Il decreto “Destinazione Italia” modifica i meccanismi d’intervento sui siti d’interesse nazionale (Sin), 39 aree altamente inquinate su cui intervenire in via prioritaria. Verrebbe meno il principio comunitario “chi inquina paga”, e la firma di un accordo di programma congelerebbe le responsabilità di chi ha prodotto il danno. Il testo in conversione alle Camere
Chi ha causato l’inquinamento di un sito industriale, mettendo a rischio la salute di chi vive intorno all’area, dovrebbe bonificarlo. Un principio che in Italia è a rischio. Infatti il decreto chiamato “Destinazione Italia” -che dovrebbe rappresentare una politica organica “per attrarre gli investimenti esteri e favorire la competitività delle imprese italiane”, destinazioneitalia.gov.it-, in conversione alla Camera, rivede completamente le misure del testo unico ambientale relative ai Siti d’interesse nazionale (Sin),39 aree altamente inquinate (erano 57 sino a inizio 2013, quando occupavano il 3% del territorio nazionale).
L’intervento normativo, a parole, introduce “misure volte a favorire la realizzazione delle bonifiche”, ma l’articolo 4 del decreto presenta -secondo il servizio studi della Camera dei deputati- “profili che andrebbero chiariti”. La nuova normativa, ad esempio, potrebbe essere incompatibile “con il principio comunitario chi inquina paga“, perché modifica i confini delle responsabilità, diretta e sussidiaria, della contaminazione.
In particolare, viene cancellato il secondo comma del vecchio testo, quello che stabiliva che “gli oneri connessi alla messa in sicurezza e alla bonifica nonché quelli conseguenti all’accertamento di ulteriori danni ambientali sono a carico del soggetto responsabile della contaminazione, qualora sia individuato, esistente e solvibile. Il proprietario del sito contaminato è obbligato in via sussidiaria previa escussione del soggetto responsabile dell’inquinamento”.
Nel nuovo, invece, viene prevista -nell’ambito degli Accordi di programma tra le parti, che restano lo strumento prescelto per definire le modalità d’intervento sull’area, coinvolgendo enti locali, ministeri e proprietà- la definizione anche di “contributi pubblici e [..] altre misure di sostegno economico finanziario disponibili e attribuiti”.
“La norma non introduce alcun limite percentuale al finanziamento pubblico: ciò significa che lo Stato potrebbe arrivare anche a finanziare l’80-90% degli interventi, ribaltando il principio ‘chi inquina paga’, trasformandolo i ‘chi ha inquinato deve essere… pagato’ -spiega Augusto De Sanctis, del Forum abruzzese dei movimenti per l’acqua-. Oltre a sostenere un profitto futuro di chi magari è stato responsabile dell’inquinamento, per gli interventi che rimangono fuori dalla copertura dello Stato si individua anche un sostegno indiretto mediante il credito d’imposta”.
Per quanto riguarda i siti d’interesse nazionale individuati prima del 2007, praticamente tutti escluso quello abruzzese di Bussi sul Tirino (e a Taranto, che segue la disciplina speciale del “salva Ilva”), gli accordi di programma “volti alla bonifica o anche solo alla messa in sicurezza -spiega Augusto De Sanctis-, e sottolineo la ‘o’, possano essere sottoscritti anche con coloro che sono stati responsabili dell’inquinamento. Per quanto riguarda i nuovi investimenti, non è definito ‘che cosa potrebbe essere fatto’, e non ci sono limiti ad esempio alla previsione di nuovi inceneritori o cementifici, o mega campi fotovoltaici”. Ogni intervento individuato nell’ambito dell’accordo di programma sarà dichiarato di pubblica utilità.
Secondo De Sanctis, inoltre, la revisione della disciplina nasconderebbe anche una sorta di condono tombale, perché la sottoscrizione e la implementazione di quanto disposto dall’accordo di programma esclude “ogni altro obbligo di bonifica e riparazione ambientale e fa venir meno l’onere reale per tutti i fatti antecedenti all’accordo medesimo”, come si legge nel nuovo comma 6 dell’articolo 252 bis del Testo unico ambientale.
“L’accordo di programma solleva il privato inquinatore, anche se in molti casi sono state solo nuove e successive analisi a riconoscere l’inquinamento come un fenomeno molto più esteso -continua De Sanctis-. Pensa al caso della Caffaro, a Brescia (vedi Ae 136): prima si pensava che l’inquinamento da PCB fosse limitato all’area industriale e poco più, e solo in un secondo momento è stato possibile quantificare il reale danno ambientale”.
Tra le righe, la relazione del servizio studi della Camera evidenzia senz’altro quella che sarà l’obiezione della Camera: la relazione della Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti ha evidenziato “l’estrema lentezza, se non la stasi, delle procedure attinenti alla bonifica dei siti di interesse nazionale”. Resta da capire se questa sia davvero la risposta migliore.
FONTE: www.altreconomia.it
AUTORE: Luca Martinelli