Al centro del contenzioso sovranazionale la normativa tedesca sull’imposizione delle partecipazioni e la compatibilità con il diritto comunitario della tassazione forfetaria.
Dal 1997 al 2003, una cittadina tedesca era titolare di un deposito presso una Banca in Liechtenstein, contenente, segnatamente, partecipazioni in fondi di investimento con sede nelle Isole Cayman. Tali fondi di investimento, privi di alcuni requisiti normativamente previsti, erano considerati, in Germania, come fondi cosiddetti «neri».
Nel 2008, la contribuente dichiarava, per la prima volta, all’Ufficio delle Imposte di aver conseguito redditi di capitale provenienti, in particolare, dal deposito di cui essa era titolare presso la detta Banca, quantificandoli in misura forfettaria per ciascuno degli esercizi fiscali di riferimento.
L’Autorità tributaria, tuttavia, accertava maggiori redditi derivanti dalle partecipazioni in parola.
Di contrario avviso si mostrava la contribuente che, nel contestare l’operato dell’Amministrazione finanziaria tedesca, faceva valere l’incompatibilità della tassazione forfetaria, prevista dalla legge germanica, riguardante le partecipazioni in investimenti esteri con il principio della libera circolazione dei capitali.
In particolare, la tassazione supplementare – secondo la cittadina tedesca – doveva essere fondata solo sugli utili effettivi, di cui era necessario quantificare l’importo.
ll contenzioso in Germania
Poichè l’Ufficio delle Imposte respingeva tale reclamo, la contribuente tedesca proponeva ricorso dinanzi al giudice tributario di Baden‑Württemberg, il quale, con sentenza del 27 febbraio 2012, lo accoglieva. L’Ufficio delle Imposte proponeva, allora, ricorso per cassazione contro tale sentenza, dinanzi alla Corte tributaria federale.
Secondo il Collegio, la tassazione forfetaria prevista alla normativa tedesca in parola sarebbe idonea a dissuadere gli investitori tedeschi dall’investire in fondi che non soddisfano i criteri previsti dalla legge, in quanto la tassazione forfetaria è, in linea generale, più elevata della tassazione cui sono assoggettati gli investitori che dispongono di partecipazioni in fondi nazionali e che non forniscono la prova dei redditi che ne conseguono.
Le questioni pregiudiziali
Pertanto, la Corte federale fiscale ha deciso di sospendere il processo e di sottoporre alla Corte le questioni pregiudiziali seguenti:
- se la libera circolazione dei capitali di cui all’articolo 63 TFUE non osti, nel caso di una partecipazione in fondi d’investimento di Stati terzi, a una normativa nazionale secondo cui, ricorrendo determinate condizioni, sono imputati ai soggetti nazionali titolari di partecipazioni in fondi d’investimento esteri, oltre ai dividendi distribuiti, ricavi fittizi pari al 90% della differenza tra il primo e l’ultimo prezzo di riacquisto dell’anno e, in ogni caso, non inferiori al 10% dell’ultimo prezzo di riacquisto (o del valore di Borsa o di mercato), in ragione del fatto che tale normativa, rimasta sostanzialmente invariata dal 31 dicembre 1993, riguarda la prestazione di servizi finanziari ai sensi della clausola di salvaguardia dei diritti acquisiti di cui all’articolo;
- in caso di risposta negativa alla prima questione, il giudice del rinvio poneva una questione consequenziale, in relazione all’integrazione o meno di un “investimento diretto” ex articolo 64, paragrafo 1, TFUE.
Le argomentazioni di principio della Corte
Gli eurogiudici premettono che una normativa nazionale il cui oggetto verta principalmente sulla prestazione di servizi finanziari rientra nelle disposizioni del Trattato relative alla libera prestazione di servizi, anche quando può comportare o implicare movimenti di capitali.
E, in effetti, la Corte ha già dichiarato che un regime nazionale in forza di cui uno Stato membro assoggetta ad autorizzazione preliminare l’esercizio dell’attività di concessione di crediti a titolo professionale, sul suo territorio, da parte di una società con sede in uno Stato terzo e che ha pertanto l’effetto di ostacolare l’accesso al mercato finanziario di siffatta società, pregiudica in modo preponderante la libera prestazione dei servizi, ai sensi degli articoli 56 TFUE e seguenti.
Inoltre, continua la Corte, discende dagli articoli 63 TFUE e 64, paragrafo 1, TFUE, che sono vietate, in linea di principio, tutte le restrizioni ai movimenti di capitali che implicano la prestazione di servizi finanziari tra Stati membri e paesi terzi, salvo che siffatta restrizione fosse in vigore, ai sensi del diritto nazionale o del diritto dell’Unione, alla data del 31 dicembre 1993 o, eventualmente, a quella del 31 dicembre 1999.
Ciò posto, a fronte delle differenze esistenti tra le disposizioni relative alla libera prestazione di servizi e quelle che disciplinano la libera circolazione dei capitali quanto ai loro rispettivi ambiti di applicazione territoriale e personale, le situazioni di cui all’articolo 64, paragrafo 1 sono necessariamente diverse da quelle contemplate all’articolo 56 TFUE e seguenti.
Quanto alla portata della deroga prevista all’articolo 64, paragrafo 1, TFUE, si deve ricordare che l’interpretazione restrittiva di tale deroga mira a preservare l’effetto utile dell’articolo 63 TFUE.
Pertanto, al fine di poter rientrare nella predetta deroga, la misura nazionale deve vertere su movimenti di capitali che presentino un nesso sufficientemente stretto con la prestazione di servizi finanziari.
In questo senso – inferisce la Corte – rientra nell’articolo 64, paragrafo 1, TFUE una normativa nazionale che, applicandosi a movimenti di capitali destinati a o provenienti da Stati terzi, limita la prestazione di servizi finanziari.
La risoluzione della controversia
Ebbene, nella fattispecie, l’acquisto di quote di fondi d’investimento situati nelle Isole Cayman, nonché la riscossione dei dividendi che ne derivano, implicano la prestazione, mediante i fondi d’investimento, di servizi finanziari a vantaggio dell’investitore interessato.
Siffatto investimento – ragionano gli eurogiudici – si distingue da un acquisto diretto, da parte di un investitore, di quote di società sul mercato, in quanto gli consente, grazie ai suoi servizi, di beneficiare di una maggiore diversificazione tra differenti elementi dell’attivo, nonché di una migliore ripartizione dei rischi.
Pertanto, una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale – questa la conclusione, assorbente rispetto alla seconda questione pregiudiziale proposta – che prevede una tassazione forfettaria, combinata all’impossibilità per l’investitore di essere tassato sui redditi effettivamente conseguiti, allorché il fondo di investimento estero non soddisfi le condizioni fissate dalla normativa tedesca può dissuadere gli investitori residenti dal sottoscrivere quote in fondi d’investimento esteri e ha, quindi, come conseguenza, un ricorso meno frequente, da parte di tali investitori, ai servizi di siffatti fondi.
Conclusioni
L’articolo 64 TFUE deve essere interpretato nel senso che una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che prevede una tassazione forfetaria dei redditi dei titolari di quote di un fondo d’investimento estero, allorché quest’ultimo non soddisfi taluni obblighi previsti dalla legge nazionale, costituisce una misura vertente su movimenti di capitali che implicano la prestazione di servizi finanziari ai sensi di tale articolo.