corte, mediaLa vicenda processuale, al centro del contenzioso comunitario, ha come protagonista una compagine sociale, facente parte di un gruppo di società, soggetta all’Iva in Ungheria. Il gruppo di società comprende anche una società stabilità nel Regno Unito, registrata come soggetto passivo sia nel Regno Unito sia in Ungheria. Altro membro del gruppo è una società stabilità in Belgio e iscritta in Ungheria presso il registro dell’Iva, che si occupa della commercializzazione dei prodotti del gruppo in Europa.

 

Dalle materie prime ai prodotti finiti

La società soggetta all’Iva in Ungheria presta servizi di subappalto in detto Stato, su ordine e per conto della società stabilita nel Regno Unito. Quest’ultima società acquista le materie prime e gli elementi necessari per la fabbricazione dei beni finiti, ovvero telecomandi che fanno parte di apparecchiature elettroniche, mentre la società ungherese realizza soltanto operazioni di assemblaggio di detti telecomandi.

 

Dopo l’assemblaggio, i beni finiti sono rimasti nei locali della società ungherese, mentre il destinatario delle prestazioni di servizi li ha venduti alla società stabilita in Belgio, che li ha poi rivenduti ad acquirenti stabiliti in altri Stati membri o in paesi terzi. La società ungherese è stata incaricata dalla società stabilita nel Regno Unito di fornire detti beni a tali acquirenti.

 

Le modalità di fatturazione

Le fatture redatte in occasione delle descritte vendite sono state predisposte dalla consociata del Regno Unito a nome dell’acquirente dei beni finiti, vale a dire la consociata belga, ma questi ultimi erano spediti direttamente agli acquirenti finali, situati all’interno dell’Unione europea o in un Paese terzo, a cui la consociata belga aveva rivenduto detti beni. In ciascun caso, i beni finiti hanno lasciato il territorio ungherese e non sono mai giunti nel Regno Unito.

 

La consociata ungherese ha fatturato la fabbricazione dei beni finiti alla consociata del Regno Unito, in esenzione di imposta, con l’indicazione “fuori dall’ambito di applicazione territoriale dell’Iva”, menzionando il numero di identificazione Iva britannico della società stabilita nel Regno Unito.

 

Le origini del contenzioso

Di contrario avviso si mostravano sia l’autorità tributaria di primo grado che quella di secondo grado, le quali, nel ritenere imponibili Iva le operazioni, consideravano che il luogo delle prestazioni di servizi di subappalto di cui trattasi fosse il luogo di esecuzione materiale di tali prestazioni, vale a dire l’Ungheria. Analogo contenzioso scaturiva dagli accertamenti effettuati per i successivi periodi di imposta.

 

Le questioni pregiudiziali

La vertenza finiva innanzi al Tribunale amministrativo e del lavoro di Gyula che, sospeso il procedimento, sottoponeva alla Corte cinque questioni pregiudiziali, così sintetizzabili:

 

  • se l’articolo 55 della direttiva Iva si riferisca unicamente ai soggetti passivi destinatari di una prestazione di servizi che non abbiano o non siano tenuti ad avere un numero di identificazione ai fini dell’Iva nello Stato membro del luogo in cui i servizi sono materialmente resi;

 

  • in caso positivo, se, ai fini della determinazione del luogo di esecuzione dei servizi, sia applicabile esclusivamente l’articolo 52 della direttiva Iva;

 

  • in caso negativo, se l’articolo 55 della direttiva Iva debba essere interpretato nel senso che, quando il soggetto passivo destinatario di servizi di subappalto dispone o dovrebbe disporre di un numero di identificazione ai fini dell’Iva in più di uno Stato membro, spetti esclusivamente al suddetto destinatario determinare il numero di identificazione fiscale con il quale ricevere la prestazione di servizi;

 

  • nel caso in cui si risponda alla terza questione che il potere decisionale del destinatario della prestazione di servizi sia illimitato, come si determina il luogo di esecuzione dei servizi ex articolo 55;

 

  • nel caso in cui il potere decisionale del destinatario della prestazione di servizi non sia illimitato, se influiscano sull’applicabilità dell’articolo 55 della direttiva Iva alcune peculiari circostanze.

 

Le motivazioni

Gli eurogiudici trattano congiuntamente le cinque articolate questioni pregiudiziali. La Corte ricorda che l’articolo 55 direttiva Iva è disposizione volta a stabilire una suddivisione razionale delle rispettive sfere di applicazione delle normative nazionali in materia di Iva, determinando in modo uniforme il luogo di collegamento fiscale delle prestazioni di servizi.

 

In questo senso, la regola generale del luogo di collegamento fiscale delle prestazioni di servizi, aventi ad oggetto lavori relativi a beni mobili materiali, è stabilita all’articolo 52, lettera c), della direttiva Iva, a termini del quale il luogo di tali prestazioni di servizi è il luogo in cui tali prestazioni sono materialmente eseguite.

 

L’articolo 55 della direttiva Iva – continuano i togati comunitari – dispone una deroga, che si applica soltanto qualora siano soddisfatte due condizioni cumulative:

  • il destinatario delle prestazioni deve essere “identificato ai fini dell’Iva” in uno Stato membro diverso da quello sul territorio del quale tali prestazioni sono materialmente eseguite;

 

  • i beni devono essere spediti o trasportati fuori dallo Stato membro di esecuzione materiale delle prestazioni.

 

Di conseguenza, affinché sia applicabile l’articolo 55 della direttiva Iva, il trasporto o la spedizione dei beni deve essere effettuato nell’ambito dell’operazione relativa ai lavori relativi a tali beni, prima della realizzazione, eventualmente, di un’altra operazione riguardante tali beni assoggettata ad Iva.

 

Nel caso di specie, invece, dopo il loro assemblaggio, i beni finiti di cui trattasi rimanevano in Ungheria e venivano trasportati fuori da tale Stato membro solo successivamente alle operazioni consistenti nella vendita e nella rivendita di tali beni.

 

Ne consegue che, nell’ambito delle prestazioni di servizi di cui trattasi nel procedimento principale, non vi è stato trasporto o spedizione dei beni fuori dallo Stato membro di esecuzione materiale di tali prestazioni.

 

La condizione relativa al trasporto e alla spedizione dei beni prevista all’articolo 55 della direttiva Iva non è, dunque, soddisfatta.

 

Pertanto, il luogo di collegamento fiscale di tali prestazioni deve essere determinato in applicazione dell’articolo 52, lettera c), di detta direttiva, secondo cui tale luogo è quello dello Stato membro della loro esecuzione materiale, nella fattispecie l’Ungheria.
 

Peraltro, conclude la Corte, per quanto riguarda la prima condizione prevista per l’applicazione dell’articolo 55 della direttiva Iva, che il fatto che, durante il periodo delle prestazioni di servizi di cui trattasi, il destinatario di tali prestazioni fosse identificato ai fini Iva sia in Ungheria sia nel Regno Unito, poi unicamente in tale ultimo Stato membro, non ha alcuna incidenza sulla soluzione della controversia pendente dinanzi al giudice del rinvio, poiché, nell’ambito di tali prestazioni di servizi, i beni non erano stati trasportati o spediti fuori dall’Ungheria.

 

Le conclusioni dei giudici comunitari

L’articolo 55 della direttiva Iva deve essere interpretato nel senso che non si applica in circostanze come quelle di cui trattasi nel procedimento principale, in cui il destinatario delle prestazioni di servizi era identificato ai fini dell’imposta sul valore aggiunto al contempo nello Stato membro in cui le prestazioni sono state materialmente eseguite e in un altro Stato membro, poi unicamente in tale altro Stato membro, e in cui i beni mobili materiali cui tali prestazioni erano afferenti sono stati spediti o trasportati fuori dallo Stato membro in cui le prestazioni di servizi sono state materialmente eseguite non in esito a tali prestazioni, ma in seguito alla vendita successiva di tali beni.