Trivelle_Goletta Verde, la campagna storica di Legambiente in difesa del mare, quest’anno parte dalla Croazia per dare impulso a una partecipata mobilitazione contro le trivellazioni petrolifere che minacciano L’Adriatico. Insieme a SOS Adriatico, Avaaz e Alternatives (Tunisia), l’equipaggio del battello ambientalista lancia un appello in difesa delle coste e del mare Adriatico. L’obiettivo è creare un fronte compatto – associazioni, cittadini, istituzioni contro le trivellazioni sancito dal manifesto NO OIL-Stop Sea Drilling, a cui hanno già aderito oltre 50 assocazioni. Nel dossier l’inutile e dannosa corsa all’oro nero nel mare Adriatico.

 

Il mare Adriatico è un ambiente estremamente fragile per le caratteristiche proprie di “mare chiuso”. In questo contesto già difficile si inseriscono nuove attività di ricerca ed estrazione di idrocarburi che comporterebbero un impatto devastante non solo per l’ecosistema marino, ma anche per le attività che oggi costituiscono una preziosa risorsa economica per i Paesi costieri, come la pesca e il turismo. Tutto per una politica energetica miope ed anacronistica a solo vantaggio delle compagnie private. Le quantità di idrocarburi in gioco sono risibili, grandi invece i rischi e i possibili danni che ricadrebbero sulla collettività.

 

Il 2015 è l’anno della Cop21 di Parigi, appuntamento fondamentale per la lotta a cambiamenti climatici e per scegliere una volta per tutte la strada di un’economia fossil free, indipendente dalle fonti fossili e basata su risparmio, efficienza energetica e fonti rinnovabili.

 

Al contrario, la scelta di puntare su nuove attività di estrazioni di idrocarburi intrapresa da alcuni Paesi, Croazia e Italia in primis, giustificata secondo la logica di incrementare la propria economia e la propria indipendenza energetica nazionale, è miope, di breve durata ed anacronistica.

 

Le quantità di idrocarburi in gioco, infatti, inciderebbe di poco sull’economia e sull’indipendenza energetica dei singoli Stati, mentre la maggior parte del guadagno andrebbe a compagnie private, che vedrebbero incrementare le proprie casse personali mentre i rischi e i possibili danni ricadrebbero sulla collettività. Ma di questi fattori non sembra tener conto il Governo italiano, come testimoniano i dieci decreti di VIA positiva su altrettante richieste fatte in Adriatico da compagnie petrolifere, emanati dai Ministeri dell’Ambiente e dei Beni culturali solo da inizio giugno.

 

Oppure la recentissima scelta del ministero dello Sviluppo Economico che ha autorizzato la società petrolifera Po Valley Operations ad ampliare un titolo già esistente al largo del Delta del Po, nel ravennate. Autorizzazione impugnata dalle associazioni ambientaliste. La riperimetrazione della superficie precedentemente concessa ha portato ad una estensione dell’area di ricerca di gas e petrolio in mare da 197 chilometri quadrati a 526 chilometri quadrati e per di più entro le 12 miglia dalla costa, area vincolata e vietata per legge. Se l’ampliamento andasse in porto, a nostro avviso, si avrebbe un via libera per poter trivellare i nostri mari ovunque: a due passi dalle coste e dalle spiagge, dalle aree protette, sempre più a ridosso di luoghi ad alto valore turistico, da nord a sud.

 

A nulla sembra siano serviti gli ultimi atti approvati a livello europeo e recepiti, o in corso di recepimento nel nostro Paese: la direttiva 2013/30/UE che pone al centro la valutazione e la prevenzione di rischi connessi alle attività petrolifere e stabilisce il rafforzamento delle condizioni di sicurezza ambientale delle operazioni in mare nel settore degli idrocarburi; la direttiva riguardante la Strategia marina (2008/56/CE) che ha, tra gli altri, l’obiettivo del buono stato ecologico del mare al 2020 e prevede di valutare anche l’impatto cumulativo di tutte le attività per una gestione integrata del sistema marino-costiero.

 

Per questo riteniamo necessario un tavolo che coinvolga l’Italia, la Croazia e tutti i Paesi Costieri per una valutazione e una pianificazione più ampia delle attività che si svolgono o che si vorrebbero svolgere in Adriatico, ma soprattutto per ragionare su una scala più vasta, al di là dei limiti territoriali nazionali, su quale deve essere il futuro del Mar Adriatico, con le popolazioni locali, le associazioni ed i portatori di interessi a beneficio della collettività.

 

Un percorso in cui occorre mettere al centro la tutela della biodiversità marina, il rilancio dell’economia legata ad una pesca sostenibile che eviti lo sfruttamento delle specie più consumate e la promozione di una nuova idea di turismo legato al mare che faccia della sostenibilità ambientale il suo punto di forza.

 

Il Dossier completo di Legambiente è liberamente consultabile in allegato a quest’articolo.