Parte la campagna online e la proposta di nuove regole: riciclo, design e riuso intelligente dei prodotti. La nostra associazione plaude all’iniziativa lanciata dall’European Environmental Bureau e darà tutto il possibile contributo di partecipazione e diffusione. Condiviamo in pieno i contenuti della campagna europea che rispecchiano i temi che hanno animato diverse nostre iniziative sul territorio negli anni e le campagne nazionali che abbiamo portato avanti dal 2009, a partire da Porta la Sporta.
Le campagne nazionali che si sono susseguite con “Meno rifiuti più Benessere in 10 mosse” lanciata nel 2012, e “Per un nuovo accordo Anci-Conai” del 2013, sono nate proprio all’insegna della prevenzione. Per prevenire lo spreco di risorse non esiste altra via che intervenire ” a monte” per cambiare alla radice il sistema economico attuale che determina il modo in cui si produce, commercializza e si gestisce il fine vita dei beni, inclusi imballaggi e articoli usa e getta. Solamente un passaggio a modelli di economia circolare può garantire una gestione sostenibile delle risorse lungo tutto la filiera. E’ ora dispostare l’attenzione e destinare risorse, come ribadisce la campagna europea, alla fase della progettazione dei beni se si vuole tutelate per davvero ambiente ed economia.
In Italia, e non solo, tutta l’attenzione è concentrata sulla fase finale, quella della racconta differenziata RD, che nell’immaginario collettivo ( spesso anche dei media) coincide con il riciclo. Niente di più errato perchè la RD è solamente uno strumento, l’atto finale di un processo che rischia di essere vanificato proprio dalle caratteristiche progettuali di beni ed imballaggi prima che dai limiti strutturali e impiantisitici delle fasi finali di raccolta, selezione e riciclo.
Se questi beni non vengono progettati per essere riparati, riutilizzati, oppure conformi per un riciclo industriale (negli impianti esistenti qui e ora) gli enti locali che pagano per i servizi di raccolta e selezione, ed i loro cittadini, sono doppiamente beffati. Da questa considerazione è nata la campagna Meno rifiuti più benessere che chiede al sistema industriale e commerciale azioni volontarie come: la riduzione della quantità di imballaggi immessi tramite il riuso, l’eliminazione in fase di progettazione dell’impiego di materiali che non permettono un riciclo eco efficiente a causa di abbinamenti di materiali eterogenei, utilizzo di additivi, opacizzanti, etichette coprenti, e cosi via.
I costi di un sistema inefficiente che non recupera il valore dei materiali dei beni che immette nel circuito economico, ricadono di fatto sempre sui cittadini. Questi ultimi prima pagano almeno due volte, quando acquistano un bene e poi pagano una seconda volta per i costi di gestione del fine vita, tra raccolta differenziata e smaltimento con le bollette dei rifiuti. In Italia poi, a differenza di paesi che hanno un sistema di gestione degli imballaggi simile al nostro, i materiali raccolti in modo differenziato dai Comuni vengono ceduti gratuitamente al sistema Conai.
Anche nell’ultimo accordo siglato tra Anci e Conai 2014-2019 non ci sono stati cambiamenti significativi rispetto ai precedenti. Nonostante il fatto che questo ultimo accordo ci porti più vicini al 2020, termine entro il quale si dovrà riciclare il 50% dei materiali presenti nei rifiuti urbani ( plastica, acciaio, vetro, etc) non ci si pone, neanche il quella sede, il problema di come si arriverà a questi risultati. Per cambiare rotta ci vuole pertanto un’azione decisa dal basso perchè non ci si può ovviamente aspettare che sia l’industria a fare gli interessi dei cittadini e degli enti locali.
Come dimostrano le notizie che vi abbiamo portato in esclusiva su questo sito, i problemi che incontrano gli enti locali in Francia e Olanda sono simili ai nostri, anche se a loro arrivano più risorse per la RD dagli organismi che ricoprono un ruolo omologo al nostro Conai. In Olanda vediamo come il Governo si stia facendo dettare l’agenda delle politiche inerenti al packaging dalla stessa industria, Coca-Cola in testa.
Sembra mancare un pò ovunque, sia nella società civile che tra gli enti locali, una reale presa di coscienza su quelli che dovrebbero essere i diritti e i doveri dei soggetti che partecipano ad un sistema di responsabilità condivisa che è il sistema vigente in Italia per la gestione del fine vita degli imballaggi in Italia. Per prima cosa il contesto entro cui dovrebbe trovare attuazione tale principio dovrebbe essere democratico e imparziale. Non dovrebbero esserci pertanto interessi di parte che prevalgono tra i soggetti in gioco: produttori e utilizzatori di imballaggi, operatori che subentrano nella raccolta, selezione, riciclo e aziende che impiegano il materiale post consumo invece che materia vergine, enti locali e cittadini.
Questo implica che andrebbe trovato il miglior equilibrio possibile che rispetti gli interessi di tutti e che sia, al tempo stesso, ambientalmente ed economicamente sostenibile. Dando per scontato questa premessa che ancora manca a livello nazionale e globale, seppur con varie sfumature, esiste anche un diverso livello di attribuzione delle responsabilità. Il più alto livello di responsabilità è quello di un governo che non governa. Subito dopo c’è la responsabilità dell’industria, del circuito commerciale e distributivo e a cascata quella che attiene alla politica locale ai vari livelli (regione provincia e comune) che non assolve ai propri doveri e compiti e infine si arriva alle responsabilità che attiene al cittadino consumatore.
Quest’ultimo però è quello che paga sempre il conto finale. Sia quando fà la cosa giusta ( riducendo rifiuti, differenziando, comprando prodotti più sostenibili) che quando si comporta in “modo irrispettoso” per l’ambiente danneggiando il bilancio finale della sua comunità. Per completare il ragionamento è il principio europeo che stabilisce che “chi inquina paga” a non lasciare ombra di dubbio sulla fondatezza di una necessaria modulazione, anche economica, delle responsabilità: chi ha la responsabilità sulle decisioni progettuali di un bene o sistema che vanno a impattare i soggetti della filiera seguenti è quello che deve pagare un prezzo più alto.
Solamente facendo pagare di pù chi maggiormente inquina e meno chi produce prodotti più sostenibili si potrà orientare il mercato in senso ecologico premiando quelle aziende che fanno vera innovazione ambientale. Come suggerisce il titolo di un libro del Prof.Tencati di Cresv-Bocconi “Prevenzione è Innovazione” l’innovazione coincide con la prevenzione. Quindi una vera innovazione è quella che non esternalizza su altri livelli e operatori della filiera il proprio impatto o gli effetti collaterali, ma è quella che migliora ed efficientizza il sistema in cui si va ad inserire. Per fare un esempio, subito dopo l’opzione del riuso in un imballaggio (che è quella vincente per sistemi che chiudono il ciclo a livello locale) viene il riciclo eco efficiente.
Se per eliminare le caratteristiche ” a sfavore” di materiali come vetro o la plastica, che sono la pesantezza del primo e la non biodegradabilità della seconda, si passa massicciamente ad altri imballaggi solamente perchè provenienti da fonti rinnovabili, si rischia di proporre dei rimedi che possono rivelarsi anche peggiori del male. Spesso, come abbiamo visto con il tetto iniziale del 10% fissato dalla Commissione Europea sui Biocarburanti, sono le dimensioni di scala del fenomeno che determinano la validità, o il fallimento, di una decisione. Non esiste una soluzione di imballaggio sostenibile “a prescindere” adatta per tutti i continenti e latitudini. Ogni scelta di packaging ( o di messa in vendita di prodotti senza packaging) deve tenere conto del contesto, e di come tale contesto può metabolizzare al meglio le caratteristiche di ogni materiale, tenendo conto dell’intero ciclo di vita dell’imballaggio: dall’estrazione della materia prima al suo fine vita.
Una scelta responsabile che l’industria del beverage avrebbe potuto compiere, qualche decennio fa, quando ha cominciato a commercializzare le proprie bevande in paesi dove il riciclo è inesistente, sarebbe stata quella di introdurre il vuoto a rendere e sistemi per rendere possibile l’opzione del cauzionamento. In questo modo le aziende multinazionali, che in alcuni paesi si sono appropriate di risorse acquifere (scarse o di difficile accesso alle popolazioni locali), avrebbero potuto restituire, con la creazione di occupazione, parte dei loro guadagni alle popolazioni locali. Il vuoto a perdere, applicato a tutte le tipologie di imballaggio, risulterà sempre più insostenibile nei prossimi decenni. L’innovazione sarà quella che sarà capace di prendere gli esempi validi del passato e re-inventarli nel nuovo contesto tecnologico. Girarci intorno sostituendo piccole tessere del puzzle del consumo insostenibile cambiando solamente il materiale con cui sono fatte le tessere, è un puro esercizio di marketing tinto di verde. Niente più che un palliativo rispetto alle sfide economiche ed ambientali che ci attendono.
L’Europa non può più permettersi di gettare i rifiuti in discarica o di bruciare materiali negli inceneritori solo perché di ‘seconda mano’. Largo invece a riciclo, riuso e al design intelligente dei prodotti: è questo il leit motiv della nuova campagna online ‘Make Resources Count’, cioè ‘fai contare le risorse’, lanciata da European Environmental Bureau (EEB), l’associazione ambientalista che riunisce 140 organizzazioni in Europa, fra cui Legambiente.
La campagna di EEB riapre una partita chiave per Bruxelles e tutti gli europei. La mobilitazione coincide infatti con la consultazione di Bruxelles che servirà a formulare la tanto discussa normativa per la cosiddetta ‘economia circolare’, che riguarderà appunto non solo la gestione e il riciclo dei rifiuti, ma anche il ciclo di vita dei prodotti, a partire dal design. Ogni europeo consuma in media 16 tonnellate di materiali ogni anno e produce in media sei tonnellate di rifiuti, che per il 64% viene bruciato o finisce in discarica. Le regole proposte dal precedente esecutivo Ue includevano un target di riciclo del 70% per i rifiuti urbani e dell’80% per gli imballaggi, più il divieto di ricorrere alle discariche. Il timore degli ambientalisti è che la nuova strategia della Commissione Juncker su questo fronte giochi al ribasso. “Tagliare lo spreco di risorse in Europa è un’opportunità vincente sia per l’ambiente sia per l’economia, ma non avverrà da solo” spiega Stéphane Arditi di EEB, secondo cui ripresentare nuove regole “deve significare mantenere i target di riciclo originali e includere criteri di design dei prodotti per ridurre l’uso di risorse dalla fase di progettazione”.
Secondo i dati di EEB, l’80% dell’impatto ambientale di un prodotto viene definito proprio nella fase di design. Se si rende più facile disassemblare, riparare e riusare, invece di costruire qualcosa per poi gettarlo via, si potranno conservare anche una serie di risorse, sempre più care e meno disponibili sul mercato. Su questo punta la campagna ‘Fai contare le risorse’ secondo cui estendere di qualche anno il ciclo di vita solo di lavatrici, computer portatili e stampanti nell’Ue comporterebbe il taglio di oltre un milione di tonnellate di emissioni di CO2, l’equivalente di 477mila auto su strada ogni anno. Una strategia a beneficio anche dell’occupazione, con 860mila nuovi posti di lavoro per il 2030. Qual è quindi la ricetta proposta da EEB per la nuova normativa Ue? Si va da ‘obiettivo zero rifiuti residui’ entro il 2025 ad un target di riduzione di uso dei materiali e di taglio della produzione dei rifiuti, ma anche la preparazione di target per il riuso di rifiuti urbani, di attività commerciali e industriali. Gli ambientalisti propongono anche di bandire discariche e inceneritori e di eliminare a partire dalla progettazione dei prodotti sostanze nocive come microplastiche e prodotti monouso e non riciclabili. Una rivoluzione ‘verde’ a tutto campo.