Transparency International (Ong che ha per scopo la prevenzione e il contrasto alle diverse forme di corruzione) ha monitorato in più Stati, tra i quali l’Italia, il grado di cultura, diffusione e implementazione del whistleblowing e i relativi sistemi di protezione.
All’epoca del rapporto (2009), non erano da noi ancora vigenti specifiche e organiche disposizioni in materia: i whistleblower beneficiavano di una tutela incompleta e soprattutto indiretta, in particolare nel settore pubblico, offerta da norme volte a tutelare altri interessi giuridici. Ci si riferisce, ad esempio, agli articoli 361 e 362 cp (delitti contro l’attività giudiziaria), che colpiscono la condotta del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio che omettano o ritardino di denunciare all’autorità giudiziaria (o a un’altra autorità che a quella abbia obbligo di riferirne) un reato di cui abbiano avuto notizia nell’esercizio o a causa delle sue funzioni (o nell’esercizio o a causa del servizio), ai sensi dell’articolo 331 del codice di procedura penale. La norma, pertanto, prende in esame solo fatti costituenti reato e si applica esclusivamente a coloro che rivestano la qualifica di “pubblico ufficiale”, di cui all’articolo 357 cp, o di “incaricato di pubblico servizio”, di cui al successivo articolo 358, senza un riferimento generico alla figura del pubblico dipendente.
Esistevano poi disposizioni specifiche in tema di trasparenza, destinate a favorire la libera circolazione delle informazioni all’interno delle Pa (oltre alla legge 241/1990, sul procedimento amministrativo e sul diritto di accesso, valga come esempio il precedente codice di comportamento dei dipendenti pubblici, Dpcm 28/11/2000, provvedimento non vincolante, che prevedeva semplicemente che il dipendente si impegnasse a evitare situazioni e comportamenti che potessero nuocere agli interessi o all’immagine della pubblica amministrazione), e di accountability, a beneficio di tutte le categorie di stakeholder delle funzioni di pubblica amministrazione.
L’indagine ha fatto emergere che il whistleblowing risultava menzionato soltanto nei Codici etici delle aziende che avevano attivato lo strumento di prevenzione della responsabilità amministrativa degli enti (Dlgs 231/2001). Tale provvedimento governativo era stato delegato dalla legge 300/2000, di ratifica ed esecuzione di tutta una serie di accordi tra Stati, per lo più in tema di corruzione.
Le vigenti disposizioni normative nazionali tuttora non garantiscono ai lavoratori privati che segnalano illeciti una efficace tutela contro forme di ritorsione come il demansionamento, il trasferimento, la mancata promozione, il mobbing; al contrario, per il settore pubblico, l’articolo 1, comma 51, della legge 190/2012 ha introdotto una apposita disposizione a protezione del dipendente contro le ritorsioni derivanti da segnalazione di illeciti che dallo stesso provengano.
Imprese private e dipendente che segnala violazioni
Le principali disposizioni per le società private sono rappresentate dal menzionato Dlgs 231/2001 sulla responsabilità delle persone giuridiche e dal Dlgs 81/2008 sulla sicurezza sul lavoro. Il primo prevede una procedura in base alla quale un flusso di reportistica interna, avente a oggetto le segnalazioni di determinate categorie di reati (cosiddetti “presupposto”), viene destinato a un organo interno (l’organismo di vigilanza), investito di una serie di competenze nel perseguimento della correttezza e dell’efficienza aziendali. Il secondo decreto delegato, diversamente, promuove la segnalazione di pericoli per la sicurezza dei dipendenti sul luogo di lavoro: ad esempio, l’articolo 19, comma 1, lettera f, per preposti alla sicurezza, e l’articolo 20, comma 2, lettera e, per lavoratori, prescrivono la segnalazione alla linea gerarchica di eventuali deficienze e condizioni di pericolo riscontrate.
Società ed enti privati possono comunque istituire autonome procedure interne per il whistleblowing, destinate ad esempio allo stesso organismo di vigilanza o al responsabile della funzione audit.
L’esigenza di una norma dedicata al dipendente pubblico
Più in generale, nella propria analisi, Transparency International individua le cause della ridotta diffusione in Italia dello strumento del whistleblowing in ragioni per lo più culturali. Infatti, la segnalazione di comportamenti altrui è spesso considerata come una forma di denuncia o di delazione, in questo attribuendo al concetto una connotazione negativa, legata allo spionaggio durante la seconda guerra mondiale. In Italia perdurerebbe quindi una “cultura del silenzio”, che drasticamente ridimensionerebbe all’interno delle organizzazioni lavorative il numero delle denunce, alle quali sembrerebbe purtroppo preferita la segnalazione anonima.
Come la stessa Agenzia delle Entrate ha avuto modo di rimarcare, le segnalazioni provenienti dai dipendenti rappresentano un utile, anzi, indispensabile strumento di contrasto dei fenomeni corruttivi e di cattiva amministrazione che possono svilupparsi all’interno dell’Agenzia. Tali segnalazioni costituiscono un momento di effettiva realizzazione del senso civico del dipendente, piuttosto che il mero adempimento di un obbligo giuridico. Questa considerazione vale in termini generali per ogni amministrazione pubblica, dove l’evento corruttivo, inteso come qualcosa che va oltre il mercimonio della pubblica funzione attinto dallo Statuto penale della Pa, concorre a una endemica situazione di inefficacia e inefficienza dell’azione amministrativa.
Il particolare regime di tutela non consente pertanto di assimilare a un “delatore” il dipendente, il quale invece assurge a spontaneo e prezioso collaboratore nell’attività di contrasto dei fenomeni corruttivi che, se non intercettati tempestivamente, possono provocare gravi danni alla collettività e all’immagine dell’Istituzione.
Senza ulteriormente affrontare il lungo dibattito che da sempre, nel nostro costume, ha accompagnato il rapporto tra senso civico e segnalazione, da un lato, e anonima delazione, spesso preferita alla prima, dall’altro, appare opportuno ora analizzare il quadro normativo applicabile al settore pubblico. Questo, spesso a torto considerato come lento nel recepire le spinte in avanti della società, risulta oggi più evoluto rispetto al mondo dell’impresa privata proprio nel campo della tutela del whistleblower.