Per colpa della lentezza della burocrazia, i dipendenti delle piccole aziende dovranno pazientare almeno un altro mese per vedere in busta paga l’anticipo del Trattamento di fine rapporto. Quelli della PA, invece, rimarranno ancora a bocca asciutta, perché lo Stato non ha mai versato quei contributi, se non a titolo figurativo. Non a caso, la Corte di Conti ha certificato un “buco” di 23 miliardi di euro, che l’Inps ha ereditato dall’Inpdap, per il mancato pagamento mensile dei contributi dei dipendenti pubblici. Che si vedono così oggi assegnare la prima tranche del trattamento di fine rapporto solo dopo due anni dall’entrata in pensionamento. E il resto solo alla fine del terzo anno da quando hanno lasciato il lavoro.
Marcello Pacifico (Anief-Confedir): non si comprende perché lo Stato debba far attendere così tanto tempo per corrispondere ai suoi lavoratori quanto loro spettante. La risposta non può che risiedere nelle enormi difficoltà economiche in cui versa l’ente di previdenza sociale. Che però non possono ricadere su chi per decenni ha fatto il suo dovere e versato quote non indifferenti allo Stato, che ora fa tornare indietro gli importi dovuti con una lentezza insopportabile.
I dipendenti privati delle piccole aziende interessati ad avere in busta paga l’anticipo del Tfr, il Trattamento di fine rapporto, dovranno aspettare un altro mese. Anche se la Legge di Stabilità prevedeva che i lavoratori interessati alla liquidazione del Tfr in busta paga avrebbero potuto godere di questa opportunità dal 1° gennaio scorso, la lentezza della burocrazia e dell’iter che ha portato alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale soli tre giorni fa del decreto predisposto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, fanno slittare la sua attuazione di almeno altri trenta giorni.
I dipendenti pubblici, invece, non potranno accedere a questa opportunità: l’attuale Governo ha infatti deciso di escludere i dipendenti pubblici dal piano di anticipo mensile in busta paga del pagamento del Trattamento di fine rapporto, una sorta di quattordicesima. Tale decisione, per Anief, non è casuale: il sindacato, infatti, ribadisce che sia dovuta al fatto che lo Stato non ha mai versato quei contributi, se non a titolo figurativo. Per questo la Corte di Conti ha certificato un “buco” di 23 miliardi di euro, che l’Inps ha ereditato dall’Inpdap, per il mancato pagamento mensile dei contributi dei dipendenti pubblici. Il deficit è tale da porre ad alto rischio le future pensioni di centinaia di migliaia di lavoratori pubblici. Ad iniziare da quelle dei precari, a seguito del mancato pagamento dei contributi pensionistici da parte dello Stato nei confronti dei suoi dipendenti a tempo determinato.
È evidente che per realizzare queste operazioni di copertura servono soldi veri. Altrimenti si metteranno a rischio anche le attuali retribuzioni pensionistiche. Gli stessi soldi che lo Stato deve assegnare in luogo di quelli figurativi destinati alle liquidazioni dei suoi dipendenti: così come sono stanziati oggi è come se non ci fossero. La questione è davvero spinosa, perché anche se l’onerosa copertura dovesse arrivare, per gli statali la somministrazione graduale del Trattamento di fine rapporto non costituirebbe una buona opportunità: “sarebbe una decisione peggiorativa, perché si tratta di un risparmio derivante per l’80 per cento dai fondi pensionistici. Quello che nella scuola, ad esempio, si chiama ‘Fondo Espero’”, spiega Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir.
Ma per i dipendenti pubblici le beffe non finiscono qui. “Agganciando il Tfr allo stipendio, scatterebbe un’aliquota marginale, decisamente meno vantaggiosa per il lavoratore statale, che incorrerebbe in una tassazione decisamente più alta. Con il paradosso che lo Stato si ritroverebbe ad incentivare gli stipendi non solo a costo zero, ma incassando pure una percentuale di soldi non indifferente: si stima – dice ancora Pacifico – un vantaggio economico per l’erario che si avvicina al miliardo di euro”.
Anche in linea generale, proprio in questi giorni gli economisti della stampa specializzata hanno spiegato che “il Tfr in busta paga potrebbe rivelarsi un’arma a doppio taglio per i lavoratori a causa dell’elevata tassazione sugli importi. Il legislatore ha infatti deciso che l’anticipazione del trattamento di fine rapporto subirà la tassazione ordinaria e non quella separata. Pertanto, a un lavoratore dipendente, soprattutto se non più giovanissimo, converrà percepire il TFR al termine della carriera lavorativa”.
A rendere insopportabile la situazione è poi il fatto che lo Stato ha deciso di assegnare il Tfr agli statali con una tempistica assurda: un docente, ad esempio, si vede assegnare la prima metà del trattamento di fine rapporto solo dopo due anni da quando ha lasciato il lavoro. Ed il resto alla fine del terzo anno di pensionamento. “Francamente, dopo aver versato puntualmente la quota del Tfr ogni mese anche per 42 anni, non si comprende perché debba far attendere così tanto tempo per corrispondere ai suoi lavoratori quanto da loro dovuto”, tuona il sindacalista Anief-Confedir. “La risposta non può che risiedere nelle enormi difficoltà economiche in cui versa l’ente di previdenza sociale. Che però non possono ricadere su chi per decenni ha fatto il suo dovere e versato quote non indifferenti allo Stato, che ora fa tornare indietro con sempre più lentezza”.
Il giovane sindacato, pertanto rilancia l’invito ai dipendenti pubblici di non subire questa ingiustizia: Anief dà loro la possibilità di ricorrere contro l’interruzione della trattenuta illegittima in busta paga del 2,5% per il TFR, come del resto già da tempo previsto con il D.P.C.M. del 20 dicembre 1999, finalizzato alla restituzione delle somme indebitamente prelevate e dell’accredito figurativo dell’intero trattamento fine rapporto, assieme agli accessori interessi di legge, nonché per l’accertamento del credito del 2,69% per il 2011/2012 utile a costituire il TFS mancante nel periodo provvisorio di transito di tale personale in regime di TFR per effetto della legge 122/2010 dichiarata incostituzionale.
Viste le numerose richieste e considerato che il credito esigibile è soggetto ad una prescrizione decennale, Anief invita tutto il personale pubblico a ricorrere il prima possibile in tribunale.