addizionaliAumentano per tutti le addizionali regionali all’IRPEF, nessuno escluso: le maggiorazioni delle aliquote previste dagli automatismi fiscali (art. 6, comma 7, del D.lgs. 6 maggio 2011, n. 68) si applica su tutti gli scaglioni di reddito: per la Regione sottoposta al Piano di rientro dal deficit sanitario, l’incremento è pari al +0,30% dell’aliquota vigente. A precisarlo è stato il Dipartimento delle Finanze con la risoluzione n. 5/DF/2015 a fronte dei dubbi emersi in merito all’interpretazione delle disposizioni contenute nell’art. 6 del Dlgs 6 maggio 2011, n. 68, che disciplina le addizionali regionali all’IRPEF.

 

Sono stati chiesti chiarimenti in merito all’applicazione dell’incremento nella misura fissa di 0,30 punti percentuali dell’aliquota dell’addizionale regionale all’IRPEF vigente, previsto dall’art. 2, comma 86, della legge 23 dicembre 2009, n. 191 per le Regioni sottoposte ai Piani di rientro dai deficit sanitari.

 

Detta norma stabilisce, infatti, che l’accertato verificarsi, in sede di verifica annuale, del mancato raggiungimento da parte della Regione degli obiettivi del piano di rientro, con conseguente determinazione di un disavanzo sanitario, comporta “l’incremento nelle misure fisse di 0,15 punti percentuali dell’aliquota dell’imposta regionale sulle attività produttive e di 0,30 punti percentuali dell’addizionale all’IRPEF rispetto al livello delle aliquote vigenti, secondo le procedure previste dall’ articolo 1, comma 174, della legge 30 dicembre 2004, n. 311”.

 

Relativamente all’addizionale regionale all’IRPEF è sorto il dubbio se il suddetto incremento debba essere applicato necessariamente su tutti gli scaglioni di reddito corrispondenti a quelli stabiliti per l’IRPEF o se sono esclusi dal perimetro applicativo i redditi ricadenti nel primo scaglione, vale a dire quelli fino a 15.000 euro.

 

Tale perplessità deriva dal fatto che il comma 7 dell’art. 6, del D.Lgs. 6 maggio 2011, n. 68, stabilisce che a decorrere dal 2015 si applica il comma 3 dello stesso articolo, il quale prevede, tra l’altro, che “La maggiorazione oltre i 0,5 punti percentuali non trova applicazione sui redditi ricadenti nel primo scaglione di cui all’articolo 11 del testo unico delle imposte sui redditi di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917”.

 

Infatti, nell’ipotesi in cui la regione abbia già approvato un sistema di aliquote che prevede la maggiorazione di 0,5 punti percentuali per il primo scaglione di redditi, l’applicazione dell’incremento nella misura fissa di 0,30 punti percentuali rispetto al livello delle aliquote vigenti, sembrerebbe confliggere con le disposizioni del citato comma 3 dell’art. 6, del D.Lgs. n. 68 del 2011.

 

Al fine di superare ogni incertezza interpretativa occorre precisare che nella fattispecie in esame non trova applicazione il comma 3, ma il successivo comma 10 dell’art. 6, del D.Lgs. n. 68 del 2011, il quale, allo scopo di salvaguardare l’esigenza di perseguire l’equilibrio economicofinanziario dell’ente attraverso la copertura dei disavanzi di gestione nel settore sanitario, stabilisce che: “Restano fermi gli automatismi fiscali previsti dalla vigente legislazione nel settore sanitario nei casi di squilibrio economico, nonché le disposizioni in materia di applicazione di incrementi delle aliquote fiscali per le regioni sottoposte ai piani di rientro dai deficit sanitari”.

 

Dalla lettura coordinata delle norme innanzi richiamate si rileva, infatti, che il comma 3 dell’art. 6, del D.Lgs. n. 68 del 2011, trova applicazione in via generale, imponendo un limite alla facoltà riconosciuta alla Regione di modificare le misure dell’addizionale al solo scopo di contenere la pressione fiscale per i contribuenti con redditi fino a 15.000 euro.

 

Ogni discrezionalità della Regione viene, invece, automaticamente meno nell’ipotesi in cui la stessa presenti dei disavanzi di gestione nel settore sanitario o sia impegnata nel Piano di rientro dai disavanzi del settore sanitario stesso e il Tavolo per la verifica degli adempimenti ed il Comitato permanente per la verifica dei livelli essenziali di assistenza – che hanno il compito di monitorare l’attuazione dei Piani di rientri- abbiano constatato il mancato raggiungimento degli obiettivi fissati dal suddetto Piano, con conseguente determinazione di un disavanzo sanitario.

 

Infatti, la finalità della disposizione di cui al comma 10 del citato art. 6, del D.Lgs. n. 68 del 2011, è quella di garantire che la copertura dei disavanzi di gestione nel settore sanitario avvenga anche attraverso l’applicazione automatica sia delle maggiorazioni di imposta stabilite dalle norme sugli automatismi fiscali – tra tutte il citato art. 1, comma 174, della legge n. 311 del 2004 – e sia degli incrementi di aliquota previsti dall’art. 2, comma 86, della legge n. 191 del 2009, per le Regioni sottoposte ai suddetti Piani di rientro.

 

Il perseguimento di tali superiori finalità che, come ampiamente ribadito dalla giurisprudenza costituzionale, sono volte ad assicurare i livelli essenziali delle prestazioni concernenti il diritto fondamentale alla salute sancito dall’art. 32 della Costituzione, non consente, quindi, alle Regioni di poter escludere dall’applicazione degli incrementi delle aliquote fiscali in questione i redditi fino a 15.000 euro. In tal modo, infatti, le Regioni aggraverebbero il disavanzo sanitario e contravverrebbero, altresì, all’obbligo di adottare tutti gli atti normativi, amministrativi, organizzativi e gestionali idonei a garantire il conseguimento degli obiettivi dei suddetti Piani.

 

Pertanto, la Regione sottoposta al Piano di rientro dal deficit sanitario, è tenuta ad applicare l’incremento nella misura fissa di 0,30 punti percentuali dell’aliquota dell’addizionale regionale all’IRPEF rispetto a quelle vigenti, su tutti gli scaglioni di reddito.