A seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 37 del 2015 sono sorte numerose liti aventi a oggetto la ritenuta illegittimità degli atti impositivi sottoscritti dai funzionari preposti a capo di uffici di livello dirigenziale. Finora si sono avute, esclusivamente, pronunce di merito, con un orientamento prevalentemente favorevole all’Agenzia delle Entrate.
Ciò nonostante, suscita interesse e anche stupore, per i principi di diritto enucleati, la recentissima sentenza della Ctr Lombardia n. 2184 del 19 maggio scorso, che ha dichiarato nullo un atto impositivo sottoscritto da un funzionario privo della qualifica di dirigente.
Ciò che suscita stupore è la circostanza per la quale la suddetta pronuncia dei giudici milanesi va a delineare i contorni del vizio di incompetenza in maniera assolutamente difforme rispetto a come tale profilo patologico dell’atto amministrativo emerge sia dal diritto positivo che dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato.
Da tale equivoca formulazione del vizio di incompetenza deriva l’equivoco esiziale sulla patologia che affligge l’atto impositivo (ritenuto nullo) e, quindi, sulla possibilità che tale patologia possa essere sanata ricorrendo ai principi generali sull’azione amministrativa (la Ctr Lombardia ha ritenuto inapplicabili gli articoli 21-octies e 21-nonies della legge 241/1990, confondendo la discrezionalità tecnica esercitata dall’Amministrazione finanziaria con la discrezionalità amministrativa), nonché, escludendo implicitamente che la questione della sottoscrizione possa essere risolta alla luce della giurisprudenza della Suprema corte in tema di sottoscrizione degli atti impositivi da parte di persone diverse dal capoufficio.
Procedendo con ordine, va, innanzitutto, rilevato che le figure patologiche del provvedimento amministrativo si risolvono nella categoria dell’inesistenza e in quella dell’illegittimità. In sostanza, con riferimento a un provvedimento amministrativo, ciò che occorre distinguere è quando il vizio che lo affligge è così grave da impedire all’atto di incidere sulla sfera giuridica del destinatario, ovvero, quando lo stesso, pur avendo tale idoneità, in ragione del vizio che lo affligge, può essere caducato su ricorso proposto da chi abbia un interesse concreto e attuale alla sua caducazione.
Ciò posto, va ulteriormente rilevato che il vizio di incompetenza può essere assoluto o relativo. L’incompetenza assoluta, che si risolve in una carenza di potere in astratto (ovvero un “difetto assoluto di attribuzione”, ai sensi dell’articolo 21-septies, comma 1, della legge 241/1990), si manifesta quando l’ordinamento giuridico non prevede alcuna norma attributiva del potere.
In sostanza, tale vizio ricorre quando (caso assolutamente teorico) la Pubblica amministrazione adotti un provvedimento amministrativo non previsto dall’ordinamento, ossia in violazione del principio di tipicità-nominatività degli atti amministrativi. La conseguenza di tale vizio è ineluttabilmente l’inesistenza del provvedimento amministrativo, ossia l’atto degrada a mero fatto.
Diversamente, il vizio di incompetenza relativa (articolo 21-octies, comma 1, legge 241/1990) ricorre quando una branca della Pubblica amministrazione adotta un provvedimento rientrante nella competenza di altra branca della medesima Pa. Ciò si verificherebbe, ad esempio, se un Ufficio scolastico emettesse un avviso di accertamento ai fini Irpef. In tali casi, la conseguenza è una illegittimità del provvedimento, che deve essere censurato, dai soggetti legittimati, nei modi e nei tempi previsti dal rito di riferimento (processo tributario o amministrativo).
Tanto considerato, nell’ipotesi (ovviamente del tutto teorica, data l’efficienza organizzativa dell’Agenzia delle Entrate) che, per puro esempio, la Dp di Siracusa adottasse un avviso di accertamento ai fini Irpef nei confronti di una persona avente il proprio domicilio fiscale nella provincia di Sondrio, l’atto impositivo non sarebbe afflitto neppure da incompetenza relativa.
Alla luce di quanto sopra, emerge chiaramente che il paventato vizio di incompetenza, che secondo i giudici lombardi deriverebbe dal fatto che l’atto impositivo è stato sottoscritto da un funzionario privo della qualifica dirigenziale, e, soprattutto, la conseguente sanzione di inesistenza dell’atto impositivo, è assolutamente inconferente e contrario ai principi sull’azione amministrativa.
Venendo al tema della sottoscrizione dell’atto impositivo da parte di persona diversa da un dirigente del ruolo dell’Agenzia delle Entrate, ci si domanda: quale sarebbe la sorte di un atto impositivo sottoscritto da persona diversa dal capoufficio? Orbene, la Suprema corte ha costantemente fatto riferimento a due principi, ossia l’appartenenza della persona che ha sottoscritto l’atto all’ufficio dal quale il medesimo promana e l’assenza di una usurpazione di funzioni (si veda, ex pluribus, Cassazione n. 874 del 2009, nella quale, tra l’altro, si dichiara l’irrilevanza della illeggibilità della sottoscrizione apposta da un funzionario diverso dal capoufficio). Nel caso di specie, i funzionari che hanno sottoscritto gli atti impositivi hanno un rapporto di impiego con l’Agenzia delle Entrate e hanno esercitato i poteri di firma sulla base di disposizioni di servizio che li preponevano a capo di determinate strutture. Inoltre, la Suprema corte ha stabilito che la delega di firma può evincersi, implicitamente, anche dalle suddette disposizioni di servizio (ordinanza n. 21546 del 2011). Ancora, la Suprema corte, con sentenza n. 2354/2009, ha stabilito che: “l’esistenza dell’atto amministrativo non dipende tanto dalla apposizione del sigillo, del timbro o di una sottoscrizione leggibile quanto dal fatto che, al di là di questi elementi formali, esso sia inequivocabilmente riferibile all’Organo amministrativo titolare del potere di emetterlo”.
Infine, riguardo all’inapplicabilità agli atti dell’Amministrazione finanziaria del disposto del comma 2 dell’articolo 21-octies della legge n. 241/1990 (irrilevanza dei vizi di forma o procedurali in caso di attività vincolata) sull’assunto che l’attività di accertamento dei tributi sia di natura discrezionale, posto che l’accertamento tributario ha natura di accertamento costitutivo, l’Amministrazione finanziaria esercita una mera discrezionalità tecnica, analoga a quella del giudice quando emana una sentenza: in sostanza, la discrezionalità dell’Amministrazione finanziaria è limitata all’apprezzamento della sussistenza, nella fattispecie concreta, dei presupposti statuiti dalla fattispecie astratta (norma tributaria).
Da ultimo, va rilevato che l’incidenza di una sentenza della Corte costituzionale, sui rapporti giuridici non esauriti alla data di pubblicazione della medesima non opera in modo automatico, richiedendo sempre un bilanciamento tra interessi costituzionalmente rilevanti: nel caso di specie, se, in forza della sentenza n. 37/2015 della Consulta, si consentisse ad alcuni contribuenti di sottrarsi al prelievo fiscale per il solo fatto che gli atti loro notificati sono stati sottoscritti da funzionari privi della qualifica dirigenziale, si creerebbe una disparità di trattamento (articolo 3 della Costituzione) nei confronti di quei contribuenti destinatari di atti sottoscritti da dirigenti di ruolo, nonché, si violerebbe il principio di capacità contributiva (articolo 53 della Costituzione), in quanto il difetto di sottoscrizione assorbirebbe ogni valutazione sulla fondatezza della pretesa impositiva.