Dalla telemedicina alle auto senza pilota, la piccola città-Stato asiatico è all’avanguardia per tutto quel che riguarda l’innovazione. E vuole connettere tutto e tutti entro dieci anni.
Mentre cammini per le strade di Singapore, con 32 gradi e l’umidità che ti appiccica i vestiti alla pelle, capisci perché il piccolo paese asiatico non solo ha la possibilità, ma è in qualche modo obbligato, a diventare una Smart Nation. Oggi come oggi, più che ai tropici, sembra di stare Londra: non solo per l’inglese, ma anche per la metropolitana efficiente e che ricorda molto quella della capitale inglese (c’è perfino la Circle Line), i palazzi ultramoderni, la pulizia – ecco in questo magari, è perfino meglio di Londra. Ma è una condizione di efficienza estrema, difficile da mantenere: clima a parte, ci si mettono anche la geografia e i fattori demografici a insidiare la posizione di preminenza dell’isola.
Lo spazio è limitato, finora si è costruito in altezza, per dare una casa ai 5 milioni e mezzo di abitanti. Gli edifici della Housing and Development Board (HDB), l’ente che gestisce le case popolari, sebbene non sgargianti, svettano dignitosi.In questo, il regno del liberismo economico si associa ad elementi di economia pianificata: ogni famiglia non abbiente, ha diritto a una casa data al governo a condizioni di favore: tante più stanze, quanto maggiore il numero di figli.
È un modo come un altro per mantenere la pace sociale, cosa a cui le autorità tengono molto, anche a prezzo di mettere parzialmente da parte alcuni diritti che qui in Occidente riteniamo (o ritenevamo? Si pensi alla recente legge sulle manifestazioni in Spagna) scontati, come la libertà di espressione e dissenso. Singapore, piaccia non piaccia, è un laboratorio avanzatissimo di quello che sarà il futuro di vaste aree del pianeta. Qui convergono lesedi distaccate di grandi istituti di ricerca come il MIT di Boston e l’ETH di Zurigo. Qui le grandi multinazionali americane ed europee trovare terreno libero e sostegno ufficiale per testare le ultime novità.
Ma non si tratta di una sorta di colonialismo tecnologico, lo stesso Stato asiatico gode di ottime università, molto ben finanziate e l’alfabetizzazione scientifica è a livello di quella dei vicini del Sud Est asiatico, Sud Corea in primis, ovvero fra le migliori del pianeta. Tre sono i principali filoni di ricerca a cui si stanno dedicando gli esperti qui, e che confluiscono nel progetto di Smart Nation come sintetizzato dal primo ministro Lee Hsien Loong: sanità, trasporti e protezione dei dati.
“Quello appena trascorso, è stato per noi un anno di sperimentazione – ha spiegato Steve Leonard, americano ormai naturalizzato, che è capo della task force governativa che si occupa del progetto Smart Nation,davanti a un pubblico di manager provenienti da tutto il mondo – abbiamo trascorso gli ultimi 18 mesi cercando di capire quali potevano essere le possibilità. Ora è il momento di mettere in pratica”. In primis, la sanità, ambito strettamente legato a quello gerontologico.
L’invecchiamento della popolazione non è un problema solo di Singapore, ma qui è particolarmente acuto: entro il 2030 si stima che la popolazione over 65 triplicherà, arrivando a 900.000 persone, un abitante su cinque. ma al crescere della popolazione, occorre eliminare al massimo inefficienze e colli di bottiglia. E pensare a terapie personalizzate, che consentano di ridurre i tempi di cura in ospedale, e poter continuare ad assistere i pazienti anche da casa.
“C’è già più richiesta di letti di quanto ci sia disponibilità, e la cosa è destinata a crescere per l’invecchiamento della popolazione. Per cui occorre pensare a nuove soluzioni – racconta Leonard – Cosa succede per esempio se diamo ai pazienti la possibilità di misurarsi la pressione o i battiti del cuore e inviare questi dati al loro medico. Non si tratta di cose eccezionali, ma di cose molto semplici, che però possono servire. In un test che abbiamo fatto, la riammissione per motivi di cura è diminuita del 67% liberando nel corso di un anno circa 3.500 posti letto”.
In futuro, le possibilità di cure basate sulla lettura del genoma del paziente, e forse anche sul fornire agli stessi dei chip, da indossare, impiantare nel corpo o ingerire, per seguire a distanza l’evoluzione del male, potrebbe aprire nuovi scenari. La stessa ricerca spasmodica di efficienza è alla base di vari progetti nel settore dei trasporti. “Non possiamo continuare a costruire sempre nuove strade – ha detto il primo ministro Lee Hsien Loong ai delegati del Founders Forum – non siamo a Los Angeles”. Occorre quindi ridurre il numero di auto private in circolazione e puntare sui mezzi pubblici e sull’introduzione di sistemi nuovi di mobilità, come quelli che prevedono l’uso delle auto senza pilota.
I ricercatori della partnership MIT-Smart locale, stanno lavorando a una loro driverless car, diversa da quella di Google. “Inizialmente – spiegano – pensiamo di usarla per aiutare persone anziane a percorrere tragitti prefissati, per esempio quelli casa-ospedale o casa-negozi”. Poi, quando il parco di macchine autonome circolante sarà più cospicuo, si potrà pensare a forme di gestione del traffico da remoto.
Naturalmente, perché tutto questo funzioni occorrono due cose: che la connettività sia onnipresente e che si svolga su canali protetti. “Un modo per riassumere tutto ciò – dice il manager americano – è quello che noi chiamiamo E3E (everybody, everywhere, everytime), connettere tutti, sempre, in ogni luogo. Sembra facile, ma non lo è. Se si è un tunnel, o nel sotterraneo di un palazzo, come fare a non perdere la connessione?”. Il governo perciò sta lavorando con alcune grandi telco per capire come “muovere” i dati, passando da un punto all’altro, senza perdere il segnale.
Anche la cittadinanza è stata coinvolta nella sperimentazione, tramite il progetto My Connection a cui hanno partecipato migliaia di persone, volto a conoscere le aree di connettività scoperte, oppure troppo congestionate. In tre mesi sono stati raccolti 50 milioni di datapoint (osservazioni).
Per quanto riguarda la connettività, il governo sta lavorando a una propria rete ad alta velocità, che verrà data in gestione a un privato, ma il cui controllo e monitoraggio resterà in mano statale. Si pensa così di ridurre al massimo il rischio di intrusioni indesiderate e il contrabbando di dati.
In al massimo un decennio, Singapore vuole essere pronta per le sfide che la attendono.
“Siamo a un punto di svolta – ha raccontato a Singapore Simon Giles, a capo del progetto Intelligent Cities Strategy di Accenture – Fino agli anni ’90 il panorama era dominato dalle grandi società tecnologiche che volevano piazzare i loro prodotti.È solo dall’ultimo anno e mezzo che vediamo davvero un’adozione su larga scala. Specie a Singapore, Qatar, Dubai, città-stato che hanno le competenze e le risorse per dettare l’agenda. Poi ci sono tutti gli altri”.