Entra in vigore il nuovo Isee: cambiano le regole per “fotografare” la situazione economica delle famiglie e regolare conseguentemente il loro livello di compartecipazione ai costi dei servizi di welfare. Molte le critiche. Ma Cristiano Gori promuove il nuovo modello: “lo strumento in quanto tale è buono, non è colpa dello strumento se le politiche non sono adeguate”

Era in vigore dal 1998 e mostrava i segni del tempo. Da tempo, nel sociale, tutti ne chiedevano la revisione. I saggi di Napolitano lo avevano messo fra le priorità del nascente Governo Letta. Il viceministro Maria Cecilia Guerra ci ha lavorato per due Governi. Il nuovo Isee ora è nato. Licenziato dal Consiglio dei Ministri del 3 dicembre, entrerà in vigore dall’8 febbraio.
Enrico Letta, nella conferenza stampa che aveva fatto seguito al CdM, lo aveva presentato come uno strumento per stanare i “finti poveri”, poiché «ogni presunta furberia – in effetti una vera a propria ruberia – toglie un’opportunità a coloro che ne hanno diritto». Il nuovo Isee, a suo dire, «riporta un concetto di verità tra le persone e i servizi sociali corrispondenti. Le risorse vadano alle persone che hanno bisogno». Diverse associazioni – tra cui AnffasForum FamiglieAnmil eCoordinamento Famiglie di Disabili Gravi e Gravissimi – da mesi denunciano invece «la beffa» del nuovo Isee, che per la prima volta considera tutte le forme di reddito, anche ad esempio le prestazioni assistenziali di cui beneficiano le persone con disabilità. Da qualche giorno su Facebook è anche nata una pagina dedicata – si chiama “Stop al nuovo Isee” per promuovere un ricorso collettivo e fermare «il massacro dei disabili pur di fare cassa». Alla vigilia dell’entrata in vigore del nuovo strumento, abbiamo chiesto a Cristiano Gori – docente di politica sociale all’Università Cattolica – una valutazione.

Qual è il suo giudizio sul nuovo Isee?
Il mio giudizio complessivo è, senza dubbio, positivo. Il ridisegno dello strumento predisposto dalla riforma permette di affrontarne i limiti di fondo.

Quali erano questi limiti?
Principalmente due. Innanzitutto, il vecchio Isee non permetteva di rappresentare in modo adeguato le effettive condizioni economiche delle famiglie perché alcuni  aspetti non venivano considerati oppure lo erano in misura insufficiente. La riforma affronta questa criticità attraverso una  maggiore valorizzazione del patrimonio, nella sua componente sia mobiliare sia immobiliare, e un concetto di reddito più ampio che in precedenza, che comprende tutte le sue forme, indipendentemente dal regime fiscale loro riservato. L’altro limite riguardava i diffusi fenomeni di sottodichiarazioni ed elusioni, che vedevano tante famiglie dichiarare condizioni peggiori di quelle effettive, con evidenti ingiustizie. La riforma affronta questo nodo attraverso un incisivo rafforzamento nei controlli.  La fotografia che ne usicrà, insomma, sarà più aderente alla situazione reale.

Nessuna criticità?
Formulare un giudizio positivo non significa non vedere i problemi. Da una parte permangono delle imperfezioni da aggiustare, ad esempio la penalizzazione che l’Isee di fatto assegna alle persone disabili con pluriminorazioni.  Dall’altra il nuovo strumento è assai complesso da utilizzare e i Comuni nei prossimi mesi dovranno sostituire la vecchia versione con questa: la transizione risulterà particolarmente impegnativa, spero venga gestita con la necessaria attenzione in tutti i territori.

Alcune associazioni però contestano il fatto che nel nuovo Isee vengano conteggiati come reddito anche i redditi esenti da Irpef, come se – estremizzando – essere disabili fosse essere ricchi. È vero che sono state introdotte franchigie e detrazioni, ma dicono che non basta.
Non è possibile esaminare un singolo aspetto senza considerare gli altri, la discussione dei redditi esenti è da accompagnare a quella di franchigie e detrazioni. Lo strumento, infatti, può essere giudicato solo nella sua interezza, perché è questa – appunto attraverso il valore Isee di ogni nucleo familiare – ad avere un significato concreto. In proposito, le simulazioni e gli studi realizzati sinora concordano nell’indicare che rispetto a prima, in termini relativi, sono tre le categorie a risultare avvantaggiate dal nuovo Isee: a) le famiglie giovani; b) le famiglie numerose, con tre o più figli; c) le persone con disabilità gravi e disponibilità economiche medio-basse. La mia impressione è che – dietro alle critiche menzionate da lei – si celi una certa tendenza, spesso presente negli ultimi due anni, a confondere la funzione appropriata dell’Isee, che è quella di strumento, di unità di misura, con quella delle politiche sociali.

Cosa intende?
L’Isee è lo strumento di misurazione delle condizioni economiche delle famiglie utilizzato nelle politiche sociali, e fa bene il suo lavoro se fotografa nel modo più aderente possibile alla realtà le condizioni, ad esempio, della famiglia con un anziano non autosufficiente o di quella povera. Ciò detto, non è compito dell’Isee realizzare nuovi interventi per la non autosufficienza o contro la povertà. Si tende, invece, a confondere i piani.
Le faccio due esempi in un certo senso opposti. Ai tempi del ministro Sacconi si è tentato di utilizzare la riforma dell’Isee per legare la possibilità di ricevere l’indennità di accompagnamento alla disponibilità di risorse economiche inferiori ad una certa soglia,  obiettivo che peraltro non condivido. Vengo ora ad un obiettivo che condivido, quello di sostenere maggiormente le famiglie con figli. La critica delle associazioni familiari all’Isee  mi pare abbia a che fare con la confusione menzionata prima. L’Isee deve fotografare le condizioni delle famiglie con figli nel modo migliore, questa è la sua funzione. L’obiettivo di un maggiore sostegno al costo dei figli si raggiunge, invece, attraverso più robusti assegni familiari e la definizione ben congegnata delle tariffe, cioè attraverso differenti politiche.  Su questo in effetti possiamo discutere: lo strumento Isee oggi è migliore, mentre politiche adeguate mancano.

FONTE: www.vita.it

AUTORE: Sara De Carli