Non sono trasformabili in crediti d’imposta – ai sensi dell’articolo 2, commi da 55 a 58, del Dl 225/2010 – le Dta, connesse con gli affrancamenti successivi a quello iniziale di un medesimo avviamento, iscritte ex novo a decorrere dall’esercizio chiuso (o in corso) al 31 dicembre 2013, in quanto, secondo le istruzioni della Banca d’Italia, le medesime vanno dedotte ab origine dal patrimonio di vigilanza.
Lo chiarisce l’Agenzia delle Entrate con la risoluzione 55/E del 29 maggio 2015.
Il divieto di trasformazione in crediti d’imposta non opera relativamente alle Dta riferite ad “affrancamenti plurimi di un medesimo avviamento” connesse con operazioni già realizzate al 31 dicembre 2012 e rilevate sino all’esercizio chiuso o in corso alla medesima data, in quanto, per le predette Dta, l’Istituto di vigilanza non ha stabilito la deduzione ab origine dal patrimonio di vigilanza, introducendo, invece, un meccanismo di sterilizzazione graduale lungo un arco temporale di cinque anni.
Il documento di prassi nasce dalla necessità di dare risposta a richieste di chiarimenti in ordine al corretto trattamento fiscale da riservare a un soggetto che abbia iscritto in bilancio Dta riferite ad affrancamenti plurimi (successivi al primo) di un medesimo avviamento.
In base all’articolo 2, comma 55, del Dl 225/2010, “le attività per imposte anticipate iscritte in bilancio (…) relative al valore dell’avviamento e delle altre attività immateriali, i cui componenti negativi sono deducibili in più periodi d’imposta ai fini delle imposte sui redditi e dell’imposta regionale sulle attività produttive , sono trasformate in crediti d’imposta qualora nel bilancio individuale della società venga rilevata una perdita d’esercizio”.
La ratio della norma, come precisa la relazione tecnica, “è da trovarsi nel divario di incidenza delle imposte anticipate nei bilanci degli operatori italiani (in particolare gli enti creditizi e finanziari di cui al decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 87) rispetto a quelli europei, divario che dipende significativamente da regimi fiscali meno favorevoli, quali ad esempio l’impossibilità di dedurre integralmente le rettifiche su crediti nell’anno di formazione, che determina la generazione di attività fiscali differite (DTA)”. Ciò si traduce anche “in una penalizzazione sul piano della dotazione patrimoniale regolamentare delle banche italiane”, in quanto, secondo le previsioni dell’accordo “Basilea 3”, poiché le Dta non sono nella piena disponibilità della banca (ma vincolate alla realizzazione di imponibili futuri), devono essere dedotte dal patrimonio di vigilanza. “Per evitare il sorgere di questo ulteriore svantaggio competitivo, la norma (…) prevede un meccanismo di conversione automatica in crediti d’imposta (…) delle poste rappresentative delle DTA (…); in tal modo, le DTA sarebbero smobilizzabili e, pertanto, concorrerebbero all’assorbimento delle perdite al pari del capitale e delle altre riserve, divenendo per tale via pienamente riconoscibili ai fini di vigilanza”.
Secondo quanto affermato dalla Banca d’Italia nella comunicazione 8 maggio 2013 rivolta agli intermediari, la “modalità di conseguire incrementi immediati in termini di Core Tier 1” – attuata attraverso la rilevazione di Dta “connesse con affrancamenti plurimi del medesimo avviamento” – “non era certamente l’obiettivo sottostante il citato decreto (Dl 225/2010, con specifico riferimento alla disciplina di cui all’articolo 2, commi da 55 a 58)” e, inoltre, “non è coerente con i principi alla base della riforma del capitale contemplata da Basilea 3”, per cui “la quota di DTA determinata da un singolo intermediario oppure da un medesimo gruppo su di un medesimo avviamento andrà dedotta dal Core Tier 1 limitatamente alla parte riferibile alle DTA successive a quella iniziale”: vale a dire, ai benefici patrimoniali relativi alla parte riferibile alle Dta connesse con gli affrancamenti successivi a quello iniziale di un medesimo avviamento.
Secondo le disposizioni dell’Organo di vigilanza, le Dta iscritte ex novo a decorrere dall’esercizio chiuso (o in corso) al 31 dicembre 2013 e connesse con gli affrancamenti successivi a quello iniziale di un medesimo avviamento vanno dedotte ab origine dal patrimonio di vigilanza. Pertanto, dovendosi operare, in virtù della citata comunicazione 8 maggio 2013, tale deduzione, l’Agenzia ritiene che le Dta relative ad “affrancamenti plurimi di un medesimo avviamento” iscritte ex novo in bilancio a decorrere dal 1° gennaio 2013 non rientrino tra le Dta trasformabili in crediti d’imposta ai sensi dell’articolo 2, commi da 55 a 58, del Dl 225/2010.
Inoltre, in relazione alle Dta “multiple” riferite a un medesimo avviamento e iscritte in bilancio “sino all’esercizio chiuso o in corso al 31 dicembre 2012”, l’Organo di vigilanza non ha stabilito la deduzione ab origine dal patrimonio di vigilanza, introducendo, invece, una graduale sterilizzazione degli effetti positivi sul Core Tier 1 lungo un arco temporale di cinque anni. Ne consegue che le Dta riferite ad “affrancamenti plurimi di un medesimo avviamento”, connesse con operazioni già realizzate al 31 dicembre 2012 e rilevate sino all’esercizio chiuso o in corso alla medesima data, rientrano tra quelle trasformabili in credito di imposta ai sensi dell’articolo 2, commi da 55 a 58, del Dl 225/2010.
Resta comunque impregiudicato il potere dell’Amministrazione finanziaria (articolo 37-bis, comma 2, Dpr 600/1973) di verificare se l’eventuale affrancamento “plurimo” ad aliquota ridotta dello stesso avviamento – con abbattimento del carico fiscale ad aliquota ordinaria delle società coinvolte, a seguito di più operazioni straordinarie realizzate in assenza di valide ragioni economiche, e utilizzo dei crediti d’imposta derivanti dalla trasformazione delle Dta iscritte a fronte dei predetti affrancamenti – si inserisca in un più ampio disegno elusivo, pertanto, censurabile.