commercialistaSi configura l’illecito di appropriazione indebita quando il commercialista trattiene per sé le somme consegnategli per il versamento delle imposte. Difatti, per la configurazione del reato non rileva l’omesso accertamento delle infrazioni da parte degli uffici fiscali né l’incertezza sull’esatto ammontare del debito tributario gravante sul contribuente ingannato. A chiarirlo, la Corte di cassazione nella sentenza n. 24772 dell’11 giugno 2015.

 

Il fatto

 

Un professionista veniva riconosciuto responsabile, dalla Corte d’appello di Milano, del reato di appropriazione indebita e quindi condannato alla pena di undici mesi di reclusione e 400 euro di multa, per avere distratto le somme ricevute da alcuni suoi clienti per pagare l’Irpef. Allo stesso venivano anche contestate le aggravanti di cui all’articolo 61 del codice penale, comma 1, nn. 7 e 11, posto che il fatto illecito era stato commesso con abuso di relazioni d’ufficio e di prestazione d’opera, cagionando, altresì, ai singoli clienti un danno patrimoniale di rilevante entità, consistente nell’iscrizione ipotecaria, da parte del Fisco, su taluni immobili di proprietà, a causa del mancato pagamento delle imposte per gli anni interessati.

 

La difesa proponeva ricorso deducendo la violazione dell’articolo 606 del codice di procedura penale, lettera e), per manifesta illogicità della sentenza, nel punto in cui i giudici avevano ritenuto ininfluente conoscere l’esatto ammontare del credito vantato dal Fisco nei confronti delle parti lese, senza accertare la reale causa delle dazioni di denaro da parte dei clienti.

 

Decisione e ulteriori osservazioni

 

La Corte ha rigettato il ricorso, con condanna del professionista al pagamento delle spese processuali, oltre a una somma di mille euro alla Cassa delle ammende. Il giudice dell’appello, si legge nella sentenza, ha fatto giusta applicazione delle norme di diritto: per il configurarsi del delitto di appropriazione indebita, sono del tutto ininfluenti le circostanze del mancato accertamento delle infrazioni tributarie da parte dell’Agenzia delle Entrate e dell’incertezza sull’ammontare esatto dei debiti tributari gravanti sulle parti lese a causa del mancato assolvimento dell’obbligo di pagare l’Irpef.

 

Si tratta, infatti, di reato istantaneo, che si consuma con la prima condotta appropriativa e, cioè, nel momento in cui l’agente compie un atto di dominio sulla cosa con la volontà espressa o implicita di tenere questa come propria. Da qui l’irrilevanza, ai fini della consumazione del reato, della mancata notifica della cartella di pagamento ai clienti beffati. Irrilevante anche il momento in cui la persona offesa viene a conoscenza della manifestazione di volontà dell’agente di appropriarsi della cosa, elemento questo che, invece, rileva al diverso fine della decorrenza del termine per la proposizione della querela (cfr Cassazione 17901/2014).

 

Il reato di appropriazione indebita si configura anche nei casi in cui il commercialista rifiuta di restituire i libri contabili al cliente, trattandosi di comportamento che eccede i limiti del titolo del possesso (cfr Cassazione 18027/2014). Il delitto di appropriazione indebita, infatti, si consuma “dal momento in cui il possessore ha compiuto un atto di dominio sulla ‘res’, così manifestando l’intenzione di tenerla come propria” (cfr Cassazione 22127/2013).

 

In questi casi, l’appropriazione indebita è “aggravata”, in virtù della maggiore pericolosità e antisocialità che il colpevole dimostra approfittando della particolare fiducia che il soggetto passivo ripone in lui e della violazione dei particolari doveri qualificati incombenti sull’agente. A nulla valgono i motivi che hanno spinto il professionista a non restituire la documentazione, come l’inadempienza dei pagamenti degli onorari da parte del cliente. Per la giurisprudenza, il mancato pagamento delle spettanze al professionista non può legittimare quest’ultimo alla ritenzione di quanto sia del cliente (cfr Cassazione 18027/2014). Il rifiuto del professionista, di restituire al cliente la documentazione ricevuta in precedenza, costituisce un comportamento che eccede i limiti del possesso originario, integrando la fattispecie penale di cui al citato articolo 646 del codice penale.

 

La Cassazione, inoltre, ha ravvisato anche la responsabilità penale del commercialista che falsifica i modelli F24 dei clienti, per appropriarsi delle somme destinate agli adempimenti tributari. In questo caso, il professionista è punibile sia per il reato di falso sia per quello di appropriazione indebita (cfr Cassazione 50569/2013). Nel caso sottoposto al vaglio dei giudici, invece, si affronta altra questione: quella della certezza del debito tributario. Come già evidenziato, la natura istantanea del reato di appropriazione rende irrilevante la mancata notifica dell’avviso di accertamento per il configurarsi dell’illecito penale.

 

Con l’articolo 646 cp, il legislatore intende stigmatizzare, a tutela del patrimonio, il comportamento di chi si appropria di denaro o cose mobili altrui di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso. Presupposto per l’integrazione della fattispecie penale è dunque il “possesso” da parte del soggetto agente, che può configurarsi anche in capo al consulente fiscale a cui sia dato mandato per il pagamento delle imposte: circostanza, questa, che non esime da responsabilità, in ambito fiscale, l’effettivo debitore d’imposta.

 

Se, da un lato, il professionista deve sempre osservare la diligenza richiesta dalla normativa e dalla disciplina deontologica della professione, pena la responsabilità civile nei confronti del cliente (cfrCassazione, 13254/2011 e 9916/2010), dall’altro, è pur vero che il destinatario degli obblighi in materia fiscale è sempre il contribuente, sicché la circostanza che questi deleghi gli adempimenti a un altro soggetto non vale a esimerlo da responsabilità penale e fiscale (cfr Cassazione, 1870/2012).

 

Non a caso l’esimente, di cui all’articolo 6, comma 3, del Dlgs 472/1997, che esclude la punibilità del contribuente, del sostituto e del responsabile d’imposta “…quando dimostrano che il pagamento del tributo non è stato eseguito per fatto denunciato all’autorità giudiziaria e addebitabile esclusivamente a terzi” opera limitatamente alle sanzioni amministrative.