Prima di avanzare una proposta puntuale di emendamenti al testo di legge al fine di
dare maggior efficacia e coerenza al corpo normativo, si avanzano di seguito alcune
riflessioni generali sui contenuti e sull’impianto del DdL C. 2039 adottato dalle
Commissioni parlamentari riunite.
La ridondanza dell’impianto definitorio (art. 2) rischia di essere poco utile e
controproducente; non si intende entrare nel merito della correttezza e della
adeguatezza delle definizioni proposte, senz’altro accurate dal punto di vista
disciplinare, ma si ritiene che potrebbe essere più efficace e applicabile una
definizione più condivisa del “consumo di suolo”, inteso quale processo di nuova
urbanizzazione di suoli liberi, agricoli o naturali. Il solo riferimento al concetto di
permeabilità/impermeabilità dei suoli richiederebbe, per poter essere utilizzato nel
monitoraggio e nella misura del consumo di suolo, altre e più precise specificazioni
(ad esempio rispetto alle modalità stesse di misurazione della permeabilità) con il
rischio di rendere assai controversa l’applicazione di questa norma.
Sull’utilizzo del limite quantitativo (art. 3) come modalità di controllo del consumo
di suolo rimangono molti dubbi, anche sulla base delle molte esperienze provinciali.
Come praticare tecnicamente la suddivisione delle quote suolo tra regioni rimane
un’operazione assai complicata. Una volta dichiarate le soglie regionali, poi non c’è
una norma che impone alle regioni di legiferare per raggiungere gli obiettivi (a
meno che non si consideri tale il comma 3 dell’articolo 1, che però, così formulato,
appare molto generico e piuttosto inefficace).
Non si rileva una significativa politica a sostegno degli interventi di riuso e
rigenerazione (art. 4); indirizzi e orientamenti sono certamente opportuni ma non
sufficienti a dare efficacia a politiche di recupero, riqualificazione e rigenerazione
dei tessuti urbani esistenti. Senza disposizioni che rendano prioritario e obbligatorio
il recupero delle aree dismesse o sottoutilizzate in quote minime fissate (si segnala in
tal senso l’esperienza della Gran Bretagna dove la normativa rende obbligatorio il
riuso di una quota di almeno il 60% del patrimonio dismesso esistente prima di
poter prevedere nuove urbanizzazioni del suolo libero), senza misure concrete di
incentivazione (attraverso un uso mirato della fiscalità e dell’accesso al credito) e
soprattutto senza una robusta semplificazione delle procedure (in particolare sulle
bonifiche) e dei tempi degli interventi sull’esistente risulta difficile ottenere risultati
di qualche importanza.
Non si comprende la necessità di introdurre e disciplinare il “compendio agricolo
neorurale periurbano” (art. 5); non si ritiene, infatti, opportuno per una legge
nazionale di principi “sul consumo di suolo” definire caratteri e modi del recupero
degli insediamenti rurali dismessi, con un dettaglio di disposizioni normative che
sarebbe forse troppo puntuale anche per un testo di legge regionale. Il testo dell’art.
5 si avvicina più a disposizioni di una norma di piano urbanistico piuttosto che di un
testo legislativo (tra l’altro è assai improbabile il ripristino di edifici extragricoli per
usi agricoli alla scadenza della convenzione).
Se le misure di incentivazione alla rigenerazione urbana e al riuso sono ancora
molto deboli, mancano politiche combinate e strumenti specifici per limitare e
mitigare il consumo di suolo, quali la possibilità di utilizzare la fiscalità locale come
strumento di disincentivazione all’urbanizzazione dei suoli liberi, o come misure di
compensazione ecologica preventiva (ampiamente utilizzate in altri paesi europei)
che per quanto di natura rimediale possono avere un ruolo e un potenziale
importante nel mitigare gli impatti urbanizzativi del suolo e garantire il
mantenimento del potenziale ecologico locale.
Nella norma transitoria (art. 10) risulta infine ambigua la salvaguardia dei
procedimenti in corso (appare senz’altro meglio fare riferimento a titoli abilitativi
già efficaci); non riteniamo inoltre per nulla condivisibile l’ultimo capoverso del
comma 1, laddove si dispone che, trascorsi i tre anni dalla approvazione della legge
sia ammesso il consumo di una quantità di suolo pari al 50% di quello già
consumato nei 5 anni precedenti. In tal modo non solo si tornerebbe ad ammettere
senza alcuna regolazione nuovi consumi di suolo ma soprattutto si andrebbero a
premiare i comuni meno virtuosi (cioè quelli che nel passato hanno urbanizzato più
suolo).
Consulta il documento completo: INU_emendamenti_ddl2039
FONTE: INU – Istituto Nazionale di Urbanistica