Continua in Svizzera l’iter della riforma sulla tassazione delle imprese. Ai primi di giugno, infatti, dopo mesi di accese polemiche nell’opinione pubblica, il Consiglio federale ha trasmesso un messaggio sull’argomento al Parlamento elvetico, che dovrà pronunciarsi entro la fine del mese. Accanto alla legge sul segreto bancario, quindi, la riforma della fiscalità d’impresa si prepara a essere uno dei temi caldi dell’agenda legislativa svizzera.
Perché una riforma della tassazione sulle imprese?
A pochi anni dall’attuazione della Riforma II delle imprese, il governo di Berna torna a modificare la tassazione societaria. La precedente riforma, infatti, era stata attuata dal 2008 al 2011 con l’obiettivo di rilanciare l’attività delle piccole e medie imprese e conteneva numerosi sgravi fiscali, tra cui la riduzione della doppia tassazione dei dividendi societari e di altre imposte.
L’obiettivo della “Riforma III delle imprese”, definita dai giornali elvetici “una vera e propria rivoluzione” è, invece, quello di abolire gli statuti fiscali cantonali, che consentono regimi tributari privilegiati per le società holding, di domicilio e miste. Più precisamente, per queste tipologie societarie i redditi derivanti dall’estero godono di una tassazione minore rispetto a quelli prodotti sul territorio elvetico.
Per questo motivo, la Svizzera è sempre stata considerata uno dei mercati più appetibili per le società operanti a livello internazionale. Basti pensare che, secondo dati ufficiali del Dipartimento federale delle finanze di Berna, le entrate fiscali derivanti dagli utili delle imprese che usufruiscono del regime cantonale speciale rappresentano la metà del gettito complessivo prodotto dall’imposta sul suolo svizzero, per un importo pari a circa 4,1 miliardi di franchi.
La fiscalità d’impresa cantonale è nel mirino delle organizzazioni internazionali e comunitarie già da tempo. Nel 2007, infatti, la Commissione europea si è pronunciata contro i benefici fiscali concessi dai Cantoni, considerati una forma di aiuto di stato, che viola i principi del libero scambio e della concorrenza, garantiti dai trattati comunitari.
Le norme svizzere, inoltre, sono considerate anche contrarie al Codice di condotta in materia di tassazione d’impresa, creato nel 1997 in ambito europeo per contrastare la concorrenza fiscale dannosa. Da tempo poi, anche l’ Ocse, con il piano di azione Beps (Base Erosion and Profit Shifting) conduce un’attività di contrasto a forme di pianificazione fiscale aggressiva condotte dalle multinazionali per sfruttare regimi tributari di vantaggio, quale appunto quello cantonale in Svizzera.
Cosa cambierà
L’abolizione degli statuti fiscali cantonali comporterà ovviamente una perdita di competitività per l’economia svizzera e di gettito per l’Erario. Secondo i dati del Governo, infatti, le nuove norme dovrebbero provocare un aumento delle spese per lo Stato elvetico di circa 1,4 miliardi di franchi e minori entrate per circa 3 miliardi di franchi all’anno per i Cantoni.
Per questo motivo, la riforma prevede anche la possibilità per i governi cantonali di diminuire il livello di tassazione sugli utili di tutte le imprese ampliando la deduzione degli interessi e di introdurre maggiori benefici fiscali a vantaggio delle spese di ricerca e sviluppo. Secondo le nuove regole fiscali, inoltre, i Cantoni potranno introdurre una licence box, una forma di agevolazione fiscale già presente in una decina di Stati europei tra cui Francia e, più recentemente, Gran Bretagna (2013). La licence box garantisce una minore tassazione dei redditi delle imprese derivanti dallo sfruttamento di brevetti e altre forme di proprietà intellettuale.
Infine, è previsto un aumento della quota dell’imposta federale diretta di competenza dei Cantoni, che dovrebbe passare dall’17 al 20,5 per cento. Per incrementare le entrate tributarie, la riforma prevede anche un rafforzamento dell’attività di contrasto all’evasione attraverso l’impiego di un maggior numero di ispettori fiscali.