La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sul ricorso presentato in merito al rifiuto delle autorità finanziarie della Repubblica di Slovenia di accordare a una società di leasing, parte ricorrente, la regolarizzazione dell’importo versato a titolo di imposta sul valore aggiunto e relativo alla conclusione di due contratti di leasing. È la conclusione a cui è giunta la Corte di giustizia nell’ambito di una controversia incentrata sulla interpretazione degli articoli 2, 4 e 24, paragrafi 1, della direttiva Iva.
Il procedimento principale
Nel febbraio 2008, la società ricorrente, stipula due contratti di mutuo a breve termine e a destinazione vincolata, finalizzati all’acquisto di immobili i cui precedenti proprietari erano parti terze rispetto ai contratti di finanziamento originari. Successivamente, nell’aprile 2009 vengono stipulati due gruppi di contratti i quali vengono inquadrati ai fini di un’operazione cd. di “sale and lease back” con la quale una società vendeva i suddetti immobili alla società ricorrente la quale poi li concedeva alla società venditrice in locazione. Tali contratti di leasing prevedevano che prima della scadenza la società venditrice dovesse esercitare l’opzione o per la proroga della durata dei contratti, per la restituzione degli immobili od infine esercitare l’opzione di acquisto previo versamento dell’insieme delle rate residue sulle quali, al momento della stipula dei contratti, era stata versata l’Iva sull’importo fatturato. Nel luglio 2010, i suddetti immobili erano venduti a una società terza dichiarando al contempo la corrispondente Iva dovuta. A seguito del mancato esercizio delle opzioni di cui ai contratti di leasing veniva redatto un rendiconto finale e veniva richiesta la regolarizzazione dell’Iva dichiarata per un importo pari al valore delle opzioni di acquisto. Veniva così dedotto dal prezzo di vendita, l’Iva, le rate relative all’esercizio delle opzioni e le rate mensili. Al contempo veniva presentata domanda, all’Amministrazione finanziaria slovena, ai fini della riduzione dell’Iva versata in occasione della conclusione dei contratti di leasing, che veniva respinta con la motivazione che le note di credito relative non costituivano un fondamento regolare ai fini della riduzione della base imponibile. Anche i conseguenti ricorsi, uno amministrativo alla stessa Amministrazione, l’altro giurisdizionale al giudice di primo grado competente, venivano respinti. Ecco che allora il giudice del rinvio decideva di sospendere il procedimento e decideva di rivolgersi ai giudici della Corte di giustizia europea.
Le questioni pregiudiziali
Il giudice del rinvio con la decisione di sospensione del procedimento sottopone ai giudici europei ben tre questioni pregiudiziali. Con la prima, in ordine di rilevanza, la richiesta riguarda l’interpretazione degli articoli 2, 4 e 24, paragrafi 1 della direttiva Iva ai fini del trattamento di una prestazione di leasing, di cui alla causa principale e costituita da un’operazione di cessione di beni o da una prestazione di servizi. Se alla luce delle disposizioni di cui alla direttiva Iva la restituzione al locatore di un bene immobile, oggetto di leasing, costituisca un caso di annullamento, recesso, risoluzione, non pagamento od una riduzione di prezzo. Se in considerazione del principio di neutralità fiscale non possa un soggetto versare l’Iva una prima volta al momento della conclusione del contratto di leasing e una seconda volta avvenga la cessione del bene ad una società terza in conseguenza dell’inadempimento del conduttore.
Sulle questioni pregiudiziali
I togati europei, argomentano sulla seconda quesitone, come a norma dell’articolo 90, la base imponibile del soggetto passivo non può essere ridotta se il soggetto passivo non percepisce per intero la totalità dei pagamenti come contropartita della prestazione che ha fornito, allorché, il contratto sia ancora in essere, ed il beneficiario delle stesse prestazioni non è più debitore nei riguardi del soggetto passivo del prezzo convenuto. Infine, sulla terza questione, da costante giurisprudenza della Corte, si evince come il principio di neutralità di fiscale debba essere interpretato nel senso che consente da un lato, una prestazione di leasing relativa a beni immobili e, al contempo, la cessione di tali beni immobili ad un soggetto terzo dando luogo a due distinti presupposti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto. Tutto questo, però, nei limiti in cui tali operazioni non possono essere considerate come unica prestazione e per stabilire ciò spetta al giudice del rinvio esprimersi. Con riferimento alle clausole contrattuali ed alle transazioni effettuate in base al rendiconto finale individuano nel trasferimento dei beni immobili il vero oggetto del contratto, ne discende dunque, come l’operazione risultante dall’esecuzione di un siffatto contratto debba essere equiparata ad un operazione di acquisto di un bene di investimento.
La decisione finale
I giudici della seconda sezione della Corte di giustizia europea si sono espressi nel senso che, alla luce delle disposizioni di cui alla direttiva 2006/112/CE del Consiglio, l’operazione risultante dai contratti di leasing, di cui alla fattispecie principale, debba essere equiparata ad un operazione di acquisto di un bene di investimento. Ai sensi dell’articolo 90, paragrafo 1, della richiamata direttiva, un soggetto passivo non può ridurre la propria base imponibile anche se la totalità dei pagamenti sia stato effettuato o il prezzo convenuto nell’opzione sia stato corrisposto. La prestazione di leasing relativa a taluni beni immobili e la successiva cessione degli stessi ad un soggetto terzo danno adito ad una distinta imposizione ai fini Iva.