Bortolussi: “In questi ultimi anni abbiamo assistito ad una ridda di sigle. Dopo la Service tax, l’Isi, la Trise, la Tuc, e infine di Iuc, che attualmente include la Tasi, l’Imu e la Tari, speriamo che con la Local tax gli esperimenti siano finiti”
Secondo i calcoli effettuati dall’Ufficio studi della CGIA, dal 2016 la Local tax – che sostituirà l’Imu e la Tasi – assorbirà il 65 per cento circa delle entrate tributarie comunali. Tra le grandi città italiane l’incidenza dovrebbe attestarsi al 69 per cento a Milano, al 66 per cento a Roma, al 57 per cento a Bologna e al 52 per cento a Firenze, Genova e Torino. Abbondantemente al di sotto della media nazionale i risultati emersi a Perugia (47 per cento), a Palermo (45 per cento), a Reggio Calabria (38 per cento) a Venezia (36 per cento) e a Napoli (33 per cento).
Nel calcolare queste incidenze non si è considerato il gettito dell’addizionale comunale Irpef che dovrebbe confluire nelle casse statali in cambio del gettito Imu degli immobili di categoria D (tassati ad aliquota base del 7,6 per mille). Imposta, quest’ultima, attualmente incassata dall’Erario.
Non stupisca il fatto che in alcune città emergono percentuali ben inferiori al dato medio nazionale. Questo dipende dalla presenza – in fase di transizione – di numerose voci collegate al recupero di gettito di tributi ormai soppressi, ma che figurano ancora tra le entrate. A regime, infatti, l’incidenza dovrebbe aumentare anche in questi casi sino a portarsi a un valore attorno al 60 per cento.
Per capire il peso della Local tax sono stati analizzati i bilanci dei principali Comuni capoluoghi di regione: dopo aver stimato il gettito delle due imposte che sostituiranno il nuovo tributo è stata calcolata l’incidenza di quest’ultimo sulle entrate tributarie complessive riferite al 2014.
“Oltre all’imponente sforzo economico che i proprietari degli immobili sono chiamati a sostenere – esordisce il segretario della CGIA Giuseppe Bortolussi – gli italiani sono costretti a farsi carico di un costo addizionale per espletare tutte le operazioni di pagamento che non ha eguali in Europa”.
Secondo i dati della Banca Mondiale, infatti, per onorare le tasse nel nostro Paese sono necessarie 269 ore all’anno, pari a 33 giorni lavorativi. Nell’area dell’euro solo il Portogallo registra una situazione peggiore della nostra.
“Pertanto – prosegue Bortolussi – ridurre il numero di tributi che grava sulla casa è un provvedimento che va nella direzione giusta, ma non basta. E’ ancor più indispensabile tagliare drasticamente e in misura strutturale il peso fiscale che preme sugli immobili. Ricordo che tra il 2010 e il 2014 la tassazione sulla casa è quasi raddoppiata, mentre il valore economico delle abitazioni è mediamente sceso di oltre il 16 per cento. Due fenomeni di segno opposto che hanno contribuito a ridurre la ricchezza degli italiani”.
Prendendo come riferimento i dati medi nazionali, infatti, l’Ufficio studi della CGIA ha potuto constatare che in un’abitazione di tipo civile (categoria catastale A2) tra il 2010 e il 2014 il valore di mercato è sceso del 16,4 per cento (da quasi 200.000 a poco meno di 170.000 euro), mentre le imposte ordinarie (cioè quelle generalmente versate da tutti i proprietari, come i rifiuti e la Tasi) sono aumentate del 86 per cento (da 300 a 560 euro). Pertanto, l’incidenza delle imposte sul valore dell’abitazione è passata dall’1,5 per mille al 3,3 per mille. Ciò vuol dire che l’incremento è stato del 119 per cento.
Dalla CGIA segnalano che le principali imposte comunali attualmente in vigore sono: l’Imu, la Tasi e la Tari che tutte assieme formano la Iuc (Imposta unica comunale). Dopodichè ci sono l’addizionale comunale IRPEF, l’Imposta di scopo, l’Imposta di soggiorno, l’lmposta sulla pubblicità e i diritti sulle pubbliche affissioni, nonché la tassa/canone sull’occupazione di spazi pubblici.
Il processo di semplificazione della normativa fiscale sugli immobili è comunque in corso da qualche anno: i risultati, purtroppo, sono stati deludenti, per non parlare del caos terminologico che si è sviluppato.
“La ridda di sigle che abbiamo assistito è stata addirittura imbarazzante. Inizialmente – conclude Bortolussi – si parlava di Service tax, poi di Isi, Imposta per i servizi indivisibili, successivamente di Trise, di Tuc, e infine di Iuc, che attualmente include la Tasi, l’Imu e la Tari. In attesa della Local tax, non ci rimane che incrociare le dita e sperare che gli esperimenti e il dilettantismo di coloro che li hanno compiuti siano finalmente terminati.”