uber_macchinaLa decisione del Tribunale di Milano di vietare il servizio di ridesharing dell’app Uber ha stimolato un ampio dibattito sui social, dove l’hashtag #Uber è balzato subito tra i trend topic. I sostenitori dell’azienda californiana sembrano in maggioranza, ma c’è anche chi difende i tassisti.

 

Il Tribunale di Milano ha ordinato il blocco di UberPop su tutto il territorio nazionale con inibizione dalla prestazione del servizio. Il servizio di ride sharing dell’app Uber che consente a chiunque di utilizzare la propria auto per dare passaggi in città è dunque off limit in Italia.

 

I giudici hanno accolto il ricorso presentato dalle associazioni di categoria dei tassisti per “concorrenza sleale“. Ma i taxi hanno avuto la meglio? È la vittoria della guerra o solo di una battaglia? Impossibile prevederlo. Intanto, almeno sui social media, i sostenitori di #Uber sembrano più numerosi rispetto a chi si schiera dalla parte dei tassisti. Come si può capire dai primi commenti arrivati su Twitter subito dopo la decisione del tribunale milanese.

 

Il fatto che il blocco arrivi durante Expo 2015 non è considerato quindi un buon biglietto da visita per l’Italia e la sua capacità di innovare. Lo mette in evidenza anche il numero uno di H-Farm, Riccardo Donadon. Ma non è l’unico.

 

Per molti, la decisione del Tribunale di Milano porta l’Italia indietro di anni e mette a nudo la difficoltà del Paese di aprire convintamente alle liberalizzazioni e all’innovazione. Alcuni mettono in evidenza che i taxi non offrono un servizio innovativo, quindi non potrebbero accusare chi innova di fare concorrenza sleale. E c’è chi è pronto a boicottare l’uso dei taxi…

 

Jari Pilati, giornalista di RaiNews24, fa notare come i giudici abbiano considerato il servizio UberPop qualcosa di simile, se non peggiore, del lavoro di un tassista abusivo. L’invito per i tassisti, nonostante la vittoria, è quello di aprirsi all’innovazione.

 

Il termine ricorrente è “corporazione”. Ai tassisti è rimproverato di aver agito come una casta a tutela dei propri interessi (privilegi, secondo alcuni) e sui giudici pende l’accusa della Rete di aver favorito una corporazione a danno dell’interesse generale.