In caso di tardiva esecuzione del rimborso, sulle somme rimborsate il contribuente ha diritto ad avere un interesse annuo. Al riguardo, la Corte di giustizia ha chiarito che l’articolo 183 della direttiva del Consiglio 28 novembre 2006, 2006/112/Ce, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, nel combinato disposto con il principio di tutela del legittimo affidamento, dev’essere interpretato nel senso che osta a una normativa nazionale che preveda, con effetto retroattivo, la proroga dei termini per il rimborso delle eccedenze dell’imposta sul valore aggiunto nella misura in cui tale normativa privi il soggetto passivo del diritto, di cui disponeva anteriormente all’entrata in vigore della stessa, di pretendere la corresponsione di interessi di mora sul proprio credito di imposta.
Secondo il predetto orientamento dei giudici dell’Unione, l’articolo 183 della direttiva 2006/112/Ce, nel combinato disposto con il principio di neutralità fiscale, dev’essere interpretato nel senso che osta a una normativa nazionale secondo cui i normali termini di rimborso dell’eccedenza dell’imposta sul valore aggiunto, alla scadenza dei quali sono dovuti interessi di mora sulla somma da rimborsare, sono prorogati in caso di avvio di un procedimento di verifica fiscale, ove tale proroga produca l’effetto che gli interessi medesimi siano dovuti unicamente a decorrere dalla data di conclusione di detto procedimento, laddove tale eccedenza abbia già costituito oggetto di riporto nei tre periodi di imposizione successivi a quello in cui l’eccedenza è sorta. Per contro, il fatto che tali termini normali siano fissati a 45 giorni non risulta in contrasto con la detta disposizione (cfrCorte di giustizia, 12 maggio 2011, causa C-107/10, Enel Maritsa Iztok).
Secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione, soltanto una domanda di rimborso dell’eccedenza d’imposta detraibile sostanzialmente conforme al modello legale è idonea a determinare il decorso degli interessi sulla somma di cui sia stato riconosciuto il diritto al rimborso (Cassazione, 10098 e 21053 del 2005; 16493/2008; 16226/2010).
In particolare, in caso di presentazione di una dichiarazione annuale priva di sottoscrizione con richiesta di rimborso del credito d’imposta, la data di decorrenza degli interessi sulle somme successivamente rimborsate va riferita al momento in cui è avvenuta la sottoscrizione della dichiarazione a seguito dello specifico invito dell’ufficio competente, e non a quello di originaria presentazione della dichiarazione non sottoscritta (Cassazione, 2463/2004).
Nell’ordinamento nazionale, l’articolo 38-bis del Dpr 633/1972 prevede che nel calcolo degli interessi dovuti sulle somme da rimborsare non deve computarsi il periodo intercorrente tra la data di notifica della richiesta di documenti da parte dell’amministrazione e la data di consegna di detti documenti da parte del contribuente. Conseguentemente, tale disposizione deve ritenersi applicabile a tutte le ipotesi in cui alla data della sua entrata in vigore, l’amministrazione non abbia ancora provveduto al suddetto rimborso (Cassazione, 16092/2011).
Il computo degli interessi dovuti viene sospeso relativamente al periodo intercorrente tra la data di notifica della richiesta di documenti e la data della loro consegna, quando detto periodo superi quindici giorni.
Nel caso in cui l’Amministrazione finanziaria abbia effettuato diverse richieste di documentazione (successive nel tempo), la durata del periodo di sospensione del computo degli interessi va valutata non già calcolando l’intervallo temporale intercorso fra la prima richiesta di documentazione e l’ultima produzione, bensì singolarmente per ciascuna richiesta di documentazione (Cassazione, 25630/2010).
La Corte ha, altresì, chiarito che, nel caso di richiesta di documenti, l’articolo 38-bis del Dpr 633/1972 legittima la richiesta degli interessi moratori, a decorrere dal novantesimo giorno successivo alla presentazione della dichiarazione, senza alcuna interruzione se i documenti richiesti sono presentati entro quindici giorni dalla richiesta (Cassazione, 7952/2004).
Gli interessi moratori sulle eccedenze di versamento dell’IVA – costituenti obbligazione accessoria e autonoma rispetto a quella per il pagamento della sorta capitale – decorrono dal giorno di scadenza del termine del pagamento dei rimborsi e sono soggetti alla prescrizione di cui all’articolo 2946 cc, che si compie nel termine ordinario di dieci anni dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere (Cassazione, 10033, 25712 e 28060 del 2009; 66/2005; 13674/2009).
Con riguardo all’applicazione della disciplina degli interessi anatocistici di cui all’articolo 1283 cc, secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione, il contribuente può conseguire, ove ricorrano i presupposti di cui all’articolo 1283 cc, la condanna dell’Amministrazione finanziaria al pagamento degli interessi anatocistici per il ritardato rimborso di un credito Iva, senza che l’applicabilità dell’istituto dell’anatocismo trovi ostacolo nel disposto dell’articolo 38-bis del Dpr 633/1972 (Cassazione, 21069, 21439 e 27618 del 2005).
L’articolo 1283 cc è norma dettata in relazione a tutte le obbligazioni pecuniarie e quindi, in mancanza di espresse deroghe o specifiche incompatibilità, si applica anche alle obbligazioni tributarie, né alcuna incompatibilità è ravvisabile con la specifica normativa tributaria sia con riferimento al processo tributario che al procedimento di rimborso Iva di cui all’articolo 38-bis del Dpr 633/1972 (Cassazione, 7408/2001; 9273/1999).
È stato, quindi, superato l’orientamento della giurisprudenza secondo cui gli interessi sui crediti verso lo Stato, derivanti da rimborsi di tributi, sono assoggettati, in considerazione della specialità della materia fiscale, a una disciplina diversa da quella adottata in campo civilistico, con la conseguenza che tale specifica normativa assorbe e sostituisce la seconda, sicché agli interessi nella misura dalla stessa fissata non sono cumulabili gli interessi legali determinati dalla ordinaria normativa codicistica (Cassazione, 9497/1998).
La stessa Corte costituzionale ha dichiarato che la giurisprudenza ordinaria e tributaria è orientata a ritenere che la disciplina civilistica degli interessi anatocistici di cui all’articolo 1283 cc è applicabile anche nei confronti dell’Amministrazione finanziaria agli effetti dei rimborsi Iva. Conseguentemente, è manifestamente infondata la questione di legittimità dell’articolo 38-bis del Dpr 633/1972, atteso che viene già riconosciuta la spettanza di ulteriori interessi su quelli già maturati in tema di rimborsi dell’imposta sul valore aggiunto (Corte costituzionale, 266/1996).
La Corte di cassazione ha, altresì, chiarito che, in materia di rimborsi Iva, a differenza di quanto previsto in linea generale dalla disciplina civilistica in tema di pagamento delle obbligazioni pecuniarie, non può ritenersi legittimo imputare le somme derivanti da un ritardato rimborso parziale di un credito Iva annuale in primis agli interessi e, per la parte eccedente, al capitale, dato che le leggi tributarie non contengono specifiche disposizioni in merito ai criteri d’imputazione delle somme dovute dall’Amministrazione finanziaria debitrice (Cassazione, 4767/2004).
Rimborso a soggetti non residenti
Sotto il profilo della legittimazione soggettiva, la Corte di giustizia ha affermato che, per i rimborsi ai soggetti non residenti, il soggetto legittimato a richiedere all’Amministrazione finanziaria di uno Stato membro il rimborso dell’imposta indebitamente versata deve essere individuato unicamente nel cedente del bene o nel prestatore del servizio residente in tale Stato e non nel cessionario e/o committente residente in altro Stato membro che ha versato al primo tale imposta a titolo di rivalsa, a eccezione dei casi di acclarata insolvenza del soggetto prestatore (Corte di giustizia Ce, 15 marzo 2007, C-35/05; Cassazione, 1606 e 1607 del 2007).
In particolare, per i soggetti passivi stabiliti in uno Stato membro in cui effettuano soltanto in parte operazioni soggette a imposta, spetta un diritto al rimborso parziale dell’Iva versata, in uno Stato membro in cui non sono stabiliti, in relazione a beni o servizi impiegati ai fini di loro operazioni, nello Stato membro di stabilimento. Ciò significa che l’importo dell’Iva rimborsabile è calcolato, in primo luogo, accertando le operazioni che nello Stato membro di stabilimento attribuirebbero un diritto a deduzione e, in secondo luogo, tenendo conto unicamente delle operazioni che attribuirebbero altresì un diritto a deduzione nello Stato membro del rimborso ove fossero effettuate in quest’ultimo, nonché delle spese che attribuiscono un diritto a deduzione in quest’ultimo Stato (Corte di giustizia, 13 luglio 2000, C-136/99).
Sulla base dei suddetti principi europei, la giurisprudenza della Corte di cassazione ha chiarito che, nei casi in cui una filiale avente sede in Italia effettui servizi nei confronti della propria casa madre residente in un altro Stato membro assoggettandoli erroneamente a imposta (in quanto aventi natura “intrasoggettiva” e, quindi, non soggetti al tributo), il soggetto legittimato a chiedere all’Autorità finanziaria nazionale il rimborso del tributo indebitamente versato è soltanto il soggetto prestatore dei servizi (la filiale italiana) e non la casa madre comunitaria che ha versato al primo tale imposta a titolo di rivalsa, potendo quest’ultima esercitare esclusivamente l’azione civilistica di ripetizione dell’indebito nei confronti del soggetto prestatore (Cassazione, 6310/2008).
Sotto il profilo oggettivo, la Corte di cassazione ha chiarito che l’imposta versata da un soggetto comunitario per l’acquisto in Italia di macchinari, poi ceduti in locazione finanziaria a un operatore residente, può essere chiesta a rimborso ai sensi dell’articolo 38-ter del Dpr 633/1972 (nel testo vigente ratione temporis), qualora risulti che le operazioni di installazione e montaggio dei macchinari svolte dal soggetto comunitario siano riconducibili nell’ambito del sottostante contratto di locazione finanziaria, come prestazioni accessorie del locatore (Cassazione, 9166/2011).
Nei casi in cui il soggetto non residente disponga di una stabile organizzazione in Italia, secondo i principi elaborati dalla Corte di giustizia, i soggetti passivi (Ue ed extra-Ue) non residenti in un dato Stato membro (nella specie, Italia), ma che quivi hanno istituito una stabile organizzazione, hanno il diritto di portare in detrazione, per il tramite di quest’ultima, l’imposta assolta sui propri acquisti di beni e/o servizi posti in essere in tale Stato, facendo confluire la relativa imposta a debito nelle liquidazioni periodiche effettuate in Italia dalla stessa stabile organizzazione (Corte di giustizia Ue, 16 luglio 2009, C-244/08).
Sulla base dei predetti principi, la Corte di cassazione ha chiarito che, nel caso in cui sussistano sia il requisito oggettivo dell’esercizio abituale di un’attività commerciale che quello territoriale della stabilità in Italia di un’organizzazione di un soggetto non residente, gli obblighi e i diritti relativi alle operazioni effettuate da o nei confronti della stabile organizzazione devono essere adempiuti ed esercitati in proprio da tale ultimo soggetto, e non già dal soggetto non residente direttamente o tramite un suo rappresentante fiscale (Cassazione, n. 3889/2008).
È stato, altresì, precisato che la richiesta e la successiva attribuzione della partita Iva da parte di un soggetto non residente rileva soltanto quale presunzione relativa di esistenza di una stabile organizzazione (Cassazione, 21380/2012; 7703/2005).
In merito alla concreta individuazione del termine entro il quale i soggetti non residenti sono tenuti a presentare la domanda di rimborso dell’Iva, secondo l’orientamento prevalente della giurisprudenza della Corte di cassazione, la previsione di termini di decadenza dell’azione per il riconoscimento dei propri diritti è di natura eccezionale e di stretta interpretazione. Conseguentemente, il termine per la presentazione della domanda di rimborso dell’Iva a soggetto domiciliato o residente negli Stati membri della Comunità economica europea senza stabile organizzazione in Italia, indicato nel decreto ministeriale 20 maggio 1982 – al quale il sesto comma dell’articolo 38-ter del Dpr 633/1972 rinvia per la fissazione delle modalità e dei termini relativi all’esecuzione dei rimborsi – non è posto a pena di decadenza (Cassazione, 22563/2004; 5116 e 1474/2005; 7181, 23855 e 25198 del 2009; 8690/2010; 9564/2011).
Un diverso e precedente orientamento giurisprudenziale aveva ritenuto, invece, che l’indicazione – contenuta nell’articolo 1 di tale decreto – del termine semestrale decorrente dalla fine dell’anno solare in cui è sorto il diritto al rimborso, analogamente a quanto previsto dall’articolo 7 della citata ottava direttiva, è da intendersi di natura perentoria (Cassazione, 9142, 5559 e 1013 del 2005).
Con ordinanza interlocutoria 11456/2011, la Corte di cassazione ha ritenuto necessario, sussistendone i prescritti requisiti, domandare alla Corte di giustizia dell’Unione europea di pronunciarsi in via pregiudiziale, ai sensi dell’articolo 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, sulla questione della natura, perentoria o meno, dell’anzidetto termine.
La Corte di giustizia, con sentenza del 21 giugno 2012, C-294/11, ha dichiarato che il termine di sei mesi previsto dall’articolo 7, paragrafo 1, primo comma, ultima frase, dell’ottava direttiva 79/1072/Cee del Consiglio, del 6 dicembre 1979, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Modalità per il rimborso dell’imposta sul valore aggiunto ai soggetti passivi non residenti all’interno del paese, per la presentazione di un’istanza di rimborso dell’imposta sul valore aggiunto, è un termine di decadenza.
A tale conclusione il Giudice comunitario è pervenuto sulla base, essenzialmente, delle seguenti considerazioni: a) in forza di una costante giurisprudenza, le varie versioni linguistiche di una disposizione dell’Unione devono essere interpretate in modo uniforme e, pertanto, in caso di divergenze tra loro, la disposizione dev’essere interpretata in funzione dell’economia generale e della finalità della normativa di cui essa fa parte; b) per quanto concerne la finalità della normativa in questione, occorre ricordare che lo scopo dell’ottava direttiva Iva, in base al suo terzo considerando, è quello di “por fine alle divergenze fra le disposizioni attualmente in vigore negli Stati membri che sono talvolta all’origine di deviazioni di traffico e distorsioni di concorrenza”; c) la possibilità di proporre una domanda di rimborso delle eccedenze dell’Iva senza alcuna limitazione temporale si porrebbe in contrasto col principio della certezza del diritto, che esige che la situazione fiscale del soggetto passivo, con riferimento ai diritti e agli obblighi dello stesso nei confronti dell’amministrazione tributaria, non possa essere indefinitamente rimessa in discussione; d) l’introduzione di un termine ordinatorio, ossia di un termine che non sia previsto a pena di decadenza, per la presentazione dell’istanza di rimborso dell’Iva ai sensi dell’articolo 2, letto in combinato disposto con l’articolo 3 dell’ottava direttiva Iva, si pone in contrasto con lo scopo di armonizzazione perseguito dalla medesima direttiva.
Alla luce dei suddetti chiarimenti, la Corte di cassazione ha risolto il contrasto giurisprudenziale chiarendo che il termine per la presentazione dell’istanza di rimborso dell’Iva da parte dei soggetti passivi non residenti, termine stabilito dalla normativa comunitaria e nazionale in sei mesi successivi allo scadere dell’anno nel corso del quale l’imposta è divenuta esigibile, è di natura decadenziale (Cassazione, 8366/2013).