processo avvocati funzionariSenza intesa vigono i parametri. Ma in caso di determinazione giudiziale della parcella, rappresentano soltanto una base di partenza su cui influiscono molteplici fattori.

 

Finita l’era delle tariffe professionali. Ora i compensi ai difensori, quando manca l’accordo con il cliente, vanno costruiti dal giudice partendo da specifici parametri “ministeriali” e graduati, tra l’altro, a seconda della fase processuale, della complessità della pratica, del pregio dell’attività prestata, dei risultati ottenuti.

 

Chi decide il compenso?

Cliente e difensore sono liberi di accordarsi sul compenso. Tuttavia, in assenza dell’accordo, la legge prevede che sia il giudice a stabilirlo, applicando i parametri. In ogni caso, la liquidazione giudiziale non è vincolata da quanto convenuto dalle parti, che rileva solo nei loro rapporti interni.

 

Dalle tariffe ai parametri ministeriali

Il “decreto liberalizzazioni” (Dl 1/2012) ha abrogato le tariffe professionali e il Dm 140/2012 ha introdotto il sistema parametrico e ha previsto tabelle per:
– avvocati (tabelle A-B)
– dottori commercialisti ed esperti contabili (tabella C).

 

Parametri per avvocati e funzionari pubblici

Successivamente, la legge professionale 247/2012 ha previsto parametri ad hoc per avvocati (attuale “Dm avvocati” 55/2014) e la loro emanazione, ogni due anni, con decreto ministeriale, su proposta del Consiglio nazionale forense.
Le modifiche alle disposizioni sul processo tributario (articolo 15, comma 2-bis, Dlgs 546/1992) hanno stabilito che quanto previsto per gli avvocati valesse anche per l’amministrazione, se assistita da funzionari, e per l’ente locale, se assistito da dipendenti, con la riduzione dell’importo del 20 per cento.
Il nuovo decreto per gli avvocati conferma:
– che i parametri si applicano se non vi è accordo tra avvocato e cliente
– la distinzione tra le attività stragiudiziali e giudiziali
– il principio della liquidazione per fasi.

 

Liquidazione giudiziale del compenso per gli avvocati 

Il “Dm avvocati” ha previsto due tabelle, la 23, per la Commissione tributaria provinciale, e la 24, per la Commissione tributaria regionale. All’interno delle stesse, vi è una suddivisione per fasi processuali e scaglioni di valore.
Per la determinazione del compenso, si prende come base di calcolo il valore medio dello scaglione di riferimento per ciascuna delle fasi, si indicano separatamente le spese sostenute e documentate dal difensore (anche per la parte pubblica, per esempio per notifiche degli atti effettuate dall’ufficiale giudiziario) e si aggiunge al totale il 15% a titolo di rimborso spese forfetarie.
In caso di vittoria sulle spese da parte dell’ufficio pubblico, l’ammontare complessivo, al netto delle spese sostenute e documentate, è ridotto del 20 per cento.

 

Valore della controversia

Il valore della controversia deve essere determinato in base all’intero importo oggetto di contestazione, comprese le sanzioni, con il limite di un quinquennio in caso di oneri poliennali.

 

Scaglioni

Le tabelle prevedono sei scaglioni:
– da 0,01 fino a 1.100 euro
– da 1.100,01 a 5.200 euro
– da 5.200,01 a 26.000 euro
– da 26.000,01 a 52.000 euro
– da 52.000,01 a 260.000 euro
– da 260.000,01 a 520.000 euro.

 

Per le cause di valore indeterminabile, lo scaglione è:

– da 26mila a 260mila euro
– fino a 520mila euro, se la controversia è di particolare importanza.

 

Per le controversie di valore superiore a 520mila euro, l’articolo 6 del “Dm avvocati” prevede un incremento progressivo della percentuale dei parametri.

 

Fasi

L’articolo 4, comma 5, individua, per le attività giudiziali, cinque fasi esemplificative: studio della controversia; introduttiva del giudizio; istruttoria; decisionale; esecutiva, distinta in due sottofasi, ma le attività ivi descritte non riguardano propriamente il processo tributario. In questo caso, il compenso per tale fase può spettare in ipotesi di giudizio di ottemperanza o qualora venga intrapresa la strada dell’esecuzione forzata civilistica delle sentenze delle Commissioni tributarie, in virtù dell’analogia prevista dall’articolo 3 dello stesso decreto.

 

Criteri

Gli articoli 4, 5 e 8 del Dm prevedono che il giudice possa graduare il compenso in base ad alcuni criteri generali:

 

 

    • caratteristiche, urgenza e pregio dell’attività prestata
    • importanza, della natura, della difficoltà e del valore dell’affare
    • condizioni soggettive del cliente
    • risultati conseguiti
    • complessità delle questioni giuridiche e di fatto trattate.

 

 

In applicazione di tali criteri, il giudice può aumentare il compenso fino all’80% o ridurlo fino al 50%; in particolare, per la fase istruttoria, l’aumento può arrivare al 100%, la riduzione al 70 per cento. Inoltre, il compenso è aumentato fino a un terzo se le difese della parte vittoriosa risultino manifestamente fondate, mentre quello dell’avvocato del soccombente è ridotto del 50% nei casi di condanna ai sensi dell’articolo 96 cpc o di inammissibilità, di improponibilità o di improcedibilità della domanda, ove concorrano gravi ed eccezionali ragioni indicate nella motivazione.

Quando più avvocati sono incaricati di una difesa, ciascuno ha diritto di pretendere dal cliente il compenso per l’opera effettivamente prestata. Tuttavia, nel caso di liquidazione a carico del soccombente, sono computati i compensi per un solo avvocato. L’adozione di condotte abusive, se di ostacolo alla definizione dei procedimenti, è elemento di valutazione negativa.

 

Conciliazione giudiziale

In presenza di conciliazione, l’articolo 4, comma 6, dello stesso Dm, stabilisce che il “compenso è di regola aumentato fino a un quarto rispetto a quello altrimenti liquidabile per la fase decisionale fermo quanto maturato per l’attività precedentemente svolta”. Tuttavia, la norma non si applica al processo tributario, nel quale il giudice procede all’estinzione del giudizio e alla compensazione di diritto delle spese (in base all’articolo 46, comma 3, del Dlgs 546/1992).

 

Nota spese

La nota spese costituisce semplice esposizione delle prestazioni svolte. La liquidazione, infatti, che prescinde dal deposito della nota (articolo 75, disposizione attuativa del cpc), viene effettuata dal giudice solo se la richiesta di condanna della controparte alle spese di lite è stata formulata nel corso del processo, nel ricorso (dal contribuente) e nelle controdeduzioni (dall’amministrazione finanziaria) o in appello, onde non incorrere nel vizio di ultrapetizione.

 

Liquidazione giudiziale del compenso per gli altri professionisti

L’articolo 28, comma 2, del decreto ministeriale 140/2012, stabilisce che “Il valore della pratica (…) è determinato, per ogni grado di giudizio, in funzione dell’importo complessivo delle imposte, tasse, contributi, sanzioni, interessi che sarebbero dovuti sulla base dell’atto impugnato o in contestazione oppure dei quali è richiesto il rimborso (…)”. Il compenso per dottori commercialisti ed esperti contabili è liquidato secondo la tabella C, riquadro 10.2, allegata al Dm140/2012. Quanto indicato si applica per via analogica agli altri professionisti.
A differenza degli avvocati, il compenso non comprende le spese da rimborsare, neanche forfetarie, né oneri e contributi (articolo 1, comma 2, Dm 140/2012).
Non sono indicate fasi specifiche, ma una percentuale tra l’1% e il 5%, commisurata al valore della pratica e quantificabile, ai sensi dell’articolo 17 del “Dm altri professionisti”, con riferimento a:

 

 

    • valore e natura della pratica
    • importanza, difficoltà, complessità della pratica
    • condizioni d’urgenza per l’espletamento dell’incarico
    • risultati e vantaggi, anche non economici, ottenuti dal cliente
    • impegno profuso anche in termini di tempo impiegato
    • pregio dell’opera prestata.

 

Attenzione alle controversie non concluse in mediazione tributaria

La parte soccombente è condannata a rimborsare, oltre alle spese di giudizio, il 50% delle stesse a titolo di rimborso “forfetario” dei costi del procedimento di mediazione, secondo quanto previsto a fini deflattivi dall’articolo 17-bis, comma 10, del Dlgs 546/1992. In questi casi, la compensazione delle spese è ammessa, parzialmente o per intero, solo se ricorrono giusti motivi che il giudice deve indicare in sentenza.
In ipotesi di compensazione, non può essere disposta la condanna al rimborso del 50% delle spese. Permane, in ogni caso, anche nei giudizi assoggettati al predetto articolo 17-bis la possibilità di condanna per lite temeraria.