Con una sentenza molto attesa, il TAR Sicilia ha accolto una serie di ricorsi, con cui erano stati impugnati gli atti autorizzativi del MUOS, gli atti di revoca delle autorizzazioni e da ultimo l’atto di revoca delle predette revoche.

Il noto sistema di comunicazione satellitare MUOS prevede la realizzazione di quattro satelliti e di quattro stazioni terrestri localizzate, rispettivamente, nel sud ovest Australia (stazione di Kojarena, a circa 30 chilometri dalla città di Geraldton), alle Hawaii (stazione radio nell’isola di Wahiawa); negli Stati Uniti, Virginia (in un sito non meglio specificato) ed in Sicilia, su un sito originariamente localizzato nella base aeronavale di Sigonella e poi spostato nella stazione radio di Niscemi in provincia di Caltanissetta.

Per quanto qui di interesse, il progetto da localizzare a Niscemi prevede l’esecuzione, con fondi degli Stati Uniti, delle seguenti opere: tre antenne paraboliche (denominate, per l’appunto,  “Mobile User Objective System”, breviter  MUOS), trasmittenti su banda-ka, ciascuna con diametro di 18,4 metri ed altezza di 25 metri circa, poggianti su basi alte mt. 6 e di mq 112,14; due antenne elicoidali ad altissima frequenza UHF, con diametro di 33 centimetri; tre fabbricati, un serbatoio idrico ed un vasca di contenimento per serbatoio di gasolio, strada di accesso, marciapiedi, vari impianti di supporto.

Le opere in discorso, come correttamente rilevato dal Tar Sicilia, ricadono all’interno della zona A della Riserva Naturale Orientata (RNO) denominata “Sughereta”,  sottoposta a vincolo paesaggistico ex lege ai sensi dell’art. 142, comma 1, lett. f) e g) D.lgs. 22 gennaio 2004 n.42 come modificato,  vieppiù ricadente all’interno della rete ecologica “Natura 2000” ed in particolare nel sito di importanza comunitaria (SIC) ITA050007, istituito ai sensi delle Direttive Europee 92/43/CEE e 79/409/CEE (oggi 09/147/CE).

Fatta questa breve ma doverosa premessa, il Tar Sicilia ha basato la propria decisione di annullare il provvedimento della Regione Siciliana del 24 luglio 2013, c.d. “revoca delle revoche” cui si accennava poc’anzi, rigettando al contempo i  due ricorsi proposti dal  Ministero della Difesa contro i provvedimenti di “revoca”, emanati sempre della Regione Siciliana in data 29 marzo 2013.

Vediamo in dettaglio. In data 24 luglio 2013, il Dirigente Generale del Dipartimento dell’Ambiente dell’Assessorato del Territorio e dell’Ambiente della Regione Siciliana, aveva revocato due precedenti provvedimenti del 29 marzo precedente, consistenti nella “revoca” dell’autorizzazione rilasciata in data 1° giugno 2011 prot. n. 36783 ai sensi dell’art. 5 DPR n. 357/97 e nella “revoca” dell’autorizzazione all’installazione del sistema del 28 giugno 2011 prot. n. 43182, già impugnate dal Comune di Niscemi, che riprendevano entrambi il contenuto della delibera di Giunta Regionale n. 61/13.

Nella predetta delibera la Giunta, dopo aver segnalato  che “mancano indagini preliminari circa le interferenze del MUOS rispetto alla navigazione aerea relativa all’aeroporto di Comiso e studi in materia di tutela della salute dalle esposizioni elettromagnetiche e di tutela ambientale” ed invocando al contempo il principio comunitario di precauzione, cristallizzato nell’art. 174 del Trattato (oggi art. 191 TFUE) riteneva così di dover prevenire pregiudizi all’integrità dei siti protetti dovuti ai progetti previsti, revocando (rectius: annullando in autotutela) i provvedimenti autorizzativi precedentemente resi.

Tali provvedimenti di revoca (rectius: annullamento) venivano tuttavia revocati dal provvedimento del 24 luglio 2013, che veniva anch’esso gravato da impugnazione da parte di diversi soggetti. Per tramite di tale provvedimento, secondo gli intendimenti regionali, si era realizzata una chiara ipotesi di reviviscenza dei provvedimenti del 2011, a loro volta oggetto di revoca nel marzo 2013.

La tesi regionale è stata ritenuta meritevole di reiezione sotto numerosi profili, che illustreremo qui di seguito.

Sotto il profilo formale, il TAR ha innanzitutto ribadito il principio secondo cui, ai sensi dell’art.21 quinquies  della legge 7 agosto 1990 n.241 come modificata,   i presupposti atti a  giustificare l’esercizio del potere di revoca debbano essere individuati come segue: a) sopravvenuti motivi di pubblico interesse; b) mutamento della situazione di fatto; c) nuova valutazione dell’interesse pubblico originario.

Nella specie, tuttavia,  la Regione Siciliana aveva fondato i suoi provvedimenti di “revoca”, non già su sopravvenute valutazioni di interesse pubblico (che, come detto,  ben giustificano tale tipologia di provvedimento) bensì su vizi delle autorizzazioni originarie (emesse in data 1° e 11 giugno 2011) perché ritenute carenti di validi studi sui rischi sia per quanto attiene gli impatti sia sulla popolazione e l’ambiente sia sul traffico aereo, non oggetto di considerazione alcuna in fase di autorizzazione.

L’aver riqualificato i provvedimenti regionali come annullamento in autotutela ha prodotto, come efficacemente significato dal TAR Sicilia, un effetto sostanziale. Invero,  ove la revoca non spiega effetto retroattivo e «lascia fermi gli effetti già prodotti, evitando che se ne producano di ulteriori», l’annullamento, di contro,  fa decadere tutti gli atti fino a quel momento emanati, con conseguente necessità di rinnovare il procedimento autorizzativo.

Ciò si spiega in quanto l’atto su cui la revoca incide è perfetto e compiuto, e soprattutto idoneo a perseguire l’interesse pubblico dal momento in cui è stato adottato fino a che non è sopravvenuto quel quid novi che induce alla revoca, sicché nulla impedisce che l’atto mantenga gli effetti già prodotti. Di contro,  nel caso dell’annullamento, la perdita di efficacia è ex tunc, perché per la sua originaria insufficienza occorre impedire all’atto di modificare la realtà su cui esso è chiamato ad incidere.

D’altra parte, che non si fosse al cospetto di un atto di revoca, a prescindere dal nomen iuris impresso al  provvedimento, è dimostrato dalla circostanza che, come scrivono i Giudici Amministrativi  «nulla è sopravvenuto tra la data di rilascio delle autorizzazioni e l’intervento in autotutela del marzo 2013, nessun fatto nuovo si è verificato o viene acquisito, nessuna nuova valutazione dell’originario corredo istruttorio e motivazionale è stata fatta dall’amministrazione regionale». Per gli effetti, «ciò che si è accertato è esclusivamente una “mancanza” originaria di idonea attività istruttoria, che ha resi, quindi, in radice illegittimi i due atti».

In sostanza, hanno spiegato i Giudici del Tar Sicilia, le revoche di marzo 2013 andavano qualificate più esattamente come annullamento (e, quindi, con effetto ex tunc), perché poggiavano su un’originaria carenza istruttoria.La diretta conseguenza che se ne deve trarre è che i lavori medio tempore eseguiti debbano considerarsi abusivi, proprio perché privi ab origine di un valido titolo abilitativo.

Quanto al provvedimento del 24 luglio (cd. revoca delle revoche), oggetto di annullamento da parte del TAR Sicilia,  questo, ad avviso dei Giudici, deve effettivamente qualificarsi come revoca, per essere stato emanato in forza di un dato sopravvenuto, la relazione dell’Istituto Superiore di Sanità (di seguito, breviter, ISS)  di cui diremo a breve.

Il problema, tuttavia, ha opinato il TAR, risiedeva nella circostanza che la revoca di luglio, contrariamente a quanto affermato dalla Regione, non avrebbe potuto spiegare alcun effetto ripristinatorio di provvedimenti ormai definitivamente annullati, rendendo  conseguentemente necessaria la riaquisizione dei nulla osta e dei pareri normativamente previsti, e, per gli effetti, l’indizione di una nuova conferenza di servizi.

Al contempo, anche l’autorizzazione paesaggistica doveva intendersi irrimediabilmente scaduta, non potendosi fare applicazione di quanto previsto dal  DL  n. 69/13 rispetto a lavori da qualificarsi senza dubbio come abusivi. Vediamo in dettaglio.

Il nodo della res controversa, ad avviso del TAR, risiede nella circostanza che   la rinnovata valutazione posta a base del provvedimento di revoca (cd. revoca delle revoche) del 24 luglio 2013 poggiava, secondo i Giudici amministrativi, su presupposti erronei o incompleti.

Se il procedimento autorizzatorio originario, chiuso nel 2011, risultava incompleto per mancanza di studi inerenti non solo la salute, ma anche l’ambiente e il traffico aereo (fino a quel momento non considerato, con tutto che persino uno studio delle forze armate statunitensi, avendo  evidenziato il rischio di innesco indesiderato degli ordigni presenti sugli aerei, aveva richiesto lo spostamento del MUOS da Sigonella a Niscemi), e per tale ragione lo si era inteso annullare, non v’è dubbio che si sarebbe dovuto  provvedere ad una integrazione istruttoria su tutti quei profili e all’interno del procedimento.

Di contro, il Dirigente Regionale aveva basato l’atto di revoca del 24 luglio 2013 su uno studio dell’ISS, che aveva escluso, a suo dire, interferenze coi campi elettromagnetici, ma utilizzandolo solo parzialmente, senza coglierne gli aspetti critici e senza considerare il parere contrario rassegnato dai tecnici della Regione e/o le conclusioni del verificatore.

In ogni caso, ha chiarito il Tar Sicilia, il parere dell’ISS era  basato su procedure di calcolo semplificate che non fornivano accettabili indicazioni nell’ottica del caso peggiore. Le problematiche riguardanti la mappa del campo elettromagnetico irradiato dalle parabole satellitari del MUOS in asse, fuori asse e in particolare in prossimità del terreno, il livello del campo elettromagnetico irradiato dalle antenne della base NRTF nel breve e nel lungo periodo, i possibili effetti causati dall’interazione di aeromobili con il fascio del MUOS erano infatti state trattate rispettivamente dall’ISS, dall’ISPRA e dall’ENAV in maniera non esaustiva e come tale suscettibile di ulteriori doverosi approfondimenti.

Sotto concorrente profilo, atteso che gli impianti ricadono pacificamente ed interamente all’interno del SIC ITA 050007 “Sughereta di Niscemi”, in cui peraltro sono presenti habitat prioritari, il TAR Sicilia non ha potuto che ribadire un principio ben noto ai nostri Lettori, quello in base al quale, giusta il disposto di cui all’art.5 del DPR 8 settembre 1997 n.357, deve espletarsi la valutazione di incidenza, vale a dire quel procedimento valutativo di carattere necessariamente preventivo, al quale va sottoposto ogni intervento pianificatorio o progettuale che interessi il territorio dei siti della Rete Natura 2000, quali Siti di Importanza Comunitaria (SIC) e Zone di Protezione Speciale (ZPS),  deve essere preliminare rispetto a qualsiasi procedimento autorizzatorio o concessorio inerente la realizzazione di un piano/progetto/intervento e che, come abbiamo illustrato in decine di articoli apparsi negli anni sulle pagine di questa rivista.

Procedimento che costituisce presupposto necessario per il rilascio delle successive autorizzazioni, nulla osta, pareri o altri atti di analoga natura, da acquisire ai fini della realizzazione e dell’esercizio dell’opera o intervento e non integrabile ex post. 

Nella specie, l’Assessorato regionale aveva clamorosamente mancato di verificare la conformità del progetto presentato dai proponenti con gli indirizzi prescritti dall’allegato G al DPR 357/1997 con particolare riferimento all’inquinamento elettromagnetico ed ai rischi di incidente derivanti dalle tecnologie utilizzate.

Al contempo, risultava parimenti mancante la valutazione in merito al rischio sismico ed agli effetti di un eventuale sisma sulle antenne MUOS (crollo, modifica del puntamento delle parabole ecc.).

Il tutto, senza neppure considerare che, come si accennava,  l’intervento in progetto ricadeva in area SIC caratterizzata da habitat “prioritario” e su che tale intervento il Comune di Niscemi aveva espresso la propria valutazione negativa di incidenza.

Ora, come noto, in tali ipotesi, il comma 10 dell’art. 5 DPR 357/1997 stabilisce espressamente che l’intervento può essere realizzato solo per esigenze connesse alla salute dell’uomo e per ragioni di sicurezza pubblica o ad esigenze di primaria importanza per l’ambiente, ovvero, previo parere della Commissione europea, per altri motivi di interesse pubblico. L’Assessorato regionale aveva pertanto espresso la valutazione di incidenza in aperta violazione di tale norma, atteso che non risultavano sussistenti le specifiche esigenze, tassativamente indicate dalla norma e che eccezionalmente consentono l’esecuzione di costruzioni all’interno delle aree SIC. Né l’Assessorato regionale si era preoccupato di richiedere  il parere preventivo della Commissione Europea, prescritto dalla norma citata in caso di “motivi imperativi di rilevante interesse pubblico”, comunque non esplicitati dall’Assessorato stesso.

Da ultimo, stante che gli impianti ricadono pacificamente in un’area gravata da vincolo imposto ex lege ai sensi dell’art.142 comma 1 del citato D.lgs. 42/04, quanto all’autorizzazione paesaggistica, alla luce della disciplina contenuta nell’art. 146 del D.lgs. n. 42 del 2004, questa ha durata quinquennale.

Ne deriva che ove  i lavori non vengano realizzati in tale arco temporale è necessario richiedere un ulteriore titolo abilitativo al fine di effettuare un nuovo controllo di conformità dell’intervento all’ambiente in cui lo stesso si colloca (Cons. St., VI, 4 dicembre 2012, n. 6216; Tar Reggio Calabria, 7 giugno 2013, n. 397; Tar Bari, III, 25 maggio 2011, n. 784).

Il decorso del termine quinquennale di efficacia, ha affermato il Tar Sicilia –  anche avuto conto della circostanza che la predetta autorizzazione era stata emanata in vigenza del D.lgs. 63/08 e che risultava essere scaduta prima dell’entrata in vigore della più favorevole disciplina disegnata dal DL 69/13 – non avrebbe potuto  che produrre  la caducazione ex lege, totale ed automatica, degli effetti dell’autorizzazione.  (cfr. Cons. St., VI, 20 dicembre 2012, n. 6576; Tar Sardegna, II, n. 33/13 cit., Tar Salerno, II, 25 marzo 2010, n. 2351, Tar Veneto, II, 16 novembre 1998, n. 2072).

La portata deflagrante della sentenza in rassegna risiede tuttavia in un ulteriore principio, significato o meglio ribadito, dal TAR Sicilia, e già enunciato negli anni scorsi sia dal TAR Lecce che dal Consiglio di Stato, in una sentenza a suo tempo segnalata da Diritto all’Ambiente http://www.dirittoambiente.net/file/territorio_sentenze_73.pdf   , ed avente portata trascendente rispetto al caso in esame.

Quello per cui un’opera destinata alla difesa militare, in quanto statale, anche se realizzata su aree ubicate all’interno di basi militari o al diretto servizio di esse, qualora insista su un’area con vincolo paesaggistico, è comunque soggetta alla relativa disciplina di tutela ed in particolare all’obbligo di ottenere l’autorizzazione  paesistica.

Per le opere statali, comprese tutte quelle destinate alla difesa nazionale, il Legislatore, come ha più volte chiarito la giurisprudenza,  ha infatti inteso bilanciare due valori costituzionali fondamentali (il paesaggio ex art. 9 Cost. e la sicurezza nazionale ex art. 52 Cost.) attraverso l’introduzione di una disciplina derogatoria (nel quomodo ma non nell’an) rispetto ai normali moduli procedimentali, ma che comunque presuppone l’assoggettamento all’obbligo della autorizzazione paesistica (Cons. St., IV, 10 novembre 2005, n. 6312; II, n. 852/99 del 25 ottobre 2000; Tar Lecce, sez. I, 29 settembre 2011, n. 1665).

Anche nelle aree militari, nonostante diverse contestazioni. Una sentenza molto significativa che chiarisce un punto controverso e che potrà essere fonte di effetti a diversi livelli nel settore della normativa ambientale.

 

 

 

FONTE: Green Report (www.greenreport.it)

AUTORE: Valentina Stefutti

 

 

 

muos_niscemi