Dopo le frane e le alluvioni che nei giorni scorsi hanno colpito buona parte del Veneto, ancora una volta siamo stati costretti a chiedere aiuto al Governo centrale affinché ci trasferisca le risorse necessarie per affrontare questa ennesima emergenza.
Le cause che hanno messo in ginocchio le province di Venezia, Vicenza, Padova, Treviso e Belluno sono note a tutti: le precipitazioni sono state eccezionali; l’assenza delle grandi opere idrauliche rende il nostro territorio fragile e sempre più a rischio; la cementificazione selvaggia avvenuta in questi ultimi decenni ha indebolito la tenuta idrogeologica della pianura veneta; gli interventi di manutenzione e di consolidamento degli argini dei corsi d’acqua minori sono ridotti al lumicino perché non ci sono i soldi.
Dire che dall’alluvione del 2010 ad oggi non è stato fatto nulla sarebbe ingiusto, tuttavia non siamo in grado di prevenire e mettere definitivamente in sicurezza il nostro territorio anche perché mancano i finanziamenti. In realtà non è vero che i soldi non ci sono. E’ bene che i veneti sappiano, soprattutto quelli che in questi giorni sono finiti sott’acqua, che le cose non stanno così.
Chi sostiene che queste calamità accadono perché non ci sono le risorse finanziarie disponibili per la tutela e la manutenzione del territorio dice una bugia, visto che gli italiani versano circa 44 miliardi di euro all’anno allo Stato e agli Enti locali a seguito dell’applicazione delle imposte ambientali, di cui il 99% finisce, purtroppo, a coprire altre voci di spesa. Insomma, i soldi ci sono, peccato che ormai da quasi un ventennio vengano utilizzati per fare altre cose.
Ripeto: a fronte di quasi 44 miliardi di euro di gettito incassati ogni anno dall’applicazione delle cosiddette imposte “ecologiche” sull’ energia, sui trasporti e sulle attività inquinanti, solo 448 milioni di euro finanziano le spese per la protezione ambientale.
Stimo, in maniera molto “spannometrica”, che di questi 44 miliardi almeno 3/4 miliardi siano pagati dai veneti. Insomma, tutta quella sequenza di imposte spesso sconosciute che paghiamo quando facciamo il pieno alla nostra autovettura, quando paghiamo la bolletta della luce o del gas/metano, il bollo dell’auto o l’assicurazione della nostra auto, non vanno a sostenere le attività di salvaguardia ambientale per le quali sono state introdotte, ma finiscono nel calderone della spesa pubblica.
La selva di tasse e imposte verdi che paghiamo ogni giorno è lunghissima e a costo di essere pedante voglio comunque elencarle tutte. Sull’energia gravano la sovrimposta di confine sul GPL, la sovrimposta di confine sugli oli minerali, l’imposta sugli oli minerali e i derivati, l’imposta sui gas incondensabili, l’imposta sull’energia elettrica, l’imposta sul gas metano e l’imposta sui consumi di carbone. Nel settore dei trasporti paghiamo il Pubblico registro automobilistico (PRA), l’imposta sulle assicurazioni Rc auto, le tasse automobilistiche a carico delle imprese e quelle a carico delle famiglie. Infine, nel settore delle attività inquinanti versiamo un tributo speciale per discarica, la tassa sulle emissioni di anidride solforosa e di ossidi di zolfo, il tributo provinciale per la tutela ambientale e l’imposta regionale sulle emissioni sonore degli aeromobili.
FONTE: CGIA Mestre