E’ difficile applicare le norme del disegno di legge sulla riforma se prima non dà avvio ad un serio programma di valutazione dei dirigenti.
La pubblicazione del disegno di legge ha coinciso, in Veneto, col licenziamento a Treviso di un docente “per scarso rendimento”. Ed in molti hanno fatto i complimenti al preside. Nel frattempo, leggo sui giornali e in diversi siti le diverse prese di posizione, facilmente immaginabili.
Cerco, tra questi interventi, di capire se queste prese di posizione lasciano trasparire una attenta conoscenza della scuola reale, al di lá dei vecchi ideologismi. Ma è una impresa complicata.
Su una cosa sono d’accordo, per le tante, troppe critiche del ddl: ci vorrebbe un puntuale sistema di valutazione dei presidi, prima della applicazione del ddl.
Mi spiego.
Vorrei, per farmi capire, rigirare la questione. Partendo da uno degli assunti-base del metodo Lean, sulla qualità organizzativa e funzionale di un servizio agli utenti. Perché questo è il significato di “servizio pubblico”, cioè “servizio agli utenti”.
Che cosa dice questo metodo? Che è essenziale prevenire errori e disservizi. Non solo. Che tutti i lavoratori devono essere messi nelle condizioni di “fare bene le cose già dalla prima volta”. In altri termini, se uno sbaglia è il suo capo (un tempo i presidi erano chiamati “capi di istituto”) che si deve assumere per primo la responsabilità dell’errore, perché, appunto, non l’ha messo nelle condizioni di non sbagliare. Poi, ovviamente, ognuno dovrà mettere in campo le sue reali competenze. Ma è il suo responsabile che dovrebbe per primo rispondere del disservizio.
Sono i presidi oggi messi nelle condizioni di assumersi questa responsabilità? Ma anche i direttori generali nei confronti di quei presidi che si nascondono dietro a logiche minimaliste o ad atteggiamenti autoritari?
Qui, è evidente, si va al cuore della questione, pensando ai tanti errori dello Stato, con l’assunzione di migliaia di presidi e docenti con semplici sanatorie o concorsi riservati. Senza valutazioni di merito. Compresa l’imminente immissione in massa di precari senza alcun filtro qualitativo, perché una cosa è conoscere una materia, altra saperla insegnare, saper tenere una classe, coinvolgerla, appassionarla. Cioè dei veri “maestri”.
In poche parole, in Italia si è sempre avuto paura di un’etica della responsabilità. Anzi, nessuno è mai responsabile di niente. Per questo motivo ha colpito, non solo in Veneto, il caso del docente licenziato.
Attraverso una sana e trasparente selezione di presidi, docenti e personale, senza più sanatorie, si devono scegliere i migliori, sapendo che una assunzione non è una volta per tutte, perchè poi il merito va valutato sul campo, in itinere. Questa deve essere la vera garanzia “a tempo indeterminato”. Cosa scontata nel mondo del lavoro, tanto che, in tante realtà, vengono attivati contratti chiamati “patti di non concorrenza”, un modo per tenersi i migliori collaboratori.
Quanti nostri giovani in gamba sono esclusi da queste opportunità di lavoro, nel pubblico impiego, per il muro di gomma di contratti di lavoro ancora oggi assistenzialistici?
Un suggerimento al governo, per riformare il mondo sindacale, oggi muro di gomma conservatore: i sentire, con un emendamento, un limite ai mandati da sindacalista. Sarebbe una rivoluzione. Con sindacati, finalmente, con funzioni, appunto, sindacali, cioè di promozione e difesa della professionalità dei propri assistiti. Non più trampolini di lancio per carriere. Quanti sindacalisti, dei presidi e dei docenti, parlano della scuola, nonostante ne siano lontano da anni ed anni? Che ne sanno della scuola reale?
Qui la responsabilità va al mondo politico, perchè non ha saputo nei decenni darsi obiettivi di qualità, cioè di reali pari opportunità. Dimenticando che l’obiettivo primo di tutto il “servizio pubblico” è corrispondere alle attese e speranze delle giovani generazioni. Il vero focus di tutti i nostri discorsi. Per cui fa male sentire da alcuni gruppetti di studenti, in alcune manifestazioni, slogan vecchi, che vanno contro lo stessi. Uno dei segni, per questa mancanza di pensiero critico, della scuola di oggi.
Ma la responsabilità va anche al mondo dell’informazione: seguire certe inchieste, oppure un Crozza, o un Francesco Merlo su Repubblica, o altri sul Fatto, e vedere con quanta superficialità vengono trattate questioni che non conoscono….