

 

La questione oggetto della sentenza in rassegna attiene alla richiesta dell’Amministrazione autonoma Monopoli di Stato di pagamento di quanto omesso a titolo di versamento dell’imposta unica di cui al Dpr n. 66/2002, di attuazione del Dlgs n. 504/1998, effettuata con un atto di intimazione ad adempiere il quale – come noto – non rientra tra gli atti indicati nel cennato articolo 19 della legge sul contenzioso tributario, il cui terzo comma, al primo periodo, dispone che gli atti diversi da quelli indicati non sono impugnabili autonomamente.

 

Nel caso di specie, i supremi giudici hanno ritenuto che tali atti d’intimazione di pagamento hanno certamente natura di avvisi di liquidazione del tributo, “essendo inerenti all’imposta sui concorsi pronostici e sulle scommesse che, operando con gli automatismi del totalizzatore, comportano soltanto il riversamento di un’imposta già predefinita nell’ammontare complessivo del costo di ogni scommessa”.

 

Infine, è da rilevare come nella sentenza di legittimità 29 settembre 2003, n. 14482, si affermò che la mancata osservanza della prescrizione di cui all’articolo 19, comma 2, del Dlgs n. 546/1992, secondo cui gli atti impugnabili devono contenere l’indicazione del termine entro il quale il ricorso deve essere proposto e della Commissione tributaria competente, non determina alcun vizio dell’accertamento e, conseguentemente, alcuna invalidità dell’atto che, quindi, diviene definitivo se non tempestivamente impugnato.

 

Tale orientamento – unitamente a quello dell’irrilevanza, ai fini dell’esclusione della decadenza dall’impugnazione del contribuente, anche dell’espressa indicazione contenuta nell’avviso bonario dell’inidoneità dell’atto a essere impugnato innanzi al giudice competente – è stato contraddetto dalle sezioni unite del 2007 (anche per non violare il diritto di difesa costituzionalmente sancito dall’articolo 24 della Carta fondamentale del 1947) per tutelare il destinatario dell’atto che abbia confidato nella correttezza del concessionario della riscossione o dell’ente impositore, affermando che “si potrebbe infatti prospettare un vizio dell’atto, oppure la possibilità che esso non sia idoneo a determinare la decorrenza del termine di cui all’art. 21 (ad esempio, in quanto non notificato), o la eventualità di una rimessione in termini del contribuente per errore scusabile”.