L’ANAC ha predisposto, e reso pubblico in modalità di consultazione (le osservazioni devono essere inviate entro il 15 aprile 2015), un importante documento relativo alla questione, decisamente complessa, riguardante l’applicazione della disciplina anticorruzione e trasparenza agli enti di diritto privato, tra cui le società, controllate e partecipate dalle pubbliche amministrazioni (suggerendo anche soluzioni diverse dal PNA).
Molti e diversificati gli spunti di estremo interesse: come l’obbligo di individuare un soggetto interno quale responsabile anticorruzione, il termine del 31 gennaio 2016 per l’adeguamento, l’estensione dell’applicazione degli obblighi anche alle fondazioni e associazioni, il superamento della logica del controllo “solitario” (ex 2359 c.c.) per individuare il perimetro soggettivo.
Nel documento, però, si riscontra anche la conferma delle criticità che caratterizzano gli operatori nel dare attuazione a tale assetto che si è consolidato nel biennio 2012/2013: si parla, infatti, di “quadro normativo già di per sé particolarmente complesso il cui ambito soggettivo di applicazione ha dato luogo a numerose incertezze interpretative”, di “disorganicità delle disposizioni delle legge n. 190 del 2012 e dei decreti delegati che si riferiscono a detti enti e società” e di mancata considerazione “delle esigenze di differenziazione in relazione ai soggetti, pubblici e privati a cui si applica”. Senza dimenticare che già nel corso del 2014 (con la L. 114/2014) la normativa in questione, soprattutto sul fronte della “trasparenza”, ha subito alcune significative modifiche.
Con riferimento dalle società, è evidenziato che la logica del “controllo” non opera, tra le varie ipotesi previste dall’art. 2359 del codice civile, per la fattispecie legata ai particolari vincoli contrattuali, che non è ritenuta idonea a configurare un adeguato potere di indirizzo.
Inoltre, secondo quanto anticipato e sempre nella prospettiva di individuare il perimetro soggettivo, è sottolineato (superando così una logica di controllo solitario) come il “controllo” che determina l’assoggettamento a tale disciplina può realizzarsi in presenza di una partecipazione frazionata di più amministrazioni pubbliche che, congiuntamente, raggiungono le soglie previste.
Tali realtà devono così predisporre un piano di prevenzione della corruzione che può essere integrato con il “modello 231” (che pure presenta finalità distinte), seppure con due diverse sezioni, oppure redatto in modo completamente separato, con l’obiettivo di dare diversa evidenza ai rispettivi contenuti (analoga disciplina è prevista per i cd. “enti pubblici economici”).
Il piano, in particolare, dovrebbe essere predisposto dal responsabile della prevenzione della corruzione (in stretto coordinamento con l’organismo di vigilanza) e adottato dall’organo di indirizzo della società, normalmente individuato in corrispondenza del consiglio di amministrazione (esplicitamente è affermato che non può essere predisposto da soggetti esterni).
Nel caso di società indirettamente controllate, poi, è la capogruppo che deve garantire che le stesse adottino il piano in coerenza con quello della capogruppo, essendo possibile soltanto in casi marginali che il responsabile della prevenzione della capogruppo rediga il piano e vigili sull’attuazione.
Rispetto ai contenuti, poi, è chiarito che il piano dovrebbe occuparsi di individuare e gestire le aree di rischio (sulla base di un’attenta e concreta analisi del contesto), di valutare l’adeguatezza del sistema dei controlli interni di cui al D.Lgs. 231/2001, di adottare un codice di comportamento, di definire della misure e delle iniziative per la trasparenza (una sezione dovrebbe riguardare, appunto, il “programma per la trasparenza”), di stabilire le modalità di verifica delle eventuali inconferibilità ed incompatibilità degli incarichi, di individuare le necessarie iniziative di formazione e di introdurre adeguate tutele per i dipendenti che segnalano illeciti nonché di avviare percorsi di rotazione tra le figure maggiormente “esposte”.
Cruciale, in tale quadro, si presenta il ruolo del responsabile della prevenzione della corruzione, la cui obbligatoria nomina dovrebbe essere prevista anche dallo Statuto (al quale, eventualmente, devono essere introdotte apposite modifiche).
Egli, infatti, deve redigere il piano, deve essere dotato di riconosciuti poteri di vigilanza nell’attuazione effettiva delle misure nonché di proposta delle integrazioni e delle modifiche ritenute maggiormente opportune, essendo nominato dall’organo sociale di indirizzo (gli atti di revoca, oltre ad essere motivati, devono essere trasmessi all’ANAC).
Secondo il documento (in modo parzialmente difforme da quanto stabilità dal Piano Nazionale Anticorruzione), tra l’altro, tali funzioni dovrebbero essere affidate ad uno dei dirigenti della società (previa valutazione degli eventuali conflitti di interesse), non potendo essere attribuite a soggetti esterni come l’organismo di vigilanza, preferibilmente assegnandole al membro interno dell’organismo di vigilanza.
Le indicazioni fornite sono certamente rilevanti e, per certi versi, si discostano sia dalla prassi applicativa che si è formata fino ad ora sia dai contenuti del piano nazionale anticorruzione. Ecco perché è conclusivamente definita una disciplina transitoria differenziata per l’“anticorruzione” e per la “trasparenza”, ovviamente in funzione dei diversi obblighi a cui sono tenute le diverse fattispecie: nel primo caso, infatti, il termine di adeguamento (per redazione del piano e nomina del responsabile) è fissato al 31 gennaio 2016, mentre nel secondo caso al 31 dicembre 2015.