socialIn cima a tutte vi è l’imposta sui redditi delle persone fisiche con ben 448 progetti per riformarla, o riscriverla del tutto.

 

La riforma del testo unico delle imposte federali statunitensi inizia a correre. Il Comitato ad hoc che se ne occupa, costituito da senatori e deputati sia democratici che repubblicani, ha infatti pubblicato di recente l’elenco delle 1.400 proposte che i contribuenti, singoli individui, gruppi organizzati, aziende, studi specializzati e lobbysti hanno trasmesso ai 5 distinti gruppi di lavoro suggerendo cosa cambiare e come attuare le modifiche.

 

L’imposta sui redditi delle persone fisiche la più criticata – In cima alle proposte di modifica, è l’imposta sui redditi delle persone fisiche a farla da padrone. Sono infatti ben 448 i progetti per riformarla, o riscriverla, alcuni anche per cancellarla definitivamente, pervenuti al gruppo di lavoro che se ne occupa. Al secondo posto le norme che interessano la tassazione che corre su di un piano internazionale, 347 i suggerimenti. In questo caso, la normativa sul Facta e la tassazione legata alla cittadinanza sono i due punti critici. Più indietro l’imposta sui profitti, 332 le raccomandazioni ricevute, e la normativa relativa allo sviluppo e alle infrastrutture, con 207 piani di modifica, mentre in coda chiude l’archivio progettuale dei contribuenti la fiscalità applicata a investimenti e pensioni, con 128 segnalazioni.

 

I cahiers de doléances fiscali dei contribuenti statunitensi – Naturalmente, all’interno delle proposte su come modificare e ridisegnare il sistema fiscale federale statunitense, abbondano gli spunti critici che, come riconoscono i Senatori e i Deputati membri del Comitato impegnato nella riforma del fisco, non sono affatto fuori luogo ma, spesso, ben motivati. Innanzitutto, in molti si dichiarano contrari a un regime fiscale che sembra premiare la ricchezza, per esempio tassando con aliquote basse dividendi, capital gains e rendite, mentre sul versante opposto tassa in modo piuttosto netto e grossolano stipendi e salari. Il secondo punto, da molti ripetuto, è la eccessiva complessità d’un testo, spesso disarmonico, di più di 76mila pagine. Come è possibile orientarsi in un simile labirinto per un contribuente normale, medio e di media preparazione? Semplice, criticano i molti, pagando migliaia di euro l’anno in apposite consulenze. E così, continuano i proponenti le modifiche, ogni anno quasi 200miliardi di dollari sono indirizzati sul capitolo della tax compliance, mentre più di 6 miliardi di ore le si dedicano alle pagine delle istruzioni, dei moduli e dei testi normativi. E’ troppo, è quindi urgente semplificare. E fin qui sono tutti d’accordo. Ma è sul come che si intrecciano e intercalano profonde divisioni. C’è infatti chi propone l’introduzione d’una aliquota progressiva anche per i profitti, chi invece li vorrebbe azzerare sulle aziende manifatturiere mantenendola solo sulle società finanziarie e quotate. E c’è anche chi propone di innalzare a 25 mila dollari la zero-tax area. Tante le idee che, insieme, fanno ben comprendere come sia oramai scaduto il tempo per il regime fiscale federale attuale e sia invece impellente una sua modifica profonda.

 

La rabbia sull’offshore – La sorpresa che si deduce dalla lettura delle varie e variegate proposte è originata da un profondo sentimento di rivalsa, misto a rabbia, che molti contribuenti statunitensi sembrano condividere nei confronti di chi elude il fisco, in particolare di coloro che lo fanno utilizzando giurisdizioni offshore. La perdita netta per l’erario federale è di 161miliardi di dollari l’anno, si tratta di una stima minima. Una somma che per molti potrebbe essere subito reimpiegata per finanziare lo studio e i servizi sociali a vantaggio degli esclusi. Ora la parola, anzi, la penna passerà ai membri del Comitato che, entro luglio, dovranno presentare una prima bozza su come il fisco Usa sarà rifondato, o almeno riformato.